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Fra il 2019 e il 2021, nonostante la pandemia, l’andamento degli indici di deprivazione alimentare materiale e sociale è stato sostanzialmente stabile e in diminuzione. Un dato apparentemente paradossale, la cui ragione è da ricercare nelle misure ordinarie e straordinarie di sostegno al reddito che almeno in parte hanno mitigato l’impatto della crisi a livello economico e sociale. Nonostante questo, circa 6 milioni di persone che vivono nel nostro Paese – il 12% dei residenti con almeno 16 anni di età (dati 2021) – risulta in una condizione di povertà alimentare.

È uno dei dati che emerge dal quarto rapporto sulla povertà alimentare di ActionAid, “Frammenti da ricomporre. Numeri, strategie e approcci in cerca di una politica”, quest’anno realizzato in collaborazione con Percorsi di secondo welfare grazie al lavoro delle ricercatrici Celestina Valeria De TommasoFranca Maino e Chiara Lodi Rizzini affiancate da Martino Bozzi. Il documento – presentato il 12 ottobre in una versione sintetica che anticipa quella integrale, che sarà disponibile nelle prossime settimane – intende offrire una fotografia aggiornata della povertà alimentare nel nostro Paese. Lo fa fornendo informazioni su intensità, diffusione, distribuzione regionale del fenomeno, oltre che sull’impatto che questo ha in diversi gruppi socio-demografici, con particolare attenzione per minori, donne e stranieri.

Il lavoro svolto da ActionAid va in continuità con le riflessioni emerse nei precedenti rapporti, che hanno offerto analisi qualitative su cui sono nate riflessioni su tre temi considerati di fondamentale importanza per costruire una risposta efficace al problema della povertà alimentare: come si misura il fenomeno, quali politiche sono necessarie e quali approcci dovrebbero guidare gli interventi. Proprio su questi tre aspetti si concentra l’analisi del quarto rapporto.

I contenuti del report

La scelta del titolo, “Frammenti da ricomporre”, sintetizza in modo efficace i punti fondamentali emersi dalle analisi svolte: la povertà alimentare oggi in Italia è guardata utilizzando lenti rotte che, pur nel necessario esercizio di ricomposizione dei loro pezzi, lasciano inevitabilmente dei vuoti da colmare. In questo senso, come spiegato nel primo capitolo, i dati statistici a disposizione appaiono, appunto, frammentati. Sebbene restituiscano una fotografia interessante e variegata del fenomeno, soprattutto in termini di distribuzione territoriale e intensità su particolari target sociali (stranieri, famiglie numerose, famiglie monogenitoriali), essi non riescono a cogliere la natura multidimensionale della povertà alimentare. L’accento è posto infatti sulla dimensione economica del fenomeno, e questo comporta limiti significativi nella capacità di stimare la reale intensità e diffusione.

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Tali limiti finiscono per contribuire a orientare in modo inadeguato anche risposte di policy il cui limitato impatto sul fenomeno, come evidenziato nel secondo capitolo, viene ulteriormente compromesso dal fatto di essere pensate solo sull’onda dell’emergenza. In questo senso, il rapporto mette in evidenza la mancanza di un adeguato coordinamento e un modello di governance fortemente settorializzato, incapace di articolarsi in modo efficace sia sul piano verticale (fondi europei, fondi nazionali e interventi territoriali), che su quello orizzontale (coordinamento tra i diversi Ministeri competenti e tra tutti gli attori del sistema di contrasto).

La mancanza di lenti adeguate per leggere il fenomeno produce un’ulteriore e importante conseguenza: vengono implementati interventi prevalentemente focalizzati a promuovere l’accesso fisico ed economico al cibo per le famiglie in condizioni di vulnerabilità attraverso la distribuzione alimentare, senza però intervenire né sulle sue determinanti, non esclusivamente monetarie e materiali, né sulle altre conseguenze del fenomeno (esclusione sociale, stress, stigma, ansia, solitudine).

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Come si cerca di spiegare nel terzo capitolo, un auspicabile approccio multidimensionale alle risposte non deve solo mirare a migliorare la qualità e la quantità del cibo che arriva alle famiglie. L’obiettivo dovrebbe essere quello di fare sì che il cibo stesso diventi un elemento capace di innescare dinamiche sociali nuove che migliorino il lavoro di cura, riducano il senso di isolamento e di esclusione sociale, configurino nuove dinamiche socio-economiche, creino prossimità, coesione e senso di appartenenza ad una comunità e più in generale promuovano il benessere alimentare delle persone. Sfide di non poco conto che richiedono di ripensare complessivamente i modelli di contrasto alla povertà alimentare.

Raccomandazioni per cambiare approccio

Il rapporto spiega che uscire da questa logica emergenziale, monodimensionale e schiacciata sul bisogno – oggi prevalente nel definire le politiche e azioni – è fondamentale per riuscire ad offrire una risposta di opportunità e non solo di necessità alle persone che vivono in condizione di povertà alimentare. In questo senso, il documento avanza alcune raccomandazioni, che riportiamo sinteticamente di seguito.

  • Rivedere le soglie di reddito su cui oggi si calcolano i livello di deprivazione alimentare per evitare che quote consistenti di persone restino escluse da potenziali misure.
  • Adottare nuovi indicatori per misurare la multidimensionalità del fenomeno, al fine di rilevare al contempo caratteristiche, cause e possibili ripercussioni, sia di natura materiale che immateriale.
  • Migliorare l’infrastruttura di raccolta dei dati, integrarli e aumentare la frequenza della loro rilevazione.
  • Monitorare la povertà alimentare minorile nelle scuole implementando indicatori specifici per ciascuna fascia d’età, così da ottenere informazioni più affidabili di quelle che abbiamo oggi a disposizione.
  • Dotarsi di una strategia di contrasto e di un sistema partecipato di coordinamento e monitoraggio per definire chiari obiettivi rispetto ai quali coordinare l’azione di tutti gli attori nell’implementazione dei programmi.
  • Garantire accesso gratuito alla mensa scolastica per i bambini e le bambine in condizione di vulnerabilità socioeconomica.
  • Andare oltre la risposta al bisogno e promuovere approcci di intervento multidimensionali, guardando non solo alle conseguenze della povertà alimentare ma anche alle determinanti.
  • Rafforzare l’intervento degli Enti Locali attraverso l’accesso ai fondi FEAD e la partecipazione alla loro programmazione.
  • Investire nelle capacità di intervento degli Enti Locali e nei sistemi territoriali attraverso il coinvolgimento dei diversi attori locali e, dove possibile, attraverso food policy urbane.
  • Contribuire alle spese sostenute dalle realtà del Terzo Settore nella loro azione di risposta alla povertà alimentare.
  • Investire in un’Agenda di ricerca sulla povertà alimentare al fine di comprenderne le sue molteplici dinamiche, gli specifici impatti sui diversi gruppi socio-demografici e lo sviluppo di possibili approcci alternativi di carattere multidimensionale.