L’enfasi sull’innovazione che investe il campo del sociale è legata a una molteplicità di fattori: dall’evoluzione della domanda alla disponibilità di risorse; dall’avvento di nuovi attori, al ridisegno delle politiche. Accanto a queste variabili di natura esogena esistono altri driver di natura interna. Uno in particolare: l’elaborazione e la progressiva diffusione di nuovi modelli di servizio. Posti all’incrocio tra innovazioni di prodotto prototipate a ritmi seriali e innovazioni di processo che cercano di assorbire le sollecitazioni dell’evoluzione tecnologica, i modelli di servizio consistono in soluzioni organizzative per nuove forme di intervento, ricercando un non semplice equilibrio tra esigenze di replicabilità e di adattamento al contesto.

Nel caso dell’impresa sociale il service model più impattante in termini d’innovazione è probabilmente l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Un’ibridazione organizzativa tra cooperativa di lavoro e laboratorio protetto che ha consentito di stabilizzare un modello di servizio che incorpora assistenza, educazione e formazione professionale adattandolo a una pluralità di beneficiari e a una altrettanto estesa gamma di settori di attività e mercati. Ma ancora oggi l’innovazione dei modelli di servizio è un filone ancora attivo come vettore di cambiamento organizzativo, se non di vera e propria creatività istituzionale che consente cioè di progettare nuove tipologie di beni e servizi, ma anche nuove istituzioni e di orientare le scelte del legislatore. Basti pensare, oltre alle già citate imprese sociali di inserimento, ambiti come l’abitare che rappresenta un terreno fertile per l’elaborazione di nuovi modelli: social housing, abitare collaborativo, o iniziative più marcatamente vocate all’inclusione come housing first.

Un esempio più recente e per certi versi promettente riguarda il campo dei servizi all’infanzia e in specifico il modello che sottende all’insieme di servizi per bambini da zero a sei anni messo sotto pressione dalla “spintarella gentile” della legge 107/2015 nota come “La Buona Scuola”, integrata successivamente dal D.Lgs 13 aprile 2017 n° 65. Non un semplice accostamento tra interventi rivolti a target d’età tradizionalmente separati anche per quanto riguarda la struttura di servizio (i nidi da 0 a 3 anni, le scuole per l’infanzia da 3 a 6), ma un cambiamento che richiede una rimodulazione profonda delle competenze, delle infrastrutture, degli schemi di relazione fra servizi gestiti da fornitori diversi e, non da ultimo, dei modelli organizzativi come evidenziato da un recente convegno organizzato dal Gruppo CGM e dal Consorzio La Rada di Salerno. A fronte di sperimentazioni sull’integrazione 0-6 ormai diffuse a livello nazionale, è quindi il momento di chiedersi se si notano effetti, ed eventualmente di quale portata, in termini di change management da parte delle imprese sociali che intendono adottare e diffondere questo modello.

I dati di una recente indagine realizzata da Aiccon su un panel di imprese sociali che operano nel settore dei servizi all’infanzia e aderenti al Gruppo Cooperativo Cgm forniscono alcune interessanti risposte, anche se non esaustive, su cui poggiano in parte le riflessioni che seguono. Un primo elemento da evidenziare è di natura anagrafica: il modello di servizio 0-6 agisce, nella quasi totalità dei casi rilevati, all’interno di organizzazioni imprenditoriali mature (attive mediamente da oltre due decenni) e quindi tende a giocare un ruolo, più che di imprinting su soggetti nascenti, di supporto a strategie di diversificazione di mercato e change management per favorire l’“invecchiamento attivo” di queste imprese sociali. Fuor di metafora si tratta quindi di capire se si possono osservare trasformazioni di assetti interni e di reti esterne già ben strutturati. E l’intensità dei cambiamenti rilevati fornirà una misura dell’effettiva innovazione che caratterizza questo modello di servizio. Per questa ragione vengono presentati di seguito i principali scostamenti osservati.

In primo luogo è visibile una riconversione delle competenze degli educatori puntando soprattutto sul ricambio generazionale rappresentato da risorse umane “under” che si affiancano a una generazione con maggiore esperienza maturata all’interno di servizi e strutture più tradizionali. Un cambiamento anagrafico che chiama in causa una funzione di congiunzione e affiancamento fra servizi nido e servizi infanzia che, ad oggi, non appare però ancora ben definita da un punto di vista di declaratoria professionale.

In secondo luogo si evidenzia lo sforzo di rigenerare gli spazi riorientandoli nella direzione di “poli educativi” a cui richiama la “Buona scuola” grazie a un processo di riallestimento finalizzato a farne luoghi destinati a nuove attività di interesse collettivo. Un’operazione complessa resa però possibile grazie al fatto che, in molti casi, le sedi sono beni comunitari affidati in comodato o a prezzo non di mercato alle imprese sociali, riconoscendo così il carattere meritorio dei servizi ospitati. Una dimensione infrastrutturale importante che richiede però di traguardare il mero dato spaziale per costruire reti di servizi su scala locale (accompagnamento domiciliare, consultori, ecc.). Un percorso che non è tanto di integrazione efficiente ma di "risignificazione" dei servizi, assegnando loro una missione che può addirittura andare oltre le parole chiave della legislazione odierna come conciliazione, benessere, prevenzione e supporto alla genitorialità.

In terzo luogo l’indagine realizzata da Aiccon mette in luce il progressivo diffondersi di pratiche di coprogettazione dei servizi 0-6 che adottano metodologie di codesign con i beneficiari diretti e indiretti e non solo ai “tavoli” con la Pubblica Amministrazione. Benché rispetto agli utenti a prevalere sia la valutazione del servizio secondo i canoni classici della costumer satisfaction, sembrano quindi farsi strada, sull’onda dell’applicazione del modello 0-6, modalità dove si mixa l’erogazione di beni pubblici e la coproduzione di beni comuni.

In quarto luogo, trattandosi di imprese sociali, è utile guardare al modo in cui sanno declinare in senso realmente inclusivo il loro assetto di governance, facendo spazio a diverse categorie di portatori di interesse per condividere obiettivi di “interesse generale”. Il monitoraggio non restituisce particolari riscontri rispetto a un possibile “rimpasto di governo” derivante dall’adozione di un nuovo modello di servizio che estende e diversifica ulteriormente la platea degli stakeholder. Ma forse l’orizzonte tracciato dalla recente riforma in materia di impresa sociale può aprire lo spazio a soggetti che agiscono nell’impresa sociale non solo come lavoratori o utenti dei servizi, ma anche come investitori. Apportatori di risorse che agiscono come “locavestor” dunque: cittadini investitori che smobilizzano risorse – magari grazie a piattaforme di social lending o equity crowdfunding – per investire “pazientemente” su un nuovo servizio locale di pubblica utilità in grado di ritornare sull’investimento in termini economici e di coesione sociale.

Infine i dati restituiscono un “non detto” rispetto a un tema chiave anche per i servizi 0-6 ovvero l’innovazione tecnologica tramite un insieme di dispositivi, digitali ma non solo, che oggi risultano più accessibili e maturi nella cultura d’uso. Non semplicemente per esigenze di monitoraggio e di controllo ma di supporto al lavoro osservativo degli educatori, per sostenere l’inclusività e l’integrazione dei portatori di bisogni speciali ed estendere la dimensione esperienziale dei bambini.

Volendo da qui partire per guardare avanti, appare chiaro che è giunto ormai il momento di stabilire se i servizi 0-6 rappresentano una mera diversificazione dell’offerta (un modo diverso di nominare l’offerta 0-3 sommata a quella 3-6) o se invece si tratta dell’affermazione di nuove forme di coordinamento istituzionale, pedagogico e curriculare. Innovazioni che sono in grado di avviare processi di ridisegno organizzativo anche all’interno di organizzazioni mature (peraltro non solo imprese sociali).


Questo approfondimento è parte del Focus ZeroSei di Percorsi di secondo welfare: 
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