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La questione del gender gap è particolarmente dibattuta in Italia e anche Secondo Welfare se ne è occupato a più riprese e da diversi punti di osservazione. Sul tema riceviamo e pubblichiamo questo contributo di Luca Furfaro, consulente del lavoro.

Ora come non mai stiamo vivendo un momento cruciale per la storia dei diritti correlati all’uguaglianza di genere, uno dei temi più caldi e delicati nel dibattito quotidiano: se ne parla davvero tanto sia per sensibilizzare, sia per cercare di cambiare le cose. Le donne conducono da sempre la battaglia per avere gli stessi diritti degli uomini, soprattutto sul fronte professionale, e nel corso del tempo le misure atte a incidere sul problema sono state quasi marginali: si stima infatti che in Europa le donne guadagnino in media il 12,7% all’ora in meno rispetto agli uomini, un valore che si attesta intorno al 5% in Italia.

I motivi attribuibili a questa discriminazione salariale sono disparati, dal livello di istruzione, all’esperienza lavorativa, fino ad arrivare ai ruoli occupazionali e manageriali diversi. In una situazione in continuo fermento in cui le donne, sempre più consapevoli dei loro diritti, esprimono attraverso azioni dimostrative la necessità di una maggiore parità di trattamento – basti pensare allo sciopero delle donne in Islanda che il 24 ottobre hanno manifestato contro la violenza di genere e l’eterogeneità degli stipendi – la direttiva europea sulla parità salariale non può di certo passare inosservata. Questa direttiva, infatti, introdotta dall’Unione europea quest’estate, ha detto addio al segreto sugli stipendi: le aziende così saranno obbligate a comunicare, negli annunci di lavoro o nel primo colloquio, i dati economici per la posizione offerta, garantendo così una trasparenza finalizzata a ridurre il gender pay gap.

Perché abbiamo bisogno di trasparenza retributiva?

La direttiva, in altre parole, riconosce il diritto all’informazione al fine quindi di evitare discriminazioni di genere. Alla luce di ciò, nel corso dei prossimi tre anni, le aziende con più di 50 dipendenti dovranno impegnarsi a correggere le discriminazioni salariali ingiustificate, eliminando il segreto retributivo anche nelle fasi di primo approccio e assunzione. Sebbene, il cambio debba essere sempre culturale e non solo legislativo, in Italia è stato introdotto nel 2022 la Certificazione della parità di genere che ha preso piede soprattutto negli ultimi mesi: si tratta di un’azione pensata per le aziende intente a minimizzare il gender gap sul posto di lavoro.

Certificazione della parità di genere in Italia: come funziona e come richiederla

La Certificazione della parità di genere può essere vista come un intervento a favore dell’uguaglianza e dell’empowerment femminile a livello aziendale, in quanto impegna le aziende che la richiedono ad avere una trasparenza e una correttezza tale da ottenere il certificato stesso, non solo considerando le politiche di genere, ma in generale per tutto ciò che concerne gli aspetti legati al welfare. Per comprendere al meglio il suo funzionamento possiamo parlare di tre punti principali, i KPI, la validità e i vantaggi contributivi. Innanzitutto, ogni azienda può richiedere la certificazione della parità di genere: verranno presi in considerazione per l’analisi diversi parametri, detti KPI, in relazione a sei aree di valutazione, partendo da come sono scritti gli annunci di lavoro, affinché non siano discriminatori e dal processo di selezione, passando all’aspetto retributivo per genere e le politiche di welfare, in particolare quelle per la famiglia, ed anche l’equa distribuzione tra i sessi nelle posizioni manageriali e direzionali.

La certificazione di genere per le imprese: tutto oro quel che luccica?

Nello specifico le aree di valutazione sono: cultura e strategia, governance, processi Human Resources, equità remunerativa, opportunità di crescita e inclusione e infine, genitorialità e conciliazione vita-lavoro. A ogni parametro è associato un punteggio e la loro misurazione deve raggiungere un minimo complessivo del 60%. La certificazione poi ha validità triennale ed è soggetta a monitoraggio annuale: ci possono essere però alcuni casi in cui l’azienda ottiene il certificato nonostante abbia alcune lacune aziendali: quest’ultime verranno analizzate e verranno forniti correttivi o suggerimenti per colmare tali mancanze che saranno poi verificati nei successivi monitoraggi. La valutazione rispetto al raggiungimento della certificazione viene effettuata in maniera differenziata a seconda anche della tipologia d’impresa (micro Impresa, piccola media o grande impresa).

Infine, per promuovere tale certificazione, il sistema prevede un meccanismo di premialità: tutte le aziende che richiedono e conseguono il certificato hanno un vantaggio contributivo del’1%, oltre alla possibilità di un miglior punteggio in bandi per finanziamenti ed appalti che stanno, nel tempo, premiando maggiormente anche gli standard di comportamento etici. Nella mia esperienza come tecnico certificatore di questo certificato, le aziende che fino ad ora ne hanno fatto richiesta appartengono a ambiti lavorativi diversi e disparati. Anche se ci saranno sempre alcuni campi a prevalenza femminile o maschile, l’importante resta garantire un equilibrio in merito a opportunità e remunerazione: non si deve per forza raggiungere la stessa parità di presenza, ma sarebbe sempre arricchente avere delle differenze piuttosto che un pensiero uniforme, avere per esempio più visioni femminili nelle STEM potrebbe arricchire il settore.

L’importanza delle politiche di welfare e della responsabilità sociale d’impresa

In conclusione possiamo dire che le aziende dovrebbero curarsi di più della loro responsabilità sociale d’impresa, che include anche il gender pay gap: questa certificazione ha infatti la finalità di evidenziare quelli che sono gli standard che tutte le aziende dovrebbero tenere e mantenere nel tempo. La certificazione non può essere vista come un punto d’arrivo, deve invece essere vista come una riflessione su quella che è la situazione aziendale per migliorarsi nel futuro. Tale tema risulta centrale anche per le politiche familiari di incremento della natalità, oggi focus di discussione politica.

Sostenibilità e Responsabilità Sociale d’Impresa: l’importanza di creare sinergie

Anche il welfare aziendale potrebbe aiutare la causa per dare a tutti le medesime possibilità e capacità competitive: dovrebbe, infatti, in tal senso, lavorare per distribuire i carichi e le esigenze familiari tra i due genitori; inoltre, ci sarebbe bisogno anche di maggiore welfare, di carattere statale o territoriale, legato agli asili, strutture che possono dar modo così di occuparsi al contempo di famiglia e lavoro. Il discorso non è semplice, ma le misure atte a contenere le discriminazioni riguardano una serie di temi importanti per tutte le aziende che dovrebbero fare la loro mossa e dimostrare il loro impegno.

Foto di copertina: Kenneth Sørensen, Unsplash.com