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Dopo le anticipazioni di stampa, di volta in volta smentite, la riforma del Reddito di Cittadinanza (RdC) ha preso forma con l’approvazione del nuovo decreto lavoro.

Il nostro schema di reddito minimo garantito subirà profonde modifiche, venendo sostanzialmente sdoppiato in una misura categoriale di contrasto alla povertà rivolta ai nuclei familiari con minori, anziani, disabili a carico – l’Assegno di Inclusione – e un Supporto per la formazione e il lavoro rivolto alle persone occupabili per un massimo di 12 mesi e collegato a programmi di formazione e progetti utili alla collettività.

In questo articolo che riprende i contenuti di un nostro saggio pubblicato sul numero 3/2022 della rivista Stato e Mercato, discutiamo i meccanismi di cumulo tra sussidio e reddito di lavoro.

Schemi di reddito minimo legati al lavoro

Precedenti analisi come il position paper dell’Alleanza contro la Povertà di ottobre 2021 e il successivo Rapporto del Comitato Scientifico per la valutazione del Reddito di Cittadinanza hanno segnalato l’importanza per gli schemi di reddito minimo garantito di meccanismi di cumulo che facilitino la combinazione tra lavoro e reddito, come peraltro avviene già in altri Paesi europei. Si chiamano In-Work Benefit (IWB) e costituiscono un meccanismo di integrazione ai bassi redditi che aumenta l’attrattività del lavoro, rendendo meno conveniente l’inattività o peggio la combinazione tra sussidio e lavoro nero.

L’utilità di strumenti di questo tipo non risiede, però, solo in questo. Se pensati come schemi modulabili rivolti ad ampie platee di beneficiari (percettori di sussidi e lavoratori a basso reddito) che crescono inizialmente al crescere del reddito per poi diminuire sino ad annullarsi in corrispondenza di un reddito adeguato, gli IWB possono costituire uno strumento assai utile nel contrasto alla povertà pur in presenza di occupazione.

Working poor: le proposte degli esperti per contrastare la povertà lavorativa

D’altra parte, il rischio povertà è un fenomeno che riguarda oggi non solo le fasce più marginali della popolazione, ma sempre più anche chi, pur lavorando, rimane intrappolato in condizioni di povertà, sia esso un working poor o un lavoratore a basso reddito. I criteri di accesso e l’importo di questi trasferimenti possono variare molto da un Paese all’altro, a seconda della composizione del nucleo familiare, delle ore lavorate e dell’orientamento del sistema di welfare a sostenere i redditi familiari oppure individuali.

Gli IBW contrastano la povertà lavorativa?

La maggior parte degli studi presi in considerazione nel saggio citato evidenzia effetti positivi sull’offerta di lavoro, così come sulla riduzione del rischio povertà. Quest’ultimo aspetto vale in particolare nei sistemi in cui gli IWB hanno come terminale di riferimento la famiglia, più che il singolo individuo. Viceversa, laddove il trasferimento è rivolto al singolo, l’effetto più marcato è sull’attivazione, ovvero sulla propensione a rimanere nel mercato del lavoro.

Altri studi hanno sottolineato l’importanza di ancorare gli IWB al salario minimo legale, non solo come parametro di riferimento per il trasferimento, ma anche per evitare possibili effetti distorsivi, ovvero che questi strumenti vengano utilizzati dai datori di lavoro come sostitutivi del salario. Queste considerazioni spingono verso l’introduzione congiunta del salario minimo e degli IWB, così da ridurre al minimo i rischi di sfruttamento o di esclusione dal mercato del lavoro delle categorie marginali e trarre effettivamente il meglio da entrambi i sistemi.

Alla luce di questo, e dei gravi limiti al riguardo mostrati dal disegno del Reddito di Cittadinanza (si veda il position paper dell’Alleanza contro la povertà), la riforma introdotta dal governo Meloni muove solo un timido passo nella direzione di quanto occorrerebbe. Così come già previsto dalla Legge di bilancio per il RdC nel 2023, il futuro Assegno di Inclusione in vigore dal 2024 introduce infatti soltanto un meccanismo molto rudimentale di cumulo tra sussidio e reddito da lavoro.

La povertà va affrontata in un’ottica multidimensionale

Nel caso un beneficiario trovi una occupazione o accetti offerte di lavoro anche di durata inferiore a un mese, il reddito percepito non concorre alla determinazione del sussidio entro il limite di 3.000 euro. Oltre tale soglia, l’aliquota marginale effettiva sul reddito da lavoro è del 100%, cioè ogni euro di reddito da lavoro riduce di un euro il sussidio. Questo vale, inoltre, solo per il reddito da lavoro trovato durante la percezione del sussidio, mentre (in modo analogo al Reddito di Cittadinanza, e diversamente da quanto avveniva con il Reddito di Inclusione) il reddito da lavoro entra per l’intero nel computo del reddito familiare che determina l’accesso all’Assegno di Inclusione e il suo importo.

Il calcolo sulle risorse a livello familiare

L’introduzione di un IWB efficace nel contesto italiano avrebbe invece dovuto essere considerata una priorità nel disegno dell’Assegno di Inclusione, così come – a maggior ragione – in quello del Supporto per la formazione e il lavoro, tanto più alla luce dei profili di rischio emergenti dopo la pandemia.

Analisi sulla banca dati INAPP-Plus 2021 mostrano che la probabilità di diventare beneficiari di RdC dopo la pandemia (successivamente a marzo 2020) è aumentata, tra le persone più vicine al mercato del lavoro, per gli occupati nel settore manifatturiero e per i lavoratori a basso salario. Tra questi ultimi, spiccano tre categorie occupazionali: tecnici, impiegati di supporto e addetti ai servizi e alle vendite. Sono queste le categorie che beneficerebbero maggiormente degli IWB, in quanto destinatarie di reddito minimo più vicine al mercato del lavoro, ma nel segmento a basso salario.

Questo approccio ha tuttavia un limite. L’accesso al RdC è una questione di risorse a livello familiare. Quindi osservare se e quando si è acceduto al beneficio potrebbe non essere interamente correlato allo stato e alle circostanze del mercato del lavoro individuale. Per tale motivo, al fine di valutare la probabilità di essere un futuro beneficiario di reti di sicurezza, tra cui il reddito minimo (e quindi gli IWB), abbiamo bisogno di un’indagine sui profili maggiormente colpiti dalla pandemia tra i lavoratori a basso salario, confrontando la probabilità di uscire dall’occupazione prima e dopo la pandemia.

Calcoliamo quindi, sulla base delle banche dati EU-LFS in riferimento al 2019 e INAPP-Plus per il 2021, la variazione delle probabilità previste di transizione verso la disoccupazione per professioni e settori per i lavoratori a basso salario (primo e secondo decile; terzo e quarto decile).

Le figure seguenti mostrano che nella maggior parte dei settori c’è stato un aumento della probabilità di transitare in disoccupazione tra il 2018/2019 e il 2020/2021. I lavoratori impiegati nei servizi di alloggio e ristorazione e nei servizi di informazione e comunicazione sono particolarmente colpiti dalla pandemia sia nel primo e nel secondo che nel terzo e quarto decile della distribuzione salariale, seguiti da quelli impiegati nel settore manifatturiero e (in modo meno marcato) nelle costruzioni. Tra i lavoratori con i salari più bassi (primi due decili), spicca il settore delle arti, dello spettacolo e del tempo libero.

Per quanto riguarda le professioni, sia tra il primo e il secondo decile salariale che tra il terzo e il quarto decile, tre professioni mostrano probabilità nettamente più elevate di transitare in disoccupazione dopo la pandemia rispetto a prima: gli addetti ai servizi e alle vendite, gli operatori di impianti e macchinari e le professioni elementari.

Riassumendo, dopo la pandemia la rilevanza degli IWB potrebbe diventare ancora maggiore, in quanto potrebbe aumentare il rischio di dover fare affidamento su reti di sicurezza da parte di determinate categorie di individui precedentemente occupati. Questi sono prevalentemente lavoratori a basso salario in settori e professioni particolarmente esposti ai cambiamenti strutturali che sembrano manifestarsi nei mercati del lavoro post-pandemia.

Tali intuizioni sembrano trovare conferma nell’analisi dei beneficiari del reddito minimo italiano, dove i lavoratori a basso salario nelle professioni dei servizi e delle vendite hanno maggiori probabilità di diventare beneficiari di RdC in seguito alla pandemia, così come nell’analisi delle transizioni verso la disoccupazione nel mercato del lavoro italiano post-pandemia. Tra i lavoratori a basso salario, più a rischio sono quelli impiegati nei settori dei servizi, tra cui alloggio e ristorazione, e nelle professioni dei servizi e delle vendite e nelle professioni elementari.

Un’occasione mancata

I potenziali beneficiari di reti di sicurezza, tra cui il reddito minimo, pongono sfide specifiche allo Stato sociale. Da un lato, è probabile che siano più facilmente rioccupabili rispetto al beneficiario medio del reddito minimo. Dall’altro, hanno un forte bisogno di servizi di riqualificazione mirati, poiché probabilmente dovranno trovare un impiego in un settore economico o in una professione diversi da quelli in cui erano impiegati. Per questo motivo sono necessarie politiche attive ben funzionanti, che rispondano a tali esigenze piuttosto che basarsi su programmi di formazione generale, spesso predefinita a catalogo.

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Allo stesso tempo, queste persone hanno ancora bisogno di un sostegno al reddito durante la riqualificazione e/o la ricerca di un lavoro adeguatamente retribuito. Date le loro caratteristiche, sarebbe utile disporre di IWB, per incentivare l’occupazione retribuita. A questo proposito, piuttosto che negare l’accesso allo schema di reddito minimo ai richiedenti “occupabili”, la riforma sarebbe dovuta andare nella direzione di fornire incentivi molto più alti a trovare un lavoro rispetto a quanto avveniva con il RdC.

Una riforma dello schema di reddito minimo nel contesto italiano avrebbe dovuto essere ridisegnata in modo da renderla un vero e proprio IWB, che incoraggi l’inizio di un’attività lavorativa regolare (dipendente o autonoma) durante la disoccupazione attraverso un’aliquota marginale effettiva (cioè un tasso di riduzione della prestazione di reddito minimo) accessibile.

Allo stesso tempo, il reddito minimo avrebbe potuto funzionare strutturalmente come uno schema di integrazione del reddito secondo regole di compatibilità più favorevoli al mantenimento dell’occupazione rispetto a quelle del RdC, evitando il rischio che un lavoratore lasci l’impiego per ottenere il sussidio. Da questo punto di vista, sebbene la franchigia di 3.000 euro costituisca un aspetto positivo, la riforma introdotta dal governo Meloni costituisce senza dubbio un’occasione mancata.