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Rilanciamo questa riflessione di Gian Paolo Gualaccini, Consigliere del CNEL e capodelegazione Terzo Settore–non profit, pubblicata su Vita Non Profit (che ringraziamo per la disponibilità).  


Come purtroppo facilmente prevedibile, la pandemia ha provocato un disastro economico sociale trascinando milioni di italiani nella povertà. Il disastro sociale non è un rischio da scongiurare come taluni dicono: è invece purtroppo una realtà già presente e l’emergenza povertà ne è probabilmente il segno più acuto. “L’Italia attraversa la più grave crisi alimentare di sempre” si legge nell’ultimo rapporto di ActionAid e anche il Censis ci ha recentemente avvisato che tra gli italiani sempre più poveri (ci sono 600.000 poveri in più), ce ne sono 5 milioni che non riescono a garantirsi pasti giornalieri regolariIl 2020 cilascia in eredità altri 5 milioni di italiani in difficoltà oltre agli 8,8 milioni di poveri già esistenti, per un totale di oltre 14 milioni. E i più colpiti dalla povertà sono le donne e i bambini; povertà che si concentra per il 60% nel Meridione d’Italia con il 40% nel Nord e Centro insieme. Sono numeri che evidenziano un disastro economico-sociale che, sottolineo, abbiamo già in casa.

Anche la situazione del mercato del lavoro è diventata molto critica e potrebbe esplodere da un momento all’altro, ha detto recentemente il presidente del Cnel, Tiziano Treu. Il Governo per affrontare la crisi dovuta alla pandemia ha finora stanziato, indebitandosi, una serie di misure per circa 110 milairdi di euro. Ma tutti abbiamo visto le lunghe code di gente in fila a Milano (nell’immagine di cover la fila davanti a “Pane quotidiano”) per avere un pasto caldo: le due cose, grandissima spesa corrente e italiani affamati nelle città, come taluni osservatori hanno rilevato, non dovrebbero mai accadere insieme. E se, come purtroppo invece, sono accadute insieme, vuol dire che quei soldi sono stati investiti malamente, si sono rivelati spesa improduttiva (il ‘debito cattivo’ di Draghi) in quanto incapace di produrre crescita e benessere. Certamente non un bell’auspicio in vista dell’impiego dei 209 miliardi del Recovery Fund!

D’altra parte colpisce il fatto che, mentre la Commissione Europea sta lavorando a un ‘Action Plan for Social Economy’ e Francia e Spagna considerano l’economia sociale senza scopo di lucro un fattore prioritario per la ripresa economica, in Italia quel mondo, quelle reti sociali della solidarietà sono, al di là delle dichiarazioni di facciata, totalmente ignorate dal Governo. Nelle 123 pagine della bozza del nostro PNRR non appare mai il termine "economia sociale", né le sue componenti: cooperative, associazioni di volontariato o imprese sociali. E ciò nonostante questa economia abbia in Italia un peso economico e sociale molto più grande che altrove. Di fatto uno splendido esempio di visione centralista e stato-centrica per cui tutto proviene dalla sola amministrazione centrale. È la stessa logica che ha ispirato le misure del Governo per far fronte all’emergenza povertà. Infatti, queste misure hanno inciso molto poco mentre il numero dei bisognosi cresce ogni giorno: sono stati interventi insufficienti e dall’accesso farraginoso che spesso esclude chi più ne avrebbe bisogno non riuscendo neanche ad arrivare a destinazione. E comunque sempre interventi ‘emergenziali’ e mai strutturali.

Forse è arrivato il momento di cambiare completamente l’approccio cominciando a seguire le indicazioni che ci vengono da quelle reti della solidarietà sociale che uniche sono in grado di arrivare dove lo Stato non arriva più. Quelle comunità intermedie che sono diventate ormai indispensabili al buon funzionamento dello Stato. “Aiutare chi aiuta” dovrebbe essere il nuovo approccio della struttura statale anche trasferendo alle organizzazioni dell’ economia sociale le tante risorse pubbliche destinate a fronteggiare l’emergenza povertà: risorse che altrimenti rimarrebbero, come l’esperienza ci insegna, spesso infruttuose. Invece di continuare a fare cose che non è in grado di fare, lo Stato dovrebbe puntare a mobilitare le risorse dell’universo non profit italiano, dei corpi intermedi in grado di assicurare una migliore capacita’ di spesa di fronte alla complessita’ della domanda sociale.

Di sicuro ci guadagnerebbe anche lo Stato, anzi contribuire a ricostruire le comunità intermedie è l’unico modo che lo Stato ha per salvarsi. “Nessuna società – ci ricorda Jeremy Rifkin – è mai riuscita a creare prima un mercato o uno Stato e poi una comunità.