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Il programma Next Generation EU e le politiche espansive della Banca centrale hanno creato una situazione per molti aspetti speculare rispetto a quella di dieci anni fa, quando l’Europa (e in particolare l’Italia) era nel pieno della crisi finanziaria.  Non più “lacrime e sangue”,  ma politiche di spesa pubblica sovvenzionata dalla UE: una svolta difficile da immaginare persino nei sogni più sfrenati, come dicono gli inglesi.

Condizioni favorevoli e tappe da rispettare

L’avvio di un nuovo ciclo politico in direzione espansiva consente di superare quella “fatica da austerità” che ha creato forti turbolenze nell’ultimo decennio. La formazione del governo Draghi ha attutito le principali linee di conflitto ideologico, la maggioranza parlamentare comprende oggi tutti i partiti tranne Fratelli d’Italia, i Cinque Stelle hanno abbandonato il populismo delle origini, la Lega è molto meno euro-scettica.

Per ora almeno, il ciclo espansivo  sta seguendo una traiettoria ben definita per quanto riguarda obiettivi e metodi.  Ciò non dipende solo dalla competenza e la serietà di Mario Draghi, ma anche dalla necessità di rispettare i criteri e i tempi definiti con Bruxelles. Delle 51 “condizioni” da soddisfare entro quest’anno, siamo più o meno in linea con gli impegni previsti entro il terzo trimestre.  Ora ci aspetta lo sforzo più arduo: altre 42 condizioni entro fine anno, fra cui riforme importanti come il processo civile,  il regime delle insolvenze,  l’istruzione terziaria, la formazione e le politiche del lavoro, il fisco. Dobbiamo poi ovviamente realizzare gli investimenti  pubblici  già previsti.

Rischi da non sottovalutare

Consapevole dell’urgen­za, il Governo ha raffor­zato il ruolo della cabi­na di regia per sveltire i provvedimenti e spronare i Ministeri. Un ottimista potrebbe dire: fi­nalmente siamo entrati in un pe­riodo di quiete dopo la tempesta. Vi sono tuttavia segnali di rischio che non vanno sottovalutati. Nel nostro Paese i cicli politici espan­sivi hanno quasi sempre dato vita a spirali di irresponsabilità col­lettiva: compromessi spartitori, manipolazioni di natura cliente­ lare, voto di scambio. La monta­gna del debito pubblico è lì a di­mostrarlo. Per fortuna, le risorse del Next Generation Eu devono essere usate per investimenti pubblici. Non si possono creare “posti fissi” né distribuire pre­bende.

I ristori dispensati durante la pandemia hanno però abituato molte categorie a vivere di assi­stenza: l’aspettativa di potersi se­dere, anche di straforo, alla men­sa del Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) è ora molto elevata. Peraltro appalti, conces­sioni, prestiti, conferimenti e co­sì via ben si prestano a transazio­ni politiche di varia natura con gruppi di pressione e territori.

Oltre agli investimenti, il Pnrr prevede molte riforme strutturali, che toccano settori politicamente molto sensibili: magistra­tura, scuola e università, servizi pubblici, concorrenza. La revisio­ne di quota cento e del reddito di cittadinanza andrà a incidere sul “sistema nervoso” dello stato so­ciale, suscitando prevedibili resi­stenze.

Nei prossimi mesi, dunque, il governo Draghi potrebbe diven­tare il bersaglio di due fuochi: l’assalto alla diligenza della spe­sa, da un lato, e gli spari incrocia­ti fra interessi contrapposti dal­ l’altro. E dovrà difendersi senza ricorrere alla pratica più usata dai vari governi per gestire il conflitto distributivo: la mancata (o solo parziale) attuazione dei provvedi­menti più controversi. Dalle sem­plificazioni al mercato del lavoro, dal fisco al welfare, il “trucco” è sempre stato lo stesso: l’applica­zione delle norme generali è su­bordinata all’adozione di provve­dimenti secondari, che rimango­no nel cassetto. Con il Pnrr que­sta prassi non sarà possibile: la Commissione Ue ha messo le ma­ni avanti e fra le condizioni da ri­spettare ci saranno anche i prov­vedimenti attuativi.

Tsunami e impegni solenni

Il governo Draghi gode di auto­revolezza e popolarità, il seme­stre bianco garantisce un discreto orizzonte di stabilità politica. Il contesto è favorevole. Per contra­stare i rischi di comportamenti irresponsabili è tuttavia necessario che i partiti e i gruppi sociali più rappresentativi diano una prova straordinaria di maturità.

La pandemia non è stata un’alta marea: al suo ritiro non riemer­gerà ciò che c’era prima. Siamo stati colpiti da uno tsunami che ha distrutto, forse in modo irre­versibile, molti tasselli della struttura economica e sociale. Non possiamo cavarcela con un semplice rimbalzo. Il Pnrr ci in­dica una nuova strada, capace di superare i nodi critici che ali­mentano la nostra persistente vulnerabilità. Dai tempi della “Nota aggiuntiva” preparata da Ugo La Malfa agli albori del Cen­tro ­sinistra, nei primi anni Ses­santa, non avevamo mai potuto disporre di un piano strategico altrettanto ambizioso.

Se guardiamo a molte delle grandezze che indicano la “resi­lienza” di un Paese, la sua capaci­tà di competere e di fornire un futuro ai propri giovani, l’Italia è oggi messa peggio di dieci anni fa. Invece di essere sotto l’attacco dei mercati internazionali, abbia­mo la fortuna di poter investire circa duecento miliardi messi a disposizione dalla Ue. Più che nuovi patti sulla crescita o sul la­voro, quello che oggi serve è l’im­pegno solenne di tutti (parti so­ciali e partiti) a realizzare il Pnrr, a non considerarlo alla stregua di una diligenza da assaltare o con­tro cui levare gli scudi. L’impe­gno ad essere seri, insomma, e a cogliere senza indugio questa irripetibile occasione.

 


Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera del 26 settembre col titolo “Gli ostacoli davanti al PNRR: il rilancio ha tempi più stretti” ed è qui riprodotto previo consenso dell’autore.

Foto di copertina: Mario Draghi e Ursula von der Leyen durante la conferenza stampa di presentazione del Pnrr. Fonte: Palazzo Chigi