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Il 27 settembre 2020 i cittadini svizzeri sono stati chiamati ad esprimersi su un quesito referendario di iniziativa popolare denominato «Per un’immigrazione moderata (Iniziativa per la limitazione)». La consultazione è stata promossa dall’Unione Democratica del Centro, partito che a dispetto del suo nome si ispira ai valori della destra conservatrice e del sovranismo, ed è stata sostenuta in Ticino dal partito di maggioranza relativa di uguale orientamento, la Lega dei Ticinesi.

In caso di vittoria, la proposta avrebbe portato alla rinuncia all’accordo, concluso nel 1999 con l’Unione europea, sulla libera circolazione dei cittadini comunitari sul territorio elvetico, per qualsivoglia motivo, compreso quello di lavoro. Secondo i promotori del referendum l’immigrazione in Svizzera sarebbe stata finora, “incontrollata e sproporzionata" e la vittoria del sì avrebbe permesso di ridurre il numero di immigrati.

La campagna elettorale ha visto i partiti di destra sostenere la loro tesi con i classici frame del sovranismo, basati su sicurezza e difesa dell’identità nazionale. Sul sito del comitato promotore tra i motivi del sì era indicato che “molti reati violenti, come per esempio gli stupri, sono perpetrati soprattutto da stranieri” oppure “i nostri valori svizzeri, a causa dell’esagerata immigrazione, vengono vieppiù sostituiti da altri importati e a noi estranei”. Argomentazioni più razionali erano formulate dai partiti contrari all’iniziativa, in particolare quella riferita ai vantaggi che il trattato con l’UE comporta per la Svizzera e al contributo fornito dagli stranieri a importanti settori dell’economia.

Al termine di una campagna combattuta il no ha prevalso a livello confederale con il circa il 62% dei voti e punte di oltre il 70% a Zurigo e Ginevra. Un risultato diverso si è avuto in Ticino, dove con il 53% ha prevalso la scelta “anti-stranieri”. Questo risultato riflette una tendenza in atto da parecchi anni nel cantone ed è confermata dall’atteggiamento dell’elettorato ticinese negli ultimi referendum proposti dai partiti di destra: oltre il 60% di risposte affermative nelle consultazioni del 2010 e 2016 ‘Per l’espulsione degli stranieri che compiono reati’ e ben il 68,2% in quello ‘Contro l’immigrazione di massa’, la più alta percentuale tra i cantoni svizzeri.

Tuttavia, i ticinesi non sembrano confermare interamente i rapporti di forza emergenti dalle consultazioni referendarie quando sono chiamati ad esprimere il loro voto alle forze politiche locali. Infatti, le recenti elezioni cantonali tenutesi nella primavera del 2019, hanno visto la conferma della Lega dei ticinesi e UDC come prima aggregazione, con quasi il 28 per cento dei suffragi, ma anche l’affermazione di forze più moderate, come il Partito Liberale Radicale e il Partito Popolare Democratico, o di sinistra come il Partito Socialista, tutti contrari a politiche anti-stranieri.

Questa apparente contraddizione è confermata da uno studio presentato da Carolina Rossini dell’Università di Neuchâtel nel capitolo ‘Lo straniero nelle rappresentazioni sociali della popolazione ticinese’ all’interno del volume ‘Migrazione e integrazione: focus sul Ticino’ edito dal Forum svizzero per lo studio delle migrazioni e della popolazione (SFM). La sociologa introduce il lavoro ricordando che la Svizzera si situa tra i paesi europei con il maggior numero di stranieri soggiornanti (25,1%) e che il Ticino supera ampiamente questa percentuale. Prosegue poi il ragionamento affermando che “il dibattito sugli stranieri in Svizzera è stato costantemente vivace dall’inizio del Novecento ad oggi. I gruppi di lavoratori stranieri designati come problematici sono tuttavia mutati nel tempo: dai tedeschi, agli Italiani, fino agli ex jugoslavi, solo per citare alcuni esempi”.

Da lavoratori stranieri a richiedenti asilo: gli stranieri nella percezione dei cittadini ticinesi

A partire dagli anni Novanta, la rappresentazione prevalente degli stranieri presso i cittadini svizzeri non appare più legata alla condizione dei lavoratori immigrati, bensì a quella dei richiedenti l’asilo. Lo straniero che giunge in Svizzera riceve un permesso di soggiorno in base alle ragioni del suo arrivo e alla sua provenienza. Vi sono stranieri che possiedono un permesso B (dimora), C (domicilio), N (richiedenti l’asilo), G (frontalieri). A questo proposito, spiega ancora Carolina Rossini “se dal punto di vista legale, dunque, in Svizzera queste categorie di persone sono riconosciute come diverse, spesso nelle rappresentazioni sociali dell’opinione pubblica, dell’arena mediatica o politica, sono confuse e comunemente associate al termine generale di ‹stranieri›”.

L’analisi presentata nello studio si basa su interviste realizzate nel 2014 e 2015 dall’Università di Losanna, con le quali è stata sottoposta ad un campione di cittadini ticinesi una batteria di domande concernenti la loro percezione nei confronti degli stranieri e in particolar modo dei frontalieri, dei richiedenti l’asilo e dell’immigrazione in generale. Oltre l’80% degli intervistati si dice d’accordo totalmente o mediamente con affermazioni del tipo “in Svizzera ci sono troppi immigrati”, “la politica d’asilo della Svizzera deve essere più restrittiva” oppure “la presenza dei richiedenti l’asilo tende a far crescere la criminalità”.

Tuttavia, sorprendentemente, è solo il 20% a dichiararsi nulla o poco d’accordo con quelle secondo cui "la Confederazione, nel rispetto della propria tradizione umanitaria, deve continuare ad accogliere i richiedenti d’asilo”. Ancora, solo una percentuale di poco superiore al 15% si dice nulla o poco d’accordo con le affermazioni secondo cui “la libera circolazione è importante per l’economia svizzera” e “i frontalieri sono una risorsa per lo sviluppo del paese”. La studiosa commenta: “leggendo i risultati possiamo affermare che i Ticinesi non siano in principio contro l’immigrazione e gli stranieri poiché non vi sono affermazioni negative largamente condivise. Le loro opinioni sono però ambivalenti: l’80-90% dei Ticinesi dichiara di approvare mediamente o molto sia le affermazioni favorevoli sia quelle contrarie all’immigrazione. Ritroviamo dunque nelle affermazioni dei Ticinesi il concetto di dualità e ambivalenza nei confronti dello straniero già introdotto da Simmel nelle sue teorie all’inizio del 1900”.

Comunicazione politica e immigrazione

Nel corso del tempo l’ambivalenza dei cittadini ticinesi nei confronti degli stranieri è stata cavalcata dai media e dai partiti della destra sovranista, i quali hanno agito attraverso campagne pubblicitarie, articoli della stampa e reportage televisivi che facevano leva sull’immagine negativa diffusa tra i cittadini ticinesi, vale a dire quella incardinata attorno all’idea della pericolosità sociale degli stranieri e della necessità di difendere l’identità ticinese e i posti di lavoro, sottratti agli autoctoni da parte dei frontalieri. Appunto, in occasione delle consultazioni referendarie dell’ultimo decennio, Lega e UDC hanno insistito in modo esasperato su questi temi attraverso violente campagne di propaganda centrate sulla chiusura e il rigetto degli stranieri e delle influenze estere (UE), utilizzando una retorica particolarmente violenta.

Secondo uno studio, realizzato da Christelle Maire e Francesco Garufo dell’Università di Neuchâtel, e incentrato sulle immagini utilizzate dalla Lega dei Ticinesi nella comunicazione sui temi dell’immigrazione, il messaggio è incentrato “sulla preminenza dell’identità ticinese su ogni altro sentimento di appartenenza”, compreso quello svizzero e “il partito è presentato come quello che tutelerà gli interessi del cantone contro le élite federali, spesso accusate di non prendere in considerazione gli interessi e le preoccupazioni dei Ticinesi”. Questo registro, tipico dell’ideologia sovranista, è simile a quello utilizzato rispetto alla difesa delle frontiere, sfruttato anche da coloro che, in Italia, denunciano il fatto che il Paese sia lasciato solo ad affrontare i problemi connessi all’accoglienza dei migranti sbarcati sulle coste meridionali.

I protagonisti di queste campagne, come nel caso della più famosa, denominata in dialetto ticinese (altro simbolo di identità) ‘Bala i ratt’, sono grossi ratti che raffigurano gli stranieri- in particolare, un frontaliere italiano e un ladro rumeno – intenti a mangiarsi la Confederazione Elvetica e il Cantone Ticino, a loro volta illustrati come una forma di formaggio. Già nel 2011, in tempi non sospetti e con largo anticipo sulla Lega italiana, erano comparsi manifesti in cui si proclamava ‘Lavoro: Prima I Ticinesi! 35000 frontalieri bastano!’. L’UDC invece nel 2014, in occasione di uno dei referendum anti-stranieri promossi a livello confederale, in un suo manifesto annunciava ‘Basta «effetto di sostituzione» Si alla «clausola di preferenza indigena» Basta immigrazione di massa’. In questo caso l’argomentazione giocava sullo spettro della «grande sostituzione» dei popoli, una teoria ampiamente diffusa nell’estrema destra e tra i sovranisti, secondo cui, a causa del complotto di una non meglio identificata élite mondialista, i «nativi» sono minacciati di estinzione per via dell’immigrazione che li fa diventare una minoranza nel proprio paese.

In Svizzera, come in Italia, il tema della difesa delle frontiere è stato ripreso dalle destre populiste a seguito della grande pandemia da Covid-19, cercando di addossare almeno una parte delle responsabilità del contagio agli immigrati. In riferimento a questa ipotesi, un comunicato dell’UDC svizzera del maggio 2020, recitava quanto segue: “Basta con la tolleranza dell’immigrazione illegale: favorisce la pandemia, con conseguenze devastanti per l’intera popolazione elvetica. La crisi della Covid-19 ha reso evidente quanto questo atteggiamento sia irresponsabile, dal momento che la diffusione del coronavirus viene rafforzata dagli immigrati clandestini”.

Preferenze di voto e immigrazione

Carolina Rossini completa poi la sua analisi tenendo conto degli aspetti socio-demografici di coloro che si sono espressi contro la presenza degli stranieri in Ticino. La tendenza che emerge è comune a quella di altri contesti territoriali: sono più propensi alla chiusura i settori della popolazione di età elevata e condizioni di istruzione e professionali medio basse.

Questo atteggiamento è inoltre sovrastimato in riferimento alle opinioni espresse dai residenti nei distretti periferici del cantone, in cui la presenza straniera è nettamente più bassa e in cui la scarsa conoscenza del fenomeno induce atteggiamenti di chiusura. Sono dunque le persone appartenenti ai ceti sociali più bassi e con strumenti conoscitivi limitati che si trovano esposte in misura maggiore alla propaganda sovranista. Ma anche in questo caso emerge all’interno della società ticinese l’atteggiamento ambivalente osservato in riferimento alle contraddizioni emerse nell’analisi delle risposte al sondaggio del 2015 oppure confrontando i risultati delle elezioni cantonali e l’esito dei referendum.

Come abbiamo potuto verificare attraverso la nostra ricerca sul sistema di governance dell’accoglienza dei rifugiati in Ticino, è dimostrata, accanto a posizioni di opposizione, la grande attenzione del cantone e di alcuni suoi governanti ai temi riferiti all’inserimento degli stranieri nella società svizzera, sono infatti numerose le buone pratiche di accoglienza e integrazione proposte sia dalle istituzioni pubbliche che dalle organizzazioni del privato sociale.

Riferimenti bibliografici

Christelle Maire e Francesco Garufo, Prima i nostri: il concetto di preferenza indigena nel discorso visivo dell’UDC ticinese e della Lega dei Ticinesi in Migrazione e integrazione: focus sul Ticino ed. Forum svizzero per lo studio delle migrazioni e della popolazione, Neuchâtel, Unine, 2017 Forum, n. 9

P. Moroni, Le politiche di governance dell’accoglienza e dell’integrazione di ammessi provvisoriamente, rifugiati e minori non accompagnati in Ticino, in a cura di Franca Maino e Orlando De Gregorio (2020), La governance dell’accoglienza di richiedenti asilo e minori stranieri non accompagnati Buone pratiche dal Canton Ticino al Piemonte, Novara Edizioni Filos