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L’articolo che segue è parte di “Allargare lo sguardo sulla conciliazione”, dispensa che raccoglie approfondimenti tematici per i partecipanti del modulo formativo “Rinnovare le RTC: reti e nuove logiche per innovare i servizi locali” realizzato da WorkLife Community.

Nell’aprile 2022, è entrata in vigore la cosiddetta certificazione di genere per le imprese e, nel gennaio 2023, Regione Lombardia ha stanziato ulteriori finanziamenti a fondo perduto per sostenere le micro, piccole e medie imprese che intendono intraprendere l’iter per il suo ottenimento. Ma la certificazione di genere favorisce davvero la parità?

La certificazione di genere in Italia

Prevista all’interno del PNRR quale strumento in grado di ridurre il divario di genere nell’ambito lavorativo, la prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022 è stata pubblicata il 16 marzo 2022 e presentata dalla Ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti e dal Presidente di UNI – Ente Italiano di Normazione – Giuseppe Rossi. Recepita nell’ordinamento italiano con il decreto del 29 aprile 2022, prevede l’adozione di specifici indicatori chiave che hanno l’obiettivo di valutare la prestazione delle organizzazioni in termini di adozione e implementazione delle politiche per la parità di genere.

Giulia Greppi ha riportato le prime informazioni disponibili in merito alla prassi appena pubblicata e ai criteri per l’ottenimento della certificazione, che prevedono la misurazione, la rendicontazione e la valutazione dei dati di genere nelle organizzazioni con l’obiettivo ultimo di colmare l’attuale gender gap.

La prassi si prefigge di raggiungere questo obiettivo incorporando nella cultura aziendale un nuovo paradigma che, nel lungo periodo, sia capace di generare un cambiamento sostenibile e durevole. Per rendere efficaci le azioni, sono state identificate 6 Aree d’intervento all’interno delle quali sono specificati vari Key Performance Indicators, sia qualitativi che quantitativi, utili a contraddistinguere il livello di inclusività e di parità raggiunto da un’organizzazione:

  1. Cultura e strategia (15%);
  2. Governance (15%);
  3. Processi HR (10%);
  4. Opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda (20%);
  5. Equità remunerativa per genere (20%);
  6. Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro (20%).

La certificazione ha validità triennale, ma è soggetta a monitoraggio annuale. Ad eccezione delle Partite IVA senza dipendenti o figure addette, la certificazione può dunque essere richiesta da organizzazioni e imprese di tutte le dimensioni su base volontaria e su richiesta dell’impresa; può essere quindi ottenuta con una soglia minima del 60%.

Costi e benefici

Sono tre gli obiettivi concordati con l’Unione Europea: il primo – l’unico raggiunto al momento – riguardava l’entrata in vigore il sistema di certificazione entro dicembre 2022. Il secondo, da raggiungere entro il 2026, è di far ottenere la certificazione ad almeno 800 imprese (di cui 450 micro, piccole e medie imprese) e di riuscire ad assicurare sostegno e assistenza tecnica a tal fine ad almeno 1000 imprese.

In un tessuto produttivo come quello italiano, caratterizzato dalla prevalenza di micro, piccole e medie imprese, il principale limite con cui questo provvedimento si scontra è quello dei costi che un adeguamento in questi termini potrebbe comportare. È proprio per garantire la coerenza con le diverse realtà aziendali che i KPI potranno essere applicati in modo proporzionale e graduale rispetto al profilo dimensionale dell’organizzazione, tenendo dunque conto degli specifici livelli di articolazione e complessità.

La dotazione finanziaria per la certificazione di genere è di circa 10 milioni di euro. Di questi, 2 milioni sono stati impiegati nella progettazione di una piattaforma online che rappresenti un sistema informativo e di raccolta dati disaggregati per genere (ancora non disponibili) e di informazioni sulla certificazione. Risorse pari a 5,5 milioni, invece, sono state destinate alla copertura dei costi di certificazione delle micro, piccole e medie imprese con un contributo massimo per impresa pari a 12.500 euro.

Per beneficiare di questi contributi, gli Organismi accreditati dovranno rispondere a un avviso pubblico (entro il 30 giugno 2026) e prestare i propri servizi alle imprese che non ne sosterranno direttamente il costo, poiché esso sarà coperto da Unioncamere attraverso i fondi del PNRR. Sempre per le micro, piccole e medie imprese, un’ulteriore misura di supporto riguarda la previsione di un servizio di assistenza tecnica e accompagnamento durante il processo di certificazione coperto tramite un sistema di voucher del valore massimo di 2.500 euro a impresa (il cui relativo avviso è in fase di pubblicazione).

A maggio 2023, le aziende che hanno già aderito e ottenuto la certificazione sono 305, dato che dimostra come il sistema economico stia cogliendo le opportunità che derivano dall’implementazione di questo strumento. L’art. 5 della Legge nr. 162/21 introduce dei vantaggi economici diretti per le imprese – quale l’esonero dei contributi previdenziali in misura non superiore all’1% e nel limite massimo di 50mila euro annui a impresa. Inoltre, la cosiddetta Legge Gribaudo prevede anche vantaggi economici indiretti, come l’attribuzione di un punteggio premiale in caso di presentazione di proposte progettuali per ricevere finanziamenti valutati da parte delle autorità titolari di fondi europei, nazioni e regionali, ma anche una premialità legata al possesso della certificazione nelle procedure di gara.

Su quest’ultimo punto, è importante ricordare che il Codice dei contratti pubblici è attualmente oggetto di una riforma che mira alla sua semplificazione ma che, al contempo, pare non contenere più alcun riferimento alla certificazione di genere così come prevista dall’art. 46 bis del Codice delle pari opportunità. È perciò fondamentale sottolineare come una tale mancanza costituirebbe un vero e proprio depotenziamento di quello che la PdR ha posto come obiettivo principale, ossia contribuire a “incorporare il nuovo paradigma relativo alla parità di genere nel DNA delle organizzazioni e produrre un cambiamento sostenibile e durevole nel tempo”.

Il contributo di Regione Lombardia

Il 23 gennaio 2023 Regione Lombardia ha approvato l’avviso pubblico “Verso la certificazione della parità di genere” nell’ambito della programmazione regionale FSE+ (2021-2027), con il quale intende sostenere le micro, piccole e medie imprese lombarde che intendono intraprendere il percorso volto all’ottenimento della certificazione della parità di genere.

L’avvio ha previsto due linee di finanziamento. La prima prevede l’erogazione di un contributo per servizi di consulenza specialistica che permettano di acquisire gli strumenti necessari per impostare un sistema di gestione delle pari opportunità capace di mutare nel tempo seguendo le sempre nuove esigenze dell’azienda (Linea di finanziamento A, del valore di 4 milioni di euro). La seconda, invece, prevede l’erogazione di un contributo che copra i costi sostenuti dalle imprese per ottenere la certificazione (Linea di finanziamento B, del valore di 6 milioni di euro).

Il 1° febbraio 2023 è stata aperta alle organizzazioni del territorio la possibilità di presentare domanda di finanziamento: sarà possibile farlo fino a esaurimento della dotazione finanziaria, o comunque non oltre il 13 dicembre 2024. Se, da un lato, le imprese possono richiedere l’accesso al solo contributo relativo alla linea B di finanziamento, coloro che intendono beneficiare dei contributi destinati ai servizi di consulenza specialistica (linea di finanziamento A) dovranno necessariamente richiedere anche quelli relativi alla copertura dei costi per l’ottenimento della certificazione di genere.

Questi contributi non sono cumulabili con altre agevolazioni e saranno dunque riconosciuti – e liquidati – esclusivamente ai beneficiari che avranno ottenuto la certificazione della parità di genere. In caso di esito positivo del percorso, saranno dunque concessi a fondo perduto e sotto forma di voucher aziendale, il cui valore varia in relazione al numero di dipendenti delle sedi operative/unità produttive localizzate sul territorio di Regione Lombardia, essendo dunque fruibile all’interno dei massimali descritti nella sottostante Tabella 1. Per entrambe le Linee di finanziamento il contributo pubblico erogato per singola impresa non potrà superare l’80% delle spese ammissibili.

Tabella 1. Massimali previsti per i voucher delle linee di finanziamento A e B nell’ambito dell’Avviso pubblico “Verso la certificazione della parità di genere” di Regione Lombardia per numero di dipendenti

C’è davvero bisogno della certificazione di genere?

La letteratura è concorde nell’evidenziare l’importanza di strumenti di questo tipo in merito alla loro capacità di aumentare la presenza femminile in contesti tradizionalmente maschili (Schramm 2019; Elting 2022) – un’efficacia che dipende soprattutto dal contesto e dalle modalità con cui tali misure vengono adottate. Lo stesso si può dunque dire per la certificazione di genere, che nella sua aspirazione a produrre un cambiamento del DNA delle imprese si prefigge l’obiettivo di incidere a livello strutturale nei divari occupazionali e retributivi che ancora oggi le donne affrontano nel mercato del lavoro italiano.

La ricerca ci dimostra che le aziende più inclusive sono in grado di generare un valore più elevato e sostenibile nel lungo periodo: i dati dell’Osservatorio 4Manager (2021) hanno rilevato che nel nostro paese l’equilibrio di genere in azienda potrebbe valere un incremento di circa il 12% del PIL entro il 2050. Questo dato è confermato anche dall’Osservatorio sull’Empowerment Femminile (2022), secondo cui il superamento del divario di genere relativo al tasso di occupazione varrebbe una crescita del PIL del 14% nei paesi aderenti al G20 (Figura 1).

Tuttavia, l’opportunità rappresentata dalla certificazione di genere di incentivare un cambiamento concreto degli attuali trend occupazionali rischia di essere depotenziata dal criterio della “volontarietà” delle imprese di certificarsi, così come dalle modifiche che mirano alla semplificazione del Codice dei contratti pubblici. In termini di parità di genere nel mercato del lavoro, infatti, rimane vero lo scarso posizionamento dell’Italia sulla scala del Global Gender Gap Index, dove si colloca 63°, ma scende vertiginosamente alla 110° posizione (su 146) per quanto riguarda l’indicatore relativo alla partecipazione economica e lavorativa (Global Gender Gap Report 2022).

Figura 1. Impatto economico generato se le retribuzioni e i tassi di occupazione di uomini e donne in ogni paese del G20+Spagna coincidessero (trillioni $), Osservatorio sul Women’s Empowerment, The European House Ambrosetti 2022

Se è pur vero che altre politiche complementari e più stringenti sulla questione dovrebbero essere adottate a livello nazionale, la certificazione di genere pare comunque rappresentare un primo passo verso la promozione delle pari opportunità tra uomini e donne all’interno del contesto aziendale. In particolare, il potenziale di questa misura riguarda il rafforzamento della capacità delle imprese di attrarre talenti femminili. L’ottenimento della certificazione di genere potrebbe poi essere particolarmente vincente quando coniugata con l’adozione di politiche innovative in termini di welfare aziendale, prevedendo misure, servizi e benefit che favoriscano la conciliazione dei tempi lavorativi con quelli dettati dalla vita privata per i dipendenti di entrambi i generi. In tal senso, anche misure che incentivano i padri a usufruire dei congedi parentali o di paternità potrebbero favorire un cambiamento a tutto tondo del DNA aziendale e favorire concretamente il raggiungimento della parità di genere, oltre al benessere dei/delle propri/e dipendenti.

 

Per approfondire

Foto di copertina: Cogitek.it