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C’è una forma di welfare che nasce dai cassetti di casa, dalle scatole di latta in soffitta, dai racconti che le persone non avrebbero mai pensato di fare in pubblico. È fatta di fotografie, lettere, canti popolari, racconti familiari. È una memoria minuta, spesso dimenticata, che diventa collettiva attraverso la condivisione, e produce qualcosa di molto più grande: fiducia, relazione, partecipazione democratica.

Ai margini di Roma, dove spesso la storia ufficiale si confonde con stereotipi e pregiudizi, questa nuova frontiera del welfare socio-culturale si sta diffondendo anche grazie al progetto Memorabilia di Riverrun, realtà del Terzo Settore attiva in tutta Italia – di cui abbiamo già avuto modo di raccontarvi – che realizza progetti di innovazione culturale ad impatto sociale. Attraverso le cosiddette digital library di comunità, infatti, l’associazione sta recuperando la memoria collettiva di quartieri come Tufello-Val Melaina, Montesacro-Città Giardino e Tor Marancia.

Non è una semplice raccolta di racconti e documenti storici, ma un vero e proprio “memoriale partecipativo“, libero e gratuito, dove gli abitanti possono caricare autonomamente immagini, documenti e ricordi personali conservati nelle loro case, contribuendo così a creare un “ampio e corale affresco collettivo”. I materiali vengono poi ordinati in categorie scelte dagli stessi abitanti e fruibili inquadrando i QR Code in mosaico, incastonati tra intonaci e sanpietrini nei luoghi più frequentati del quartiere.

Siamo stati nelle periferie romane dove Riverrun ha già realizzato archivi relazionali, vivi e condivisi, alla scoperta del genius loci – l’essenza – di tali luoghi, raccolta negli archivi digitali.

Tufello: da uno sventramento alla comunità solidale

Negli anni Trenta, il fascismo decide di dare un volto imperiale a Roma. Il regime ripensa la città, interi quartieri vengono abbattuti e i loro abitanti vengono costretti a spostarsi in borgate di nuova costruzione, lontane, isolate, spesso incomplete. Il Tufello nasce così, nel 1936, in una distesa brulla a nord-est della città.

«Erano tutti operai, un tessuto sociale omogeneo e compatto, consapevole che per ottenere diritti e servizi era necessario alzare la voce», racconta Claudio Cippitelli, abitante storico, che incontriamo nella sede della cooperativa sociale Parsec, da lui presieduta e anch’essa con sede in quartiere.

Febbraio 2020: nono compleanno di Lab!Puzzle, Tufello – Foto: Riverrun

Negli anni della guerra, questa zona sarà un covo di resistenza, mentre dagli anni ’70 in poi ha vissuto una militanza continua, soprattutto sul diritto alla casa. Ancora oggi, che non è stata toccata dai processi di gentrificazione1 che hanno investito altre zone di Roma, continua a distinguersi per una rete solidale attiva.

Tra queste, uno dei simboli più forti è la Palestra Popolare Valerio Verbano, nata per coniugare sport, memoria e impegno sociale. Intitolata al giovane antifascista assassinato nel 1980 proprio in questo quartiere. “Quando siamo arrivati noi, era solo un deposito abbandonato: erbacce, siringhe, detriti. Era chiamata ‘la casa dei tossici'”, racconta Giulio Bartolini, uno dei soci fondatori della palestra. Ci accoglie nella stanza d’ingresso del centro sportivo, adibita a segreteria, dove c’è un via vai continuo di bambine e ragazze. “L’abbiamo occupato nel 2005 per denunciare l’abbandono. E grazie soprattutto agli anziani del quartiere, lo abbiamo ristrutturato tutto e a ottobre 2008 abbiamo aperto ufficialmente”, continua Bartolini.

Oggi la palestra ospita corsi di kickboxing e ginnastica artistica. “Molte famiglie vedono questo posto come una seconda casa. Le bambine arrivano prima per fare i compiti, poi si allenano. I genitori sanno che qui sono al sicuro”, spiega Bartolini.

Ed è proprio qui, su un muro esterno della palestra che vediamo il primo Qr Code installato nell’ambito del progetto Memorabilia. Lo inquadriamo con il nostro telefono e in un attimo veniamo trasportati in un altro spazio.

Il legame con il progetto della digital library è stato naturale. “Abbiamo contribuito con l’archivio storico della palestra. Io anche con la mia famiglia: mia zia ha donato immagini degli anni ’50 e ’60, quando il quartiere era ancora una distesa di prati”, spiega Bartolini.

Vista del Tufello da Via Monte Cervialto, primi anni ’50 – Foto: Riverrun

Il materiale raccolto dagli abitanti del quartiere è stato organizzato in quattro categorie: architettura e territorio; attivismo e antifascismo; sport e tempo libero; vita quotidiana. La library si compone infine di video e podcast che raccontano la storia del Tufello.

Il progetto ha avuto subito un impatto visibile: “tante persone che vivono qui da trent’anni hanno scoperto storie che non conoscevano. È un modo per rendere tutti più partecipi. Una sorta di aggregazione digitale, che rafforza il senso di appartenenza alla comunità e unisce le generazioni”, afferma Giulio Bartolini.

Per Claudio Cippitelli, il progetto di Riverrun non permette solo di ricordare, ma riordina e dà valore ai momenti collettivi. Lui stesso ha condiviso una parte della sua storia, che si intreccia con quella di tante altre persone del quartiere. “Nella library ho inserito le foto di una manifestazione contro la pena di morte: eravamo travestiti, io da mazziere, altri da boia, da morte, da prete. Un’azione teatrale, provocatoria, profondamente creativa. Era proprio questo lo spirito del Tufello: un quartiere capace non solo di mobilitarsi, ma di farlo sempre in modo originale, generando dibattito pubblico e partecipazione”.

Montesacro – Città Giardino: tra gentrificazione e memoria

In meno di dieci minuti di macchina dalla palestra Verbano, senza abbandonare il terzo Municipio di Roma, si arriva nel quartiere di Montesacro – Città Giardino. Sono le tre del pomeriggio e dal rettilineo trafficato di Via Nomentana ci ritroviamo tra vie curve e scalinate, dove, se non si è del posto, è facile perdere l’orientamento.

Città Giardino Aniene è un esempio del modello urbanistico della “garden city2, teorizzato a fine Ottocento. La sua costruzione è iniziata nel 1924, a partire da un progetto di villini immersi nel verde, pensati soprattutto per la classe medio-borghese. Fulcro dell’intero impianto era piazza Sempione, centro architettonico e sociale, attorno alla quale si trovavano il palazzo civico, negozi, scuole e uffici pubblici.

Oggi Città Giardino fa parte del più ampio quartiere Montesacro. Il modello a bassa densità abitativa è fallito e ha lasciato spazio a uno più intenso e disordinato, fatto di palazzi da più appartamenti. Bar, locali e ristoranti sono più diffusi delle aree verdi, tanto da essere ormai uno dei quartieri più gentrificati di Roma.

24 giugno 1930 Carro rionale rappresentante il Ponte Vecchio in occasione della sfilata di carri rionali – Foto: Riverrun

“Ma questo municipio è un territorio vivace che avrebbe tanto da raccontare, microstorie che poi fanno la storia collettiva”, ci mette subito in guardia Paola Brunetti, abitante di Montesacro, ma con un’infanzia vissuta al Tufello. E per convincerci ci racconta di quando ha intervistato i figli di Raffaele Riva, operaio e partigiano, fucilato nel 1944. “Ho ascoltato storie di una generosità incredibile”. Era un patrimonio rimasto lì, nascosto in un’audiocassetta diventata un podcast personale della signora Paola. Riverrun l’ha intercettato e inserito nella digital library  di Montesacro. “Sono stata felice che finalmente esistesse un luogo dove queste memorie potessero essere ascoltate, comprese, magari da ragazzi e ragazze di oggi“, spiega Brunetti.

L’archivio digitale di Montesacro è stato realizzato in occasione dei 100 anni dalla nascita di Città Giardino, dopo l’esperienza positiva del Tufello. Le categorie scelte per organizzare i materiali sono state in gran parte le stesse dell’esperienza precedente, ma con alcune differenze legate alle specificità dei luoghi. La voce “Attivismo e antifascismo” usata al Tufello, per esempio, a Montesacro è diventata “Storia e personaggi”.

Per Brunetti, Memorabilia non è solo un archivio, ma un modo per ritrovare quelle tracce perdute, per rispecchiarsi nelle storie degli altri, e dare forma a una narrazione collettiva. Non è detto che basti da sola a ricostruire una comunità, ma contribuisce sicuramente a riconoscersi in un luogo, a comprenderne il senso profondo: “quando tu conosci perché quei palazzi sono così, perché sono stati costruiti così, come si viveva. Sono tutte cose che ti fanno leggere il territorio. Se non le sai, quelle capacità le perdi”.

La digital library, da questo punto di vista, è stata per lei uno strumento prezioso. Navigandola, ha scoperto materiali che nemmeno immaginava: “una famiglia, il cui nonno aveva partecipato alla costruzione di Città Giardino, ha aperto i suoi archivi. Alcune foto si trovavano già su internet, ma lì erano tutte insieme, accessibili. È stato bellissimo».

Questa facilità di accesso, secondo Paola, è uno dei punti di forza del progetto e aiuta il quartiere anche a immaginarsi nel futuro: “avere una fruizione così semplice della storia del luogo crea dibattito, crea riflessione. Prima lì c’era un cinema che ora non c’è più e ti chiedi perché, e magari ti viene voglia di provare a riaprirlo”.

Il processo, però, non è immediato e gli ostacoli esistono. Brunetti, che ha contribuito sia alla digital library del Tufello sia a quella di Montesacro, dice che nel secondo caso c’è stata più diffidenza tra gli abitanti e gli organizzatori confermano.

“La vera partecipazione richiede anni”, ci aveva spiegato Lorenzo Mori di Riverrun. Servono tempo, vicinanza, fiducia costruita sul campo. Solo così i processi possono dare frutti: “Accade che una persona come Carla, prenda la parola in una conferenza pubblica e dica, con naturalezza: ‘io le mie cose non le sento meno mie, adesso le sento ancora più mie, perché fanno parte del bene comune’. Ed è lì che ti rendi conto del potenziale che stiamo toccando. Non è sottrazione. È restituzione allargata. È la sorpresa del bene comune che torna a fiorire”, racconta lo stesso Mori.

Carla è Carla Bielli e vive a Montesacro dal 1958, dove è arrivata a 15 anni appena. È stata tra le prime persone coinvolte nel progetto della digital library. La incontriamo nel dehor di un bar del quartiere: è una signora elegantissima, curata, intenta a leggere un giallo western su un e-reader nell’attesa che inizi l’intervista.

Carla Bielli e, a destra, alcuni QR Code di Memorabilia al Tufello, a Roma – Foto: Riverrun

È entrata in contatto col progetto al centro anziani del quartiere e non si è limitata a fornire materiali come foto personali, immagini scolastiche, ricordi legati ai suoi figli e alla scuola Montessori di viale Adriatico. Carla ha fatto anche da guida viva nel territorio, accompagnando Mori di Riverrun nel quartiere, raccontandogli episodi e mettendolo in contatto con altri abitanti: “a me sembra un’esperienza utile. Adesso non so quanto l’archivio venga consultato dagli altri, ma spero molto, soprattutto nelle scuole”.

Per Carla, la digital library è uno strumento importante di memoria collettiva. Il suo valore sta nel raccogliere storie personali che spesso non trovano spazio nei libri di storia ufficiali: Tra i documenti caricati (nella library, ndr) c’è anche il diario di uno dei costruttori dei villini. Non credo che nei libri di storia ci sia qualcosa del genere. È giusto che da qualche parte si trovi”. Tuttavia riconosce anche i limiti dell’accesso digitale per le persone più anziane: “noi abbiamo una mattonellina (il QR Code, ndr) al centro anziani, ma non mi pare che venga molto utilizzata”.

L’iniziativa, secondo lei, ha appagato chi vi ha preso parte, almeno a livello personale e culturale: “io stessa ero contenta. Mi piaceva raccontare, parlare di queste cose, con Lorenzo e con gli altri. Lo accompagnavo in molti giri e vedevo che anche gli altri erano contenti quanto me”.

Tor Marancia: oltre i murales

Tor Marancia non è un quartiere particolarmente noto di Roma. Uno dei motivi per cui se n’è sentito parlare negli ultimi anni è il cosiddetto “museo condominiale”: 22 murales monumentali dipinti da diversi artisti sulle facciate di alcune case popolari, realizzati quando si credeva che la street art bastasse per parlare di rigenerazione urbana. Ora, invece, grazie al progetto della digital library – che qui è nata dalla collaborazione tra l’associazione Io Sono e Riverrun – Tor Marancia si sta riappropiando della sua storia, raccontata da chi l’ha vissuta in prima persona.

“Tor Marancia è un quartiere incredibile” racconta Sara Iannucci, fondatrice dell’associazione Io Sono, che da anni lavora sul territorio con progetti educativi, culturali e sociali. Con Sara siamo sedute sul marciapiede esterno al locale dell’associazione, che è leggermente sotto il livello della strada e crea un naturale luogo di aggregazione sociale. “È il massimo della piazza che abbiamo”, ci fa notare, prima di raccontarci qualcosa in più sul luogo: “questa è una comunità trasversale, dove convivono famiglie storiche, nuovi nuclei di comunità straniere, e una straordinaria energia solidale. Ma la sua memoria rischiava di perdersi”.

Fernanda Garuglieri a Villa Verde fa finta di bere vino rosso da un boccione con un amico, inizio anni ’50 – Foto: famiglia Cecconi, tramite Riverrun

È proprio dall’urgenza di restituire valore e visibilità alla memoria che nasce l’idea della digital library. All’interno del progetto Scuola Diffusa, dopo una serie di tavoli di coprogettazione con cittadini, insegnanti, operatori e associazioni, è emersa con chiarezza una domanda condivisa: dove vanno a finire le nostre storie? “Abbiamo capito che prima di parlare di educazione o servizi dovevamo tornare a riconoscerci come comunità. E questo può avvenire solo partendo dai ricordi, dalle vite quotidiane, da ciò che abbiamo vissuto e siamo stati”.

Si sono affidati a Riverrun perché si riconoscevano nel metodo lento, rispettoso, relazionale. “Non è: vado da una persona, prendo due foto e me ne vado”, spiega Iannucci. “Noi con le persone ci sediamo, prendiamo un caffè, ascoltiamo. E da questo ascolto nasce una narrazione comune. È lì che succede la cosa importante: la persona si riconosce nella storia del luogo. E decide di raccontare, di donare qualcosa di suo”.

Tra le voci raccolte c’è quella di Vinicio, che ci raggiunge a sorpresa in pantaloncini e infradito. Nato nel 1949 “nelle baracche di Sciangai”, cresciuto tra fango, lotti popolari e cucine condivise, Vinicio è oggi uno dei custodi della storia di Tor Marancia. “Io ero il figlio del quartiere”, dice nel podcast Stamme a sentì, nato come parte del progetto. Ricorda l’eccidio delle Fosse Ardeatine, a cui sfuggì da bambino restando nascosto dietro un cespuglio (il sito è vicino e molte vittime erano del quartiere), i primi palazzi costruiti dopo l’abbattimento delle baracche nel 1960, la vita comunitaria che si stringeva attorno ai forni, alla chiesa, dove c’era l’unico cinema del quartiere ora chiuso. “Oggi manca quella vitalità, ci manca il pranzo della domenica”, ammette amaramente.

Con lui ripercorriamo la storia del quartiere, che può essere rievocata anche dai materiali raccolti nella library. Tor Marancia nasce negli anni ’30, sempre borgata di trasferimento per gli sfollati del centro storico di Roma sventrato dal fascismo. All’inizio, la zona era composta da baracche fatiscenti. Il nome “Sciangai” venne dato in modo ironico e dispregiativo, ispirandosi alla città cinese allora considerata simbolo di sovrappopolazione, povertà e disordine.

Le baracche vengono sostituite poi con abitazioni provvisorie e, infine, tra gli anni ’50 e ’60, dalle case popolari tuttora presenti. Nei decenni successivi arrivano nuovi palazzi, nuove famiglie, comunità migranti, in particolare dal Bangladesh.

Raccogliere storie fino al 2050

Il progetto è riuscito a coinvolgere principalmente la generazione di chi oggi ha 40-50 anni, che ha recuperato immagini e testimonianze dai propri genitori. “Alcune immagini mi arrivano direttamente qui con le cornici”, racconta Sara. Le è stata donata anche la fotografia storica della prima squadra di calcio del quartiere, che per anni era appesa nello storico “Bar di Chicchina”. “Quando i nipoti dei proprietari ce l’hanno consegnata, ci hanno detto: ‘Questa ve la diamo solo a voi’. È stato un momento potentissimo”.

A sinistra, Antonio e Roberto Mustari durante un matrimonio di quartiere, 1980 – A destra, una scritta sul muro di via Cimone, nel 2020 – Foto: Riverrun

Come negli altri quartieri, anche qui le library hanno saputo coinvolgere anche le generazioni più giovani, con la creazione dei QR Code in ceramica, che sono realizzati da una cooperativa di ragazzi con disabilità. I giovani sono stati guidati dalle artigiane de La Musa mosaici, che ha sede fuori Roma, e gli oggetti prodotti sono stati installati nel quartiere da abitanti ed educatori di strada. “In questo modo si crea un ponte tra digitale e materiale, tra passato e presente, tra nipoti e nonni. Il digitale non è il fine, ma un mezzo per far tornare le persone a incontrarsi”, sottolinea Iannucci, “è l’unico modo oggi per intercettare i giovani, ma anche per far rievocare la memoria degli anziani attraverso le famiglie”.

Oggi la digital library è ancora in costruzione. Il materiale raccolto è tanto, e il lavoro di caricamento sul sito è un processo lento, accurato e partecipativo, che richiede tempo.

Un evento previsto per settembre sarà l’occasione per far conoscere alla cittadinanza i primi risultati, raccogliere nuove storie, rafforzare i legami. «Speriamo che un giorno la digital library non abbia nemmeno più bisogno di noi. Che diventi davvero di tutti. Che continui a crescere negli anni, magari raccogliendo anche le storie del 2000, del 2030, del 2050». Per Iannucci, «solo così una comunità può ritrovare se stessa» e immaginare collettivamente il proprio futuro.

#MemorieAttive

Questo è il terzo articolo di #MemorieAttive, la serie su come il welfare socio-cultura possa essere motore di cambiamento, realizzata da Percorsi di secondo welfare per Riverrun.

 

Note

  1. La gentrificazione è un processo di riqualificazione, mutamento fisico e della composizione sociale di determinate aree urbane, con conseguenze spesso non egualitarie sul piano socio-economico.
  2. Il modello urbanistico della “garden city” è stato teorizzato da Ebenezer Howard alla fine dell’Ottocento e puntava a coniugare abitazioni, spazi verdi e servizi pubblici all’interno di un contesto salubre, armonico e a misura d’uomo.
Foto di copertina: Fine anni '40, fraschetteria da "sora Jole” in via delle Vigne Nuove. Una sonata e cantata tra amici: Ninì Mandolini, Orlando Ruisi e Marcello Maruzzella, al centro sorridente la titolare Jole Sciffoni - Foto: Riverrun