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Il diciottesimo Rapporto Rota prova a ragionare sui sistemi di welfare locale e, in particolare, a confrontare Torino con le altre metropoli italiane. Nel dibattito recente ricorre con frequenza l’affermazione per cui i modelli novecenteschi di welfare non sarebbero ormai più adatti a fornire risposte adeguate ai bisogni sociali. Di “crisi del welfare”, a dire il vero, si dibatte almeno da un trentennio, così come delle possibili soluzioni “alternative”, grosso modo riconducibili alle seguenti principali linee (Baccini, Pacini, 2016; Vecchiato, 2016):

  1. riequilibrio tra settori, spesso fortemente sbilanciati a vantaggio di alcuni e a discapito di altri (l’Italia, ad esempio, è prima nell’UE per quota di PIL in spesa pensionistica e, all’opposto, penultima e ultima, rispettivamente, per investimenti in protezione sociale dei giovani e delle famiglie; fonte: Schraad-Tischler, Schiller, 2016).
  2. mix organizzativo e gestionale pubblico-privato, ovvero: welfare society (anziché state), “sussidiarietà”, “secondo welfare”, ecc.;
  3. miglioramento di efficacia ed efficienza dei servizi e, quindi, anche dei sistemi di coordinamento e monitoraggio;
  4. servizi di welfare non più come mera “donazione”, bensì strumenti in grado sia di rafforzare i soggetti utenti (empowerment) sia di responsabilizzarli e attivarli in reti di scambio di servizi (welfare “di comunità”, “generativo”).

Per quanto riguarda il welfare “all’italiana”, in particolare, da più parti vengano richiamate due (storiche) debolezze nazionali: la difficoltà a fare sistema e una scarsa attitudine al monitoraggio e alla valutazione (Ferrera, Maino, 2013). Quanto a quest’ultimo aspetto, pur con fatica, si registrano segnali di inversione di tendenza, specie in alcuni processi che vedono per protagonisti soggetti del terzo settore. Al tempo stesso, sembra permanere una certa tendenza ad avviare nuovi progetti, riforme, innovazioni o, ancora, ad abolire – o abbandonare progressivamente – piani e progetti, prima ancora di averne valutato sistematicamente successi e insuccessi.

Anche nel caso di Torino – pur spesso indicata come una delle metropoli italiane più virtuose nell’ambito del welfare locale – si riscontra una certa tendenza alla proliferazione di piani e progetti, rifrome e controriforme. Ad esempio, nel 2008 il Comune lanciò un Piano regolatore sociale, allo scopo di censire e coordinare tutti i servizi sociali, pubblici e privati; tale piano, però, cadde sostanzialmente nel dimenticatoio nel giro di un biennio. Più o meno negli stessi anni, il Piano di zona – che la Regione chiedeva a ciascun consorzio socioassistenziale di elaborare entro il 2010 – nel caso di Torino è prima slittato temporalmente, quindi è stato scorporato in quattro “tavoli” tematici (povertà, casa, minori, integrazione sociosanitaria), di cui solo il primo ha compiuto passi avanti significativi.

A fine 2015 la Regione ha quindi lanciato un nuovo Patto per il sociale, articolato attorno a tre principali obiettivi strategici: contrastare la povertà, migliorare l’integrazione tra servizi sociali e sanitari, sviluppare politiche di sostegno a famiglie e genitori; il tutto attraverso processi partecipati e collaborativi tra pubblico e privato. A maggio 2016, “nel perimetro” di tale Patto, la Città metropolitana torinese ha messo a punto un proprio Piano sociale metropolitano: oltre ai tre obiettivi indicati dalla Regione, ha aggiunto le pari opportunità di genere, per il resto ribadendo l’enfasi su governance, condivisione di informazioni, “far rete” tra servizi, riflettere sull’operato dei servizi sociali pubblici. Come le altre zone della provincia torinese, anche il capoluogo avrebbe dovuto predisporre un proprio piano locale; il Comune di Torino, però, ha preferito concentrarsi su una razionalizzazione delle risorse umane, allo scopo di far fronte “con meno operatori sociali a crescenti bisogni e richieste”.

Se, dunque, il quadro della governance del welfare non risulta particolarmente brillante, diversi indicatori quantitativi, viceversa, rinviano un’immagine di Torino come una delle “isole felici” del welfare locale italiano. Ad esempio, gli stanziamenti del Comune per i servizi sociali – pur ridottisi negli ultimi anni – restano di gran lunga i più rilevanti in Italia (si veda la figura 1). Quanto al terzo settore impegnato nell’assistenza sociale, Torino risulta il quinto capoluogo metropolitano per numero di volontari in rapporto alla popolazione residente, seguendo Bologna, Venezia, Firenze e Cagliari. Se si considerano congiuntamente i due aspetti – investimenti del Comune e diffusione del volontariato – non pare delinearsi tanto un rapporto di sostituzione (in cui il terzo settore supplisce a un carente investimento pubblico) bensì una sorta di virtuosa relazione sinergica (si veda la tabella 2). La maggior parte delle metropoli italiane, infatti, presenta livelli simili di impegno dei Comuni e del volontariato: entrambi scarsi in quasi tutte le realtà del Sud, entrambi elevati in contesti come Torino, Cagliari, Venezia o Bologna.

Un effetto sostitutivo, se mai, sembra parzialmente emergere nel caso del settore profit: l’incidenza di imprese private nell’assistenza sociale e nella sanità (in rapporto alla popolazione residente) presenta infatti i valori più elevati in gran parte delle metropoli in cui risulta medio-basso l’impegno dei Comuni e del volontariato: a Catania ve ne sono 75,3 ogni 100.000 abitanti, a Palermo 75,1, a Milano 69,3, a Trieste 68,9, a Napoli 66,1, a Roma 65,1, a Messina 56,8. Valori decisamente inferiori si registrano, viceversa, a Torino (48,5), Bologna (45,8), Venezia (30,5); dati 2012, fonte: Infocamere Telemaco Stockview.


Spese dei Comuni per l’assistenza sociale (Euro per abitante)

 


Elaborazioni Rapporto Rota su dati Openbilanci

Assistenza sociale nei capoluoghi metropolitani: livelli di spesa del Comune e diffusione del volontariato 


Elaborazioni Rapporto Rota su dati 2012-14 Openbilanci e Censimento Non profit Istat 2011

Nell’area torinese, un altro indubbio punto di forza per le politiche sociali è costituito dall’ingente sostegno garantito dalle fondazioni di origine bancaria, soprattutto da parte della Compagnia di San Paolo. Quest’ultima – in controtendenza con la media delle fondazioni bancarie italiane – ha continuamente aumentato le proprie erogazioni per interventi socioassistenziali, già ben prima dell’esplodere della crisi del 2008. Da questo punto di vista, potendo contare anche sulla Fondazione CRT, la situazione torinese risulta assolutamente eccezionale: di recente le erogazioni dirette al settore assistenza sociale da parte delle due fondazioni torinesi sono state quasi pari all’ammontare complessivo di quanto speso per lo stesso settore da tutte le altre 86 fondazioni di origine bancaria attive oggi in Italia (si veda la figura 3).

Nel complesso, dunque, la realtà torinese emerge come uno dei contesti metropolitani in cui la nozione di “welfare mix” ha raggiunto probabilmente uno dei più elevati livelli di concreta attuazione. Basti pensare, ancora, che le otto maggiori organizzazioni di volontariato assistenziale torinese (Sermig, Caritas, ecc.) rispondono ogni anno ai bisogni di oltre 100.000 utenti, ossia più o meno il numero degli utenti dei servizi sociali del Comune. In termini di risorse umane, il terzo settore socioassistenziale mette in campo a Torino circa 17.000 volontari, che si aggiungono ai 1.400 operatori del Comune e dei Servizi sociali circoscrizionali. Lo stanziamento annuo delle due fondazioni bancarie locali per progetti assistenziali (di cui beneficia, per la gran parte, l’area torinese) è di circa 60 milioni, che si sommano ai 190 spesi dal Comune di Torino.


Erogazioni delle Fondazioni di origine bancaria italiane a sostegno di progetti nel settore socioassistenziale

Fonti: Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT, ACRI

Riferimenti bibliografici

Baccini L., Pacini L. (a cura di, 2016), Una lente sul welfare locale: sviluppi e tendenze, Cittalia, Anci
Davico L. (2017), I sistemi del welfare locale, in Recuperare la rotta. Diciottesimo Rapporto “Giorgio Rota” su Torino, Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi
Ferrera M., Maino F. (a cura di, 2013), Primo rapporto sul secondo welfare in Italia, Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi
Schraad-Tischler D., Schiller C. (2016), Social Justice in the EU. Index Report 2016. Social Inclusion Monitor Europe, Bertelsmann Stiftung
Vecchiato T. (2016), Contrasto della povertà e riordino dei servizi sociali, “Studi Zancan”, 1, pp.5-14