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È vasto, tecnico e complicato. Lo si potrebbe tranquillamente definire noioso o respingente.

Ma è anche molto, molto importante perché le sue conseguenze si fanno sentire in tutta Europa per anni, anche nell’ambito delle politiche sociali.

Quello relativo al Quadro finanziario pluriennale – QFP nell’acronimo italiano, o MFF in quello inglese, più semplicemente il Bilancio dell’Unione Europea – è uno dei dossier più importanti che le istituzioni europee sono chiamate ad affrontare. Il Bilancio ha una validità di sette anni e per arrivare alla sua approvazione servono lunghe trattative.Il percorso ha inizio con la proposta della Commissione europea: quella per il ciclo di bilancio 2028-2034 è arrivata lo scorso luglio.

“Il nuovo bilancio a lungo termine contribuirà a proteggere i cittadini europei, a rafforzare il modello sociale europeo e a far prosperare l’industria”, ha dichiarato in quell’occasione la presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen.

In una serie di articoli che comincia oggi e proseguirà per tutte le trattative, cercheremo di capire come, ma prima facciamo un po’ di ordine.

QFP, questo sconosciuto

Il Quadro finanziario pluriennale “definisce le linee di spesa dell’Unione, il quadro entro cui si collocheranno tutti i bilanci comunitari annuali e – in particolare – l’architettura e le risorse dei fondi e dei programmi comunitari”, spiega il sempre utile sito Guida all’europrogettazione.

In pratica, attraverso il QFP viene deciso quanti soldi avrà a disposizione l’UE, quanto viene assegnato a ciascun capitolo di spesa e, nel dettaglio, con provvedimenti specifici, le regole secondo cui funzionano fondi e programmi. Il processo per arrivare alla sua approvazione è un atto molto tecnico, ma anche molto politico, dall’esito del quale dipenderà la capacità dell’UE di raggiungere gli obiettivi che si è data, come per esempio quelli del Pilastro europeo dei diritti sociali.

(Per i sottotitoli del video, selezionare “italiano” dopo aver cliccato sull’icona “subtitles”)

Il totale proposto per il bilancio 2028-2034 ammonta a circa 2.000 miliardi di euro, corrispondenti all’1,26% del reddito nazionale lordo dell’UE (calcolato sulla media prevista 2028-2034). Per un verso, se considerato in rapporto al PIL europeo, è un budget ancora piccolo. Per un altro verso, è una cifra considerevole, che ha un impatto sui territori molto forte, soprattutto in alcuni ambiti, come quelli di cui si occupa Percorsi di Secondo Welfare.

A incidere in questi settori sono soprattutto le risorse definite a gestione concorrente, quelle cioè gestite in maniera concordata tra Commissione e autorità nazionali, ed è su questi fondi che concentreremo la nostra analisi, anche perché il nuovo bilancio potrebbe introdurre novità molto significative.

Spesa sociale: come funziona oggi

A far fluire verso gli Stati UE risorse per le politiche per il lavoro, la formazione, l’istruzione, la sanità, l’inclusione sociale e la lotta alla povertà è principalmente la Politica di coesione, una delle voci storiche, e più sostanziose, del bilancio UE. È composta da diversi elementi, ma per l’Italia i più importanti sono il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) e il Fondo Sociale Europeo (FSE, ridefinito FSE+ nel ciclo di bilancio attuale).

Il QFP attuale e quelli passati definivano un certo stanziamento per la Politica di coesione (come per la Politica agricola comune e per molte altre voci del bilancio), poi, quanto spettava a ciascun Stato di ciascun fondo e, infine, venivano concordati con la Commissione una serie di programmi nazionali e regionali, che garantivano l’implementazione.

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea - Foto: Unione Europea, 2025
Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea – Foto: Unione Europea, 2025

Per esempio, in Italia, nel ciclo di bilancio in corso, il FSE+ finanzia tre programmi specifici nazionali, tre programmi nazionali congiunti col FESR e piani regionali sia specifici sia congiunti col FESR (la scelta spetta a ciascuna regione): si va dalle azioni specifiche per giovani, donne e lavoro a quelle per le città metropolitane e le città medie del Sud, dalla capacità amministrativa fino alla scuola, alla sanità e al contrasto alla povertà.

In altre parole, come spendere i soldi è stato deciso insieme da Commissione Ue, Governo italiano e regioni, ma l’ammontare di questi fondi era già stato fissato dal QFP: nell’attuale ciclo di bilancio, per l’Italia sono 43,1 miliardi di euro. 

Dal prossimo ciclo di bilancio potrebbe non essere più così.

Come potrebbe funzionare domani

La proposta di QFP formulata dalla Commissione UE segna infatti una forte discontinuità rispetto al passato e, per i temi legati al welfare, le novità sono sostanzialmente due.

La prima è che la Politica di coesione non avrà più una sua voce di bilancio specifica, ma confluirà in una voce molto più ampia da 865 miliardi di euro (il 44% dell’intero bilancio) che comprende anche altri capitoli di spesa, come per esempio quello sempre molto sostanzioso per l’agricoltura (la Politica Agricola Comune, PAC).

Questa nuova voce, definita giornalisticamente come il “mega fondo”, andrà a finanziare i Piani di partenariato nazionali e regionali, uno per ogni Paese. Tutto questo in nome di una maggiore semplificazione e una migliore efficacia.

La suddivisione dei 2.000 miliardi di euro proposti dalla Commissione UE per il QFP 2028-2034 - Grafico: Commissione UE
La suddivisione dei 2.000 miliardi di euro proposti dalla Commissione UE per il QFP 2028-2034 – Grafico: Commissione UE

Questi piani, infatti, secondo la Commissione, saranno “più semplici e su misura, al fine di massimizzare l’impatto di ogni euro. “Avere un unico piano per Stato membro che integri tutte le misure di sostegno pertinenti – sia per i lavoratori, gli agricoltori o i pescatori, le città o le zone rurali, le regioni o il livello nazionale – garantisce un impatto molto più forte e un uso molto più efficiente dei finanziamenti europei”, spiega ancora l’esecutivo europeo.

La proposta di QFP della Commissione ha come modello di riferimento i PNRR, i Piani nazionali di ripresa e resilienza finanziati dall’UE in ogni Stato membro per uscire dalla crisi causata dalla pandemia. Come infatti ha spiegato uno dei Vicepresidenti della Commissione, l’italiano Raffaele Fitto, “l’attuazione del piano nazionale e regionale (di partenariato, ndr) si baserà sul raggiungimento di obiettivi intermedi e finali (milestones e targets, come avviene col PNRR, ndr). Essi comprenderanno sia investimenti che riforme per rispondere efficacemente alle sfide che gli Stati membri devono affrontare”.

Il PNRR come modello di governance

Il parallelo con i PNRR spiega anche la seconda novità del QFP che riguarda in particolar modo la Politica di coesione (e quindi anche il FSE+): la governance.

Mentre negli ultimi cicli di bilancio, le regioni hanno avuto una buona autonomia nel decidere come spendere i fondi a loro destinati, ora potrebbero ritrovarsi con un margine di manovra molto minore nell’ambito dei Piani di partenariato nazionali e regionali. Come, appunto, è successo anche col PNRR.

La Commissione ha precisato più volte che gli enti regionali saranno comunque coinvolti, ma per diversi osservatori saranno i governi nazionali ad avere maggiore potere.

Secondo l’autorevole esperto di politiche territoriali Andrés Rodríguez-Pose, “la governance diventa più centralizzata e opaca”.

“A meno che non intervengano profonde modifiche durante il confronto con Parlamento UE e Consiglio dell’UE, la politica regionale europea così come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi non esisterà più”, ha scritto Giuseppe Chiellino, esperto giornalista del Sole 24 Ore, che segue questi temi da anni.

A sinistra, Raffaele Fitto. A destra, Roxana Mînzatu Foto: Unione Europea, 2025
A sinistra, Raffaele Fitto. A destra, Roxana Mînzatu Foto: Unione Europea, 2025

Non stupisce che per Kata Tüttő, presidente del Comitato europeo delle regioni, questa proposta sia un chiaro tentativo di centralizzare la Politica di coesione, che fino a questo momento aveva avuto un approccio definito in termini tecnici “place-based”. “Saremo esclusi dalla progettazione, dalla gestione e dalla creazione della politica. Diventeremo solo esecutori, in lotta per ottenere fondi”, ha dichiarato in un’intervista a Euronews.

Quella relativa alla competizione per i fondi tra voci diverse del bilancio è un’altra critica che è stata rivolta da più parti alla proposta per il nuovo QFP. L’accorpamento di voci di bilancio diverse e la maggiore centralizzazione della governance daranno ai Governi nazionali maggiore libertà di scelta e, considerate le priorità politiche attuali come la difesa o la competitività, a risentirne potrebbe essere la dimensione sociale dell’Europa.

“Mettere insieme agricoltura, migrazione, controllo delle frontiere e politica di coesione in un unico contenitore lo trasformerà in una sorta di ‘Hunger Games’”, ha detto sempre Tüttő, facendo riferimento a un’opera distopica in cui si combatte per la sopravvivenza.

La semplificazione proposta dalla Commissione e il nuovo “mega-fondo” hanno destato perplessità anche nella società civile europea. La rete Social Platform, per esempio, ha scritto di essere preoccupata che “il prossimo bilancio dell’UE non sarà in grado di garantire l’eliminazione della povertà e l’inclusione sociale per tutti”.

Le garanzie su regioni arretrate e investimenti sociali

Per contro, la Commissione ha più volte sostenuto l’importanza della Politica di coesione nella sua proposta e il fatto che i fondi ad essa dedicati non diminuiranno. A prova di questo, vengono citate due soglie, inserite nella proposta di QFP.

La prima sono i 218 miliardi di euro che verranno garantiti per lo sviluppo delle regioni più arretrate. POLITICO Europe spiega che questa clausola è stata inserita all’ultimo momento su pressione di Fitto, che ha la delega alla coesione. Tuttavia, continua la testata esperta in retroscena dalle istituzioni europee, “non sono state fornite garanzie di questo tipo per il resto (delle regioni, ndr) dell’UE, alimentando i timori che l’importo complessivo stanziato per lo sviluppo regionale sarà inferiore rispetto al bilancio attuale”.

C’è ancora spazio per un’Europa sociale?

La seconda soglia, spiega la Commissione stessa, è il fatto che “il 14% delle dotazioni nazionali dovrà finanziare riforme e investimenti volti a migliorare le competenze, combattere la povertà, promuovere l’inclusione sociale e sostenere le zone rurali”. Sempre secondo POLITICO, questa è stata invece una vittoria di Roxana Mînzatu, vicepresidente della Commissione per i diritti sociali. Mînzatu avrebbe voluto ottenere un importo definito per l’intero Fondo Sociale Europeo (come nell’attuale budget), ma si è dovuta accontentare di questo compromesso.

Quali fondi per un’Europa sociale?

Secondo Mînzatu, la soglia del 14% garantirà che, complessivamente, per gli investimenti sociali ci saranno “un minimo di 100 miliardi di euro”, una cifra in linea con quella del ciclo di bilancio attuale.

Per stabilire se sarà davvero così, però, è ancora troppo presto.

Nel corso dei prossimi mesi, la proposta di QFP presentata dalla Commissione verrà negoziata dal Consiglio dell’UE (in cui siedono i 27 Stati membri) e dal Parlamento europeo. Ciascuna istituzione dovrà trovare un accordo al suo interno e poi servirà un’intesa finale tra le due.

Molti elementi del quadro potrebbero quindi cambiare, compresa la dimensione stessa del bilancio. Che i 2.000 miliardi proposti aumentino è molto improbabile. Se, invece, come è possibile, dovessero diminuire nel corso delle trattative, anche la quota dedicata agli investimenti sociali potrebbe ridursi. E costruire un’Europa davvero sociale potrebbe diventare ancora più difficile.

 

Foto di copertina: Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea - Foto: Unione Europea, 2025