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Il percorso formativo WelCom – Manager del welfare di comunità promosso da Percorsi di secondo welfare, Progetto Mirasole, CSV Milano e Pares considera imprescindibili le dinamiche di rete per affrontare le sfide contemporanee che riguardano il welfare locale e di comunità. Di seguito si propongono riflessioni sulle ragioni di questa imprescindibilità, che guardano al mutamento progressivo del welfare, ai valori che servono per affrontare tale cambiamento e alle modalità necessarie per accompagnarlo.

Tali spunti, già al centro delle prime edizioni del corso, saranno approfondite anche nella online edition di WelCom, che partirà nel mese di giugno, con l’intento di offrire ai partecipanti conoscenze, competenze e atteggiamenti per (ri)costruire il welfare locale attraverso il paradigma della rete.

La crisi del welfare e la necessità di nuove alleanze

Progressivamente il paradigma tradizionale del welfare si è fondato sull’idea di prestazione e su una visione standardizzata e funzionale dei bisogni: a un bisogno corrisponde un servizio, in una relazione spesso unidirezionale tra ente pubblico e cittadino. Il cittadino è utente, i servizi sono prodotti, le organizzazioni sono erogatori. Questo modello ha garantito per anni livelli essenziali di assistenza, ma oggi mostra evidenti limiti nel rispondere alla complessità dei bisogni contemporanei fatti di vulnerabilità complesse, intersezionali e in continuo mutamento, che richiedono non solo prestazioni, ma risposte nuove, più efficaci e più capaci di generare appartenenza, fiducia e reciprocità attraverso relazioni di accompagnamento, ascolto e attivazione.

Oggi in particolare, una delle criticità più profonde dei sistemi di welfare tradizionali è rappresentata dalla frammentazione, sia tra settori – sociali (pubblico, privato profit, Terzo Settore, società civile) e tematici (sociale, sanitario, educativo, culturale) – che all’interno degli stessi. Tale frammentazione produce discontinuità, inefficienze, duplicazioni e, soprattutto, impedisce la costruzione di una visione integrata e collettiva del benessere. Non si tratta solo di un problema tecnico o organizzativo: è un nodo politico e culturale, che richiede un ripensamento radicale delle modalità con cui le istituzioni pubbliche, le organizzazioni della società civile e del privato e i cittadini costruiscono risposte comuni. Occorre superare la logica prestazionale, che riduce l’azione pubblica a un insieme di servizi da erogare, per spostarsi verso un approccio che rimetta al centro le relazioni e i legami, tra persone e tra organizzazioni, come vera infrastruttura del welfare.

In questo quadro, la costruzione di alleanze tra attori diversi – pubblici, privati, sociali e civici – diventa una condizione necessaria. Perché tali alleanze siano reali e durature è però fondamentale agire su tre piani: quello giuridico, creando strumenti che riconoscano e facilitino la co-programmazione e la collaborazione (come previsto dal Codice del Terzo Settore); quello economico, assicurando risorse per i processi e non solo per le prestazioni; e quello culturale, promuovendo una visione del welfare come bene comune e spazio condiviso di responsabilità.

Come sottolineato nell’articolo di IFEL Un metodo per costruire territori capacitanti e contributivi, è necessario lavorare in modo sartoriale sui contesti, attivando le risorse latenti delle comunità e costruendo infrastrutture relazionali capaci di generare valore pubblico condiviso.

Libertà e legame: la corresponsabilità come fondamento

Alla base di questa trasformazione c’è una tensione fondamentale: quella tra libertà e legame. In una società interdipendente e pluralistica, la libertà individuale deve essere pensata come libertà-in-relazione. La corresponsabilità universale si ripropone in questo senso come principio fondante di una rinnovata cittadinanza: ognuno, in base alle proprie possibilità e funzioni, è chiamato a contribuire alla costruzione del bene comune.

Questa prospettiva è fortemente connessa ai concetti di “valore pubblico condiviso”, inteso non come somma di prestazioni ma come “esito relazionale e trasformativo della cooperazione tra istituzioni, cittadini e società civile” (Territori generativi 2023), e di sussidiarietà. Valore pubblico condiviso e sussidiarietà relazionale si generano quando il “come” diventa importante quanto il “cosa”: collaborazione, partecipazione, (co)responsabilità, reciprocità, condivisione e solidarietà sono non a caso le parole più usate per descrivere il principio costituzionale definito all’articolo 118 dalle organizzazioni incontrate in un percorso di progettazione diffusa e riflessione condivisa sul tema della sussidiarietà condotto da CSV Milano a inizio 2024 nei diversi ambiti della città Metropolitana di Milano in occasione della quarta edizione del progetto Civil Week.

Affinché non rimangano semplicemente degli enunciati di principio, è necessario però che tali valori si traducano in pratica quotidiana volta alla costruzione di reti e relazioni di cura collettiva e reciproca e guidata dalla volontà di contribuire ad una trasformazione della società, che questo lo si faccia all’interno dei quadri istituzionali del welfare o meno.

Facilitare le reti, generare trasformazione

Ma le reti non si creano da sole. E ancora meno funzionano in modo armonico senza un lavoro intenzionale di mediazione, ascolto e costruzione di fiducia. Sarebbe ingenuo immaginare le reti come ambienti neutri ed equilibrati. I rapporti tra i diversi attori sono attraversati da differenze culturali e individuali, diseguaglianze e conflitti, che riflettono asimmetrie di potere e di accesso alle risorse.

La governance, per quanto fondata su principi dialogici e cooperativi, non è priva di tensioni: chi partecipa, con quale voce, con quale autonomia sono tutte domande che rivelano la natura selettiva dei processi partecipativi. Molti studi criticano il fatto che la governance locale del welfare tenda a privilegiare attori “forti” – formalizzati, ben connessi, riconosciuti dalle istituzioni – lasciando ai margini soggetti informali, reti spontanee e voci meno strutturate. Il rischio è di costruire un “welfare collaborativo” che, pur inclusivo nei principi, esclude nei fatti chi non si riconosce o non si conforma ai linguaggi e ai codici dominanti.

Come ricorda Sandra Cavaliere (2007) “le decisioni pubbliche e le relazioni tra attori sono il risultato di rapporti di potere”. Per questo motivo, è fondamentale affiancare ai processi reticolari dinamiche e figure di facilitazione: professionisti e strumenti capaci di governare la complessità, mediare tra differenze e favorire l’ascolto reciproco. La facilitazione non è solo una tecnica, ma una postura che valorizza la pluralità, sostiene la costruzione di fiducia e permette di affrontare i conflitti non come ostacoli, ma come occasioni di chiarimento e apprendimento collettivo. Le reti infatti non sono orizzontali o inclusive per definizione: sono necessarie fasi di “governance deliberativa” (Jessop, 1998) fatte di negoziazione, riconoscimento delle differenze e costruzione di significati condivisi. La facilitazione è, in questo senso, una competenza politica e relazionale che può sostenere la costruzione di alleanze trasformative.

Investire in processi di facilitazione relazionale e istituzionale significa investire nella qualità delle democrazie locali e costruire un welfare capace di “tenere insieme” e di produrre valore pubblico condiviso: non solo risultati, ma anche processi, non solo risposte, ma relazioni significative e trasformative.

 

Per approfondire:

  • IFEL – ARC – Fondazione Cariplo (2023), “Territori Generativi”
  • Fondazione per la Sussidiarietà (2024), “Rapporto sulla Sussidiarietà 2023/2024”
  • Paolo Pezzana et al. (2023), “Un metodo per costruire Territori Capacitanti e Contributivi”
  • Cavaliere S. (2007), “Citoyenneté et gouvernance” in Hufty et al. “Jeux de gouvernance. Regards et réflexions sur un concept”, Ed. Karthala et IUED
  • Jessop B. (1998), “The rise of governance and the risk of failure: the case of economic development”, International Social Science Journal, Issue 155