5 ' di lettura
Salva pagina in PDF

Secondo gli ultimi dati Istat il settore non profit in Italia continua a rafforzarsi: le organizzazioni attive sono oltre 360.000 e contano circa 893.000 dipendenti e oltre 4,6 milioni di volontari (dati 2021). Tuttavia, il Terzo Settore italiano continua a dimostrare notevoli ritardi sul fronte delle competenze digitali di lavoratori, collaboratori e volontari, che invece sarebbero essenziali per consentire alle organizzazioni di massimizzare il potenziale delle nuove tecnologie nel perseguire missioni e obiettivi sociali. Per questo il Fondo per la Repubblica Digitale ha lanciato un bando ad hoc, che mette a disposizione circa 15 milioni di euro da investire in attività, in particolare formative, legate al digitale che vadano a colmare in questo gap. Ma andiamo con ordine.

Terzo Settore e digitale: a che punto siamo?

I dati definitivi del Censimento permanente delle istituzioni non profit dell’Istat (riferiti al 2021) confermano quanto già emerso con le rilevazioni preliminari del luglio scorso: il 79,5% delle istituzioni non profit italiane utilizza almeno una “tecnologia digitale”.

Nello specifico il 74,9% delle organizzazioni nel 2021 ha usato tecnologie digitali che consentono la connessione a internet (il 71,5% attraverso una tecnologia mobile, il 68,3% con connessione internet fissa in banda larga), il 36,1% ha utilizzato piattaforme digitali1, mentre il 28,4% si è avvalso di applicazioni mobile2. Una quota più contenuta, pari al 10,1%, ha acquistato servizi di cloud computing, il 2,2% ha adottato almeno un dispositivo relativo a internet delle cose (IoT)3robotica, stampa 3D o blockchain4, mentre solo l’1,1% ha utilizzato tecnologie e/o strumenti per analisi di big data5.

Questi dati risultano in rialzo rispetto alla precedente comunicazione di Istat, ma confermano le dinamiche su cui avevamo già avuto modo riflettere nel luglio scorso. La più evidente è che una quota importante delle organizzazioni non profit, pari al 20,5%, è “non digitalizzata”. Un numero certamente importante, anche alla luce dei percorsi di trasformazione digitale “forzati” dalla pandemia che in molti casi sembrano essersi bloccati. A meritare attenzione sono soprattutto le motivazioni fornite per spiegare questa condizione: la poca rilevanza per le attività svolte (29,8%), la mancanza di risorse finanziarie (26,4%), la scarsa cultura digitale (15,9%) e la carenza di personale qualificato (12,5%) e la mancanza di adeguata formazione in materia ICT (4,8%). Dati che confermano quanto Secondo Welfare e TechSoup sottolineavano nel Quaderno “Digitale per Bene“, in cui venivano messi in evidenza i fattori fondamentali senza i quali la trasformazione digitale risulta bloccata6.

Quello delle competenze, dunque, resta uno dei fronti prioritari su cui si dovrebbe intervenire per garantire una vera trasformazione digitale nelle organizzazioni di Terzo Settore.

Digitale per bene

 

L’impegno del Fondo per la Repubblica Digitale

In tal senso appare dunque molto interessante il nuovo impegno assunto dal Fondo per la Repubblica Digitale, strumento istituito nel 2022 grazie a una partnership tra il Governo italiano e l’ACRI, l’associazione che riunisce la Fondazioni di origine bancaria, per rafforzare le competenze digitali e ridurre il digital divide7 e contrastare così le disuguaglianze sociali.

Il Fondo, il cui funzionamento mutua la positiva esperienza del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile, ha una dotazione di 350 milioni di euro per il periodo 2022-20268 attraverso cui finanzia bandi per ridurre il divario digitale e sociale in alcuni settori chiave. Il Fondo finora ha finanziato 23 progetti dedicati a donne e NEET e 53 iniziative che mirano a incrementare le competenze di persone ai margini del Mercato o a forte rischio di sostituibilità a causa dell’automazione e dell’innovazione tecnologica. Da poco è stata chiusa la selezione di CrescerAI, che ha stanziato 2,2 milioni per progetti basati sull’intelligenza artificiale, mentre è in corso quella di “Polaris”, bando da 20 milioni di euro che sosterrà progetti rivolti alla formazione e all’orientamento di studenti e studentesse delle scuole secondarie di primo e secondo grado verso materie STEM e ICT.

Ora il Fondo si concentrerà proprio sul mondo del Terzo Settore.

Accessibilità digitale. Un obiettivo buono e utile. Per tutti.

Il bando “Digitale sociale”

Con l’obiettivo di sostenere progetti rivolti all’empowerment di conoscenze e competenze digitali di dipendenti, collaboratori stabili e volontari degli enti che operano in uno o più settori di interesse generale dell’economia sociale, il Fondo per la Repubblica Digitale ha da poco pubblicato “Digitale sociale”, un bando da 15 milioni di euro rivolto proprio al Terzo Settore.

Le proposte progettuali possono essere presentate da partenariati di almeno due soggetti. All’interno del partenariato dovranno essere presenti una rete formale o un gruppo di enti privati non profit che presentano un bisogno comune di empowerment delle competenze digitali dei propri dipendenti e/o collaboratori stabili, inclusi i volontari; un soggetto pubblico o privato non profit con comprovata esperienza nella realizzazione di progetti in ambito digitale, che contribuisca a costruire il percorso formativo più adatto alle esigenze manifestate e sia eventualmente in grado di sviluppare una soluzione digitale funzionale alle necessità degli enti.

Ogni progetto può essere sostenuto con un minimo di 500.000 euro e un massimo di 1 milione. Qualora si preveda lo sviluppo di una soluzione digitale è richiesta una quota di cofinanziamento pari ad almeno il 20%. Gli enti for profit possono essere coinvolti come fornitori per l’erogazione della formazione e/o l’implementazione della soluzione digitale per una quota massima del 25% del contributo di progetto.

C’è tempo fino al 19 luglio per partecipare attraverso il portale Re@dy. Per tutti i dettagli relativi alla partecipazione al bando “Digitale sociale” si può consultare il sito del Fondo per la Repubblica Digitale.

 

Note

  1. Per Istat in questa definizione rientrano “infrastrutture digitali in grado di connettere tra loro sistemi diversi ed esporli agli utenti attraverso interfacce semplificate ed integrate, generalmente un’applicazione mobile o un sito web. Sono incluse le piattaforme digitali di Open Innovation“.
  2. Per Istat sono “programmi specificatamente sviluppati per essere utilizzati su dispositivi quali smartphone o tablet”.
  3. Secondo la definizione di Istat si tratta di “dispositivi o sistemi interconnessi, spesso chiamati intelligenti, che raccolgono e scambiano dati e possono essere monitorati o controllati da remoto via Internet”.
  4. Letteralmente “catena di blocchi”, Istat la descrive come un “registro di dati digitale distribuito, immutabile e condiviso apertamente. Queste caratteristiche permettono la digitalizzazione dei dati, la loro distribuzione, la tracciabilità dei trasferimenti, la trasparenza e verificabilità delle informazioni, l’immutabilità del registro e programmabilità dei trasferimenti effettuati“. Del ricorso del Terzo Settore alla blockchain avevamo parlato qui.
  5. Secondo la definizione di Istat si tratta di “dati generati elettronicamente, caratterizzati da volume significativo (grandi quantità di dati generati nel corso del tempo); varietà di formato (strutturati o meno); velocità con cui sono generati, diventano disponibili e si modificano nel tempo. I big data sono, ad esempio, i dati ottenuti dalle attività svolte sui social media, dai processi di produzione, dalla geolocalizzazione. L’analisi dei big data prevede l’uso di tecniche, tecnologie e strumenti software applicati a grandi quantità di informazioni ottenute da fonti di dati proprie o da altre fonti”.
  6. In sintesi nei processi di trasformazione digitale del Terzo Settore: 1. Le persone contano: perché spesso legati alla volontà di singoli che, frequentemente operano al di fuori degli schemi organizzativi esistenti. 2. I soldi non sono tutto:  il tema economico è importante ma non bloccante; sono infatti numerose le risorse, in particolare filantropiche, a cui si può attingere. 3. Idee chiare ma com flessibilità: le organizzazioni devono darsi obiettivi definiti ma anche saper leggere i segni lungo la strada per saper deviare, se necessario. 4. Guardare oltre facendosi aiutare: ricorrere a fornitori o collaboratori esterni per superare diffidenze e difficoltà, creando opportunità di apprendimento, ibridazione e crescita. 5. Il tema aperto della valutazione: facilitando la raccolta sistematica di dati e informazioni il digitale ha apparentemente reso più semplice realizzare processi di valutazione dell’impatto, su cui tuttavia permane una certa immaturità delle organizzazioni.
  7. Il divario esistente – per ragioni economiche, educative, infrastrutturali, sociali, demografiche e di genere – tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie dell’informazione (come computer, tablet, connessione internet, etc.) e chi ne è escluso, in modo parziale o totale.
  8. Le risorse sono garantite dalle Fondazioni di origine bancaria, che possono godere di un credito di imposta variabile tra i 65% e il 75% per le risorse versate nel fondo al fine di sostenere progetti rivolti alla formazione e all’inclusione digitale. Tali fondi sono gestiti da un’impresa sociale che si occupa della redazione e la pubblicazione di bandi, l’istruttoria ex ante delle proposte di progetto, il monitoraggio la selezione e approvazione delle iniziative idonee, che rientrano cioè nell’ambito degli obiettivi di digitalizzazione previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Foto di copertina: Generata con DALL·E di OpenAI su prompt di Secondo Welfare