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Roberta Caragnano, co-autrice del Working Paper 2WEL 2/2020 “Verso la Terza Economia: beni comuni, economia sostenibile, nuovi modelli di welfare e imprese di comunità”, in questo articolo di sintesi ci racconta alcuni dei punti salienti che emergono nel suo lavoro. 


Un nuovo modello di sviluppo che ponga al centro le persone, il loro benessere e guardi alle nuove generazioni, avendo come file rouge la sostenibilità del sistema economico alla luce dei temi dell’Agenda 2030. È questa la visione, alla base del Patto per una Terza Economia, illustrato nel nuovo working paper di Secondo Welfare scritto insieme al il Sottosegretario Stanislao di Piazza. Il Patto si concretizza in un progetto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che ha l’obiettivo di definire linee di indirizzo e interventi per la promozione dell’impresa sociale e il rafforzamento dell’economia sociale e solidale. 


Il modello proposto

Il Patto si basa e promuove un modello di sviluppo che, sulla scia del pensiero olivettiano, intende l’impresa come parte integrante della societa? e sia in grado di guidare i giovani – i quali dovranno vivere e gestire l’evoluzione della stessa (società) – verso nuovi paradigmi economici che coniugano profitto e sviluppo sostenibile.

Rifkin nel documentario "The Third Industrial Revolution: A Radical New Sharing Economy" analizza proprio gli aspetti legati alla sostenibilità e al ruolo delle nuove generazioni, che sono centrali per il futuro dei sistemi Paese; un modello economico che parta dall’affrontare le problematiche legate alla povertà, al lavoro equo e, passando per i cambiamenti climatici, punti a creare un nuovo pilastro definito Patto per la Terza Economia, in uno scenario generale dominato dalla tecnologia.

Un concetto di economia sostenibile da intendersi in ottica sistemica e in relazione alle politiche per l’occupazione nella visione di uno sviluppo che sia in grado di produrre una crescita occupazionale con politiche e misure volte a sostenere la crescita e la competitività. Un concetto di questo tipo è in linea anche con gli indirizzi della Commissione Europea che nell’Indagine annuale sull’occupazione e sugli sviluppi sociali in Europa, pubblicata nell’estate del 2017, evidenziava già l’importanza di investire nelle persone e consentire loro di sfruttare opportunità di lavoro di qualità. Elementi, questi, che rappresentano l’aspetto nodale della Nuova agenda europea per le competenze, al fine di sostenere lo sviluppo delle competenze dei cittadini per prepararli a un mondo del lavoro in evoluzione.

Il percorso di costruzione della Terza Economia, a supporto dello Stato e dell’economia di mercato, va nella direzione di un sistema che punta all’elaborazione di progettualità che vedono tra gli asset centrali il confronto e il dialogo costruttivi, la sinergia e le reti per lo sviluppo, il territorio, la condivisione. La ratio è, infatti, un percorso condiviso con le parti sociali e le imprese per avviare dei processi di crescita che passino anche attraverso la coprogettazione nella gestione del bene comune, allargata a tutte le imprese che rispondono a requisiti positivi per la collettività


Il ruolo dei beni comuni

Il concetto di bene comune e la sua gestione è uno degli aspetti centrali del modello proposto. Beni comuni intesi non solo nella accezione economica di commons good, ma anche in veste giuridica intendendo per ciò i beni che tendono ad assurgere a diritti universali. In merito si ricorda Rodotà che è stato uno dei primi a porre nel diritto italiano la problematica inerente la natura e la veste giuridica dei beni comuni. Nella sua visione, tali beni sono funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali e al libero sviluppo della personalità e per questo devono essere salvaguardati sottraendoli alla logica distruttiva del breve periodo e la loro tutela deve essere proiettata nel mondo abitato dalle generazioni future.

La prospettiva de iure condendo per un verso è, come tale, la “veste giuridica” dei beni comuni, dall’altro una riflessione attenta anche sulle modalità e sugli strumenti di gestione degli stessi intendendosi per tali l’acqua, la sanità, l’istruzione, l’ambiente, la scuola, per citarne alcuni, sulla scorta anche delle esperienze già avviate di Acqua Bene Comune e del Teatro Valle Bene Comune.

L’obiettivo è la messa in campo di modelli innovativi e laboratoriali di sperimentazione per l’elaborazione di un impianto giuridico che dia veste normativa ai “beni comuni” all’interno di un Patto che guarda anche al tema del welfare declinato sia nelle imprese sociali – con la proposta di ulteriori modifiche al Codice del Terzo Settore (Decreto legislativo 3 luglio 2017 n.117) per ampliarne il campo di applicazione – sia nelle prospettive di un welfare territoriale.

Al Senato, infatti, è stato depositato (il 13 dicembre 2019) il disegno di legge n. 1650 (d’iniziativa dei Senatori Fenu, D’Alfonso, Comincini, De Petris) che, come emerge dalla relazione illustrativa, ha alla base la visione di una impresa sociale di comunità che si pone quale “nuovo modo di organizzare la produzione in forma continuativa e professionale di beni e servizi di interesse di una determinata comunità, fondato sulla partecipazione diretta degli abitanti di un determinato luogo, i quali si riconoscono in obiettivi comuni di sviluppo e rigenerazione di asset riferibili ad uno specifico territorio”. Un’impresa di comunità aperta e orientata allo sviluppo e che sia in grado di garantire a tutti i suoi membri l’accesso non discriminatorio ai beni e servizi che essa stessa produce, nell’ottica del bene comune.

Come illustrato più diffusamente nel paper, l’obiettivo del Patto, quindi, è dare avvio a una nuova economia civile e a un nuovo umanesimo in uno scenario nel quale la politica possa rappresentare un terreno fertile per veicolare le proposte degli imprenditori attraverso il dialogo diretto con i policy maker e le parti sociali partendo dal coinvolgimento di nuove imprese e, quindi, sperimentando modelli imprenditoriali che considerino anche l’impatto sociale. Il percorso è iniziato.