La Germania l’ha approvata esattamente trent’anni fa, la Francia nel 2002, la Spagna nel 2006. In Italia, invece, è ancora un cantiere aperto.
Stiamo parlando della riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti. Tra i grandi stati europei, il nostro è l’unico a non averla ancora conclusa. Ed è un problema per gli anziani e le loro famiglie, ma anche per l’intero Paese.
A sostenerlo è Cristiano Gori, uno dei coordinatori del Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza, coalizione che raccoglie decine di organizzazioni della società che a vario titolo di anziani e non autosufficienti, tra cui Percorsi di Secondo Welfare.
Questo articolo è parte del Focus Long Term Care di Percorsi di secondo welfare, dedicato alle sfide dell’invecchiamento che interessano il sistema sociale italiano. Puoi leggere tutti i contributi qui. |
“A due anni dall’avvio della Riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, con l’approvazione della Legge Delega 33/2023 e il successivo Decreto Attuativo 29/2024, è ormai evidente che la Riforma rappresenta un passaggio fondamentale, ma ancora incompiuto”, spiega il professore dell’Università di Trento a Percorsi Secondo Welfare.
Per il Patto concludere questa riforma e farlo in maniera positiva è necessario e urgente perché, come spiega l’organizzazione in una recente nota, “l’assistenza agli anziani non è solo un dovere morale: è un investimento che genera risorse e coesione sociale”.
Un investimento per il futuro
L’assistenza agli anziani: un investimento per il futuro dell’Italia è proprio il titolo scelto dal Patto per un evento che si terrà a Roma la prossima settimana, in collaborazione col Ministero della Salute. Vi parteciperanno tra gli altri il Ministro della Salute Orazio Schillaci e la Viceministra del Lavoro e delle Politiche Sociali Maria Teresa Bellucci (in attesa di conferma), che saranno intervistati dal giornalista e scrittore Ferruccio De Bortoli.
Dai principi alle persone: gli incontri regionali sul futuro della non autosufficienza
L’iniziativa romana arriva dopo una serie di incontri promossi dal Patto in numerose regioni che secondo la coalizione hanno favorito “un dialogo ricco e partecipato tra istituzioni, esperti ed organizzazioni della società civile, sui contenuti e le opportunità della Riforma”.
“Dalle Regioni ho imparato tantissimo”, conferma Gori, che dice di arrivare all’incontro di Roma “carico di speranza”. “Questi mesi sono cruciali per rilanciare la Riforma attraverso risposte concrete e personalizzate, in grado di migliorare la vita quotidiana degli anziani non autosufficienti e delle loro famiglie”, aggiunge.
Un percorso in ritardo
Per il Patto e per Gori, se si osserva la situazione dal punto di vista degli anziani e delle famiglie, gli obiettivi della riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti sono sostanzialmente tre: costruire un sistema unitario, introdurre nuovi modelli di intervento (tanto nei servizi domiciliari quanto nelle strutture residenziali) e ampliare l’offerta dei servizi a titolarità pubblica.
La riforma è contenuta nella Legge Delega 33/2023 e la sua attuazione è cominciata col successivo Decreto 29/2024. “Il percorso è evidentemente in ritardo e diversi aspetti contenutistici paiono problematici”, sostiene Gori. La costruzione del SNAA, il Sistema Nazionale per la Popolazione Anziana Non Autosufficiente, e l’introduzione di una nuova assistenza domiciliare sono entrambe state rinviate, si è rischiato di complicare ulteriormente le procedure per chiedere assistenza (anziché semplificarle) e, al momento, si attende una strategia nazionale almeno di medio periodo per l’assistenza residenziale. Senza contare che il passaggio dall’indennità alla prestazione universale è stato per ora sostituito da una piccola sperimentazione per il biennio 2025-2026.
Il coordinatore del Patto però non è pessimista. “È normale che una riforma ambiziosa, in un settore a elevata complessità politica e tecnica – del quale oltretutto lo Stato non si è mai occupato in precedenza in modo organico – incontri difficoltà importanti”, spiega.
Maggiore coordinamento tra sociale e sanitario
Nei prossimi mesi, Gori vede spazi per progressi positivi soprattutto nella definizione dei nuovi modelli di intervento. In particolare, il Ministero della Salute e quello delle Politiche sociali stanno lavorando per garantire un maggiore coordinamento tra gli interventi sociali e sanitari per gli anziani non autosufficienti e, per il professore, “il risultato potrebbe essere utile”.
Ovviamente, accanto alle politiche, Gori ragiona anche di fondi. “Per garantire l’efficacia dell’intera riforma, si stima che a regime siano necessari tra i 5 e i 7 miliardi di euro aggiuntivi annui di spesa pubblica”, spiega. La scadenza più imminente, in tal senso, è quella della prossima Legge di Bilancio e le notizie sul provvedimento fanno pensare che difficilmente il Governo troverà risorse per questo ambito. Il coordinatore del Patto, però, precisa che si tratta di “un obiettivo che andrebbe raggiunto gradualmente, attraverso un piano pluriennale”.
Il settore Long Term Care tra connessioni, interdipendenze e necessità di integrazione
Se 5 o addirittura 7 miliardi sembrano tanti – per le casse italiane forse troppi – negli scorsi mesi è stato pubblicato uno studio che prova a mettere investimenti come questo in prospettiva. Uno degli autori è Ludovico Carrino, docente di Economia politica all’Università di Trieste,che sarà tra i relatori dell’evento di Roma del Patto insieme ad Ana Llena-Nozal responsabile dell’OCSE per la long term care.
Il ritorno dell’investimento
Lo studio, come spiega l’Università di Trieste, indaga con metodo empirico l’impatto socio-economico dell’assistenza pubblica domiciliare sugli anziani e ha analizzato dati provenienti da quattro paesi europei: Belgio, Francia, Germania e Spagna. I risultati evidenziano come la long term care supportata dai programmi di sanità pubblica possa avere molteplici effetti positivi: l’accesso a servizi di cura a domicilio riduce il rischio di depressione clinica di 13 punti percentuali e abbassa il rischio di solitudine del 6,7%, aumentando allo stesso tempo la percezione di una qualità di vita superiore alla media (+14%).
“Ridurre l’incidenza di disturbi mentali attraverso un sistema di assistenza domiciliare efficiente significa, quindi, non solo migliorare la qualità della vita degli anziani, ma anche diminuire il ricorso a farmaci, cure psichiatriche e ricoveri, con effetti positivi sulla sostenibilità dei sistemi sanitari nazionali”, ha spiegato Carrino. Un altro aspetto emerso dalla ricerca riguarda il ruolo dei caregiver familiari. Garantire un accesso più ampio ai servizi domiciliari potrebbe liberare i caregiver da un ruolo assistenziale spesso totalizzante, rimettendo risorse umane a disposizione del mercato del lavoro con potenziali ricadute positive per il sistema produttivo e per il reddito disponibile delle famiglie.
Per il coordinatore del Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza Gori, sono dati importanti su cui riflettere. E dai quali prendere esempio: “La cura non va considerata come una semplice spesa, ma come una leva di sviluppo”.
