Il Fondo Sociale Europeo è “il principale strumento dell’UE per promuovere e rafforzare la coesione sociale nelle società europee”. Lo ha messo per iscritto, nero su bianco, la Commissione Europea in una delle proposte legislative per il prossimo bilancio UE pluriennale. Ma quanto strumento sarà effettivamente potente ed efficace è una questione ancora tutta da risolvere.
Come abbiamo visto nei nostri precedenti articoli, a Bruxelles sono in corso le trattative per il QFP, il Quadro Finanziario Pluriennale che definirà quanto e come l’Unione Europea spenderà nel corso del prossimo ciclo di bilancio, quello relativo al 2028-2034. Tra i capitoli di spesa c’è anche quello relativo agli investimenti sociali, che verrà fortemente influenzato dall’esito dei negoziati iniziati lo scorso luglio e ancora in pieno svolgimento.
Il timore è che, in un periodo in cui le priorità sono principalmente la difesa e la competitività, questo tipo di spese venga ridimensionato. Per questo, è utile fin d’ora capire cosa prevedono le proposte della Commissione Europea e quali aspetti saranno da seguire nel corso dei mesi che porteranno all’approvazione finale del QFP.
I timori per la cancellazione del FSE
Facciamo un passo indietro. Il Fondo Sociale Europeo è nato nel 1957, dopo la firma del Trattato di Roma che istituì la Comunità economica europea, prevedendo “interventi speciali” per promuovere uno “sviluppo armonico” dei territori della Comunità. Il suo obiettivo era sostenere l’occupazione e assicurare opportunità lavorative più eque, ed è sostanzialmente rimasto invariato ancora oggi.
L’attuale bilancio UE, che ha ribattezzato il FSE in FSE+ (Fondo Sociale Europeo Plus), ha stanziato per lo strumento circa 95 miliardi di euro per sette anni. In Italia il Fondo finanzia tre Programmi specifici nazionali, tre Programmi nazionali congiunti col Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) e Piani regionali sia specifici sia congiunti col FESR (la scelta spetta a ciascuna regione): ci sono interventi per per giovani, donne e lavoro, per il contrasto alla povertà, ma anche per le Città metropolitane e le città medie del Sud, la scuola e la sanità.
Il nuovo bilancio dell’Unione Europea potrebbe cambiare molte cose per le politiche sociali
Sono fondi importanti, sia per la quantità sia per la qualità delle iniziative che sostengono, come negli anni sono state per esempio l’introduzione in Italia della metodologia housing first per le persone senza dimora, la Strategia Nazionale di uguaglianza, inclusione e partecipazione di Rom e Sinti o i cosiddetti redditi di cittadinanza regionali che ancora esistono dopo la cancellazione di quello nazionale.
Eppure, a metà di quest’anno, sembrava che uno strumento tanto storico e tanto importante fosse arrivato al capolinea. Diverse testate specializzate in attualità UE, infatti, avevano riportato l’intenzione della Commissione di cancellare il FSE nella sua proposta per il nuovo bilancio pluriennale. L’allarme è poi rientrato e, nei testi legislativi presentati a luglio dalla Commissione, ve n’è anche uno dedicato al FSE, che nella nuova programmazione dovrebbe perdere il “+” e tornare a chiamarsi soltanto Fondo Sociale Europeo.
“La proposta – si legge nel testo – riflette l’attuale contesto sociale ed economico e fornisce una risposta concreta alla richiesta pubblica di un’Europa più sociale e di un rafforzamento degli investimenti nelle persone nell’Unione europea”. L’obiettivo generale della proposta, ribadisce il documento, “è realizzare un’Europa sociale più efficiente e resiliente e attuare il pilastro europeo dei diritti sociali”.
Un campo di intervento più ampio…
Nel testo vengono citate tutte le iniziative cui il prossimo FSE dovrà contribuire, come la Garanzia Giovani e quella per l’Infanzia, e le categorie di cittadini e cittadine che dovranno essere sostenute: dalle persone con disabilità ai working poor, dalla minoranza Rom agli homeless.
“I campi di intervento del FSE mi sembrano crescere”, sostiene l’esperto di fondi UE Antonio Bonetti, dopo aver letto la proposta di testo legislativo. “Inizialmente, nella sua lunga storia, questo era un fondo per l’aggiornamento professionale dei lavoratori, specialmente quelli che avevano perduto l’impiego. Ora, invece, mi sembra che venga rafforzato l’orientamento sociale dello strumento, ma è un aspetto che andrà capito meglio nei prossimi mesi”, continua, riferendosi al fatto che la proposta di regolamento dovrà essere approvata da Consiglio dell’UE e Parlamento Europeo entro la fine del 2027.

Bonetti argomenta la sua posizione spiegando che il nuovo regolamento indica alcuni campi di intervento ripresi da quelli dell’attuale FSE+: sostegno all’occupazione, potenziamento dell’offerta di lavoro, miglioramento nell’acquisire competenze, promozione dell’inclusione sociale. Il testo però ne aggiunge anche di nuovi e rilevanti. Due passaggi del documento, in particolare, hanno attirato l’attenzione dell’esperto ed entrambi parlano di “pari opportunità”.
Il primo dice che il FSE “dovrebbe facilitare l’accesso ai servizi”, spiegando che devono essere “di alta qualità”, mettendo l’accento sia su quelli per i minori sia su quelli per persone anziane o particolarmente fragili (come il riferimento alla Long Term Care suggerisce)
e spiegando che la loro disponibilità “è una condizione necessaria per garantire le pari opportunità e la mobilità professionale”. Per Bonetti, il riferimento agli anziani non è una novità, ma sicuramente è un tema che dal nuovo regolamento emerge rafforzato, anche per il fatto che è un tema ampiamente rilevante all’interno del nuovo policy field “Affrontare il problema del cambiamento demografico”.
Nel secondo passaggio chiave, invece, si legge che “il sostegno erogato mediante il FSE dovrebbe essere impiegato per favorire le pari opportunità per tutti”. Questa dicitura, secondo Bonetti, fa diventare quella che oggi è un’azione trasversale del fondo un vero e proprio campo di intervento del prossimo FSE, che quindi potrebbe occuparsi molto di più “di pari opportunità di genere, ma anche della tutela delle minoranze e dei diritti civili”.
…ma un budget più piccolo?
Il prossimo FSE, quindi, potrebbe coprire una serie di bisogni sociali più ampi di quello attuale e, soprattutto, delle precedenti versioni del fondo. “Da una parte, si tratta di uno sviluppo positivo”, ragiona Bonetti. “D’altra parte, questo apre nuove questioni”, aggiunge. La più importante, considerato l’alto numero di ambiti di intervento che il FSE può finanziare, è tutta economica. “Ci sarà un incremento di risorse adeguato?”, si chiede l’esperto.
Ad oggi, non si sa. Ma, se si guarda la proposta del QFP nel suo complesso, ci sono diverse ragioni di preoccupazione.
L’architettura del nuovo bilancio, infatti, come già spiegato, non assegna risorse specifiche per il FSE ai singoli Stati membri come avviene ora. Al contrario, lascia loro la libertà di decidere come investire le risorse del cosiddetto “mega fondo” nell’ambito di Piani di partenariato nazionali e regionali, simili al PNRR attuale. Le priorità sociali, quindi, si potrebbero trovare in competizione con quelle dell’agricoltura, delle infrastrutture, della difesa o della competitività.
Per evitare che la dimensione sociale esca penalizzata da questa agguerrita concorrenza, la Commissione ha previsto che “il 14% delle dotazioni nazionali dovrà finanziare riforme e investimenti volti a migliorare le competenze, combattere la povertà, promuovere l’inclusione sociale e sostenere le zone rurali” e questo, secondo la vicepresidente della Commissione Roxana Mînzatu, garantirà una cifra simile a quella del bilancio attuale, vicina ai 100 miliardi di euro.
Sarà davvero così? Molto dipenderà dalla dimensione finale del bilancio, che oggi è di circa 2.000 miliardi, ma potrebbe cambiare (al ribasso, nel caso) nel corso dei negoziati. Un altro aspetto più tecnico, ma decisivo sarà anche la modalità con cui verrà calcolata la soglia minima del 14% di spese sociali.
“In futuro, il rischio è che vengano fatte figurare come investimenti sociali spese che in realtà non lo sono. Spese che riguardano per esempio le infrastrutture e che, nell’attuale programmazione, vengono sostenute da fondi diversi dal FSE”, spiega a Percorsi di Secondo Welfare una fonte interna alle istituzioni europee. E, qui, subentra un’ulteriore proposta legislativa fatta dalla Commissione per il prossimo bilancio.
Andare oltre la divisione tra fondi
Il provvedimento in questione punta a definire “un quadro di tracciamento della spesa di bilancio e della performance del bilancio” dell’UE e, in termini tecnici, viene definito “performance regulation”.
In pratica, la Commissione vuole creare un sistema per capire quanto ciascun intervento finanziato dall’Unione contribuisca a raggiungere determinati obiettivi, come quelli ambientali o, appunto, sociali. E, per farlo, propone tre scaglioni: 0, 40 o 100 per cento. Nei Piani nazionali di ripresa e resilienza finanziati dall’Ue per uscire dalla pandemia c’è già qualcosa di simile per la spesa sociale ma, spiega Francesco Corti, “ora il sistema viene raffinato”.

Corti è membro del gabinetto della vice presidente esecutiva della Commissione UE per i diritti sociali Roxana Mînzatu, e spiega che la performance regulation ha un obiettivo “molto valido” a suo giudizio: “andare oltre la divisione tra fondi e riconoscere uno scopo sociale anche a interventi che vengono finanziati da fondi diversi dal FSE”.
Per spiegare come potrebbe venire applicato il nuovo regolamento una volta approvato, si possono fare alcuni esempi concreti. Se coi fondi europei uno Stato membro organizza dei corsi di formazione per persone disoccupate, questo intervento verrà conteggiato al 100% come spesa sociale. Se li usa per produrre armi, sarà dello 0%. Se, invece, promuove un intervento di housing sociale la questione è più sfumata, perché si interviene sia sulle infrastrutture sia sulle persone che ne usufruiscono e, quindi, in questo caso, si potrebbe classificare la spesa come sociale al 40%.
Quando una spesa è davvero sociale?
Il punto è quanto saranno precisi i parametri della performance regulation. “Se saranno stringenti, la soglia del 14% di spese sociali sarà effettivamente utile. Se invece i parametri saranno più permissivi, anche raggiungere il 14% di spesa sociale potrebbe non portare reali benefici alle persone che hanno più bisogno di queste risorse”, riprende la forte europea, che preferisce restare anonima.
Per avere una risposta, però, anche in questo caso bisognerà aspettare. Anche la performance regulation, infatti, dovrà essere approvata da Consiglio dell’UE e Parlamento Europeo nell’ambito delle trattative sul prossimo bilancio.
Intanto, a novembre, la Commissione UE ha fatto alcune aperture nei confronti dell’Europarlamento che chiedeva una radicale revisione della proposta di luglio mentre, per Natale, si attende la posizione negoziale del Consiglio dell’UE. Essendo quest’ultimo l’istituzione che riunisce gli Stati membri, la sua pronuncia è quella più attesa, quella più “pesante”, quella che maggiormente indirizzerà i prossimi mesi di confronto. E consentirà di fare un ulteriore passo in avanti nel capire se e quanto il nuovo Fondo Sociale Europeo sarà effettivamente potente ed efficace.