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Nell’ambito dei nostri approfondimenti sulle politiche e i servizi per la disabilità, stiamo dedicando spazio agli interventi messi in atto dalle Fondazioni di origine bancaria (FOB) nei confronti delle persone con disabilità. In questo articolo approfondiremo il progetto “Vela – Verso l’Autonomia” di Fondazione CRC, di cui vi aveva già parlato Federico Razetti. Il progetto è finalizzato a promuovere l’autonomia e la piena inclusione sociale, abitativa, lavorativa e culturale delle persone con disabilità e il 2 e 3 dicembre 2016 sarà oggetto del convegno nazionale "A VelA Spiegata". 


Fondazione CRC

Prima di entrare nel dettaglio del progetto Vela facciamo un passo indietro e parliamo dell’ente che l’ha promosso. La Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, che nel gennaio 2017 compirà 25 anni, è un ente non profitprivato e autonomo, che persegue scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico, attraverso l’attività erogativa a favore di soggetti pubblici e privati non profit nei settori dello sviluppo locale e dell’innovazione, dell’arte e della cultura, del welfare, dell’educazione, della salute pubblica e dell’attività sportiva. La Fondazione, una delle prime 10 a livello nazionale, con un patrimonio che ammonta a circa 1,4 miliardi di euro, è attiva in provincia di Cuneo, prevalentemente nelle zone di tradizionale operatività relative alle aree dell’Albese, del Cuneese e del Monregalese.

La strategia operativa della Fondazione è basata su tre modalità: i progetti promossi direttamente, i bandi e le sessioni erogative. I progetti, come “Vela – Verso l’Autonomia”, sono interventi gestiti direttamente dalla Fondazione, in partenariato con soggetti del territorio e in collaborazione con uno o più partner tecnici, in questo caso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università degli Studi di Torino, per rispondere a uno specifico bisogno del territorio che non trova risposte nell’attuale offerta di servizi pubblici e privati. L’attivazione del progetto è quindi preceduta da un rigoroso approfondimento svolto dal Centro Studi della Fondazione e dal confronto con gli stakeholder territoriali. Scopo dei progetti è quindi stimolare il territorio in ambiti o modalità d’intervento ancora poco diffusesperimentare su piccola scala modalità innovative e stimolarne l’adozione da parte di enti locali e del terzo settore.

L’operato di Fondazione CRC è ispirato da un’ottica di welfare mix caratterizzata dal dialogo con gli enti pubblici e le organizzazioni del terzo settore presenti sul territorio, dal lavoro di mediazione tra essi e dalla promozione di progetti e interventi innovativi, realizzati sempre in una logica bottom up, caratterizzata dal confronto, attraverso tavoli, con gli stakeholder territoriali.
La Fondazione non si pone quindi come mero erogatore di contributi, bensì come soggetto facilitatore delle reti e delle risorse della comunità che favorisce l’elaborazione e la riflessione sulle politiche e i servizi di welfare, nell’ottica di migliorare e rinnovare le modalità operative dei servizi. In quest’ottica è stato sviluppato il progetto Vela.


“Vela – Verso l’Autonomia”: caratteristiche generali del progetto

Nel 2013 Fondazione CRC ha avviato una ricerca sui servizi per la disabilità nella provincia di Cuneo in collaborazione con l’Istituto per la Ricerca Sociale (I.R.S.) di Milano. Questa ricerca ha messo in luce come nella provincia di Cuneo non vi fossero servizi per il “durante e dopo di noi” a carattere non istituzionalizzante. 

Di fronte a questo dato, nel 2014 la Fondazione ha scelto di aprire un tavolo di confronto con gli stakeholder interessati – i consorzi socioassistenziali, le Asl, le cooperative e le associazioni famigliari – con il mandato di progettare un intervento per il “durante e dopo di noi”. Il coordinamento del tavolo è stato affidato alla dott.ssa Cecilia Marchisio, ricercatrice di pedagogia speciale presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università degli Studi di Torino. In questa prima fase l’Università ha avuto l’importante compito di aiutare i membri del tavolo ad ampliare lo sguardo fornendo materiali preparatori per approfondire le direttive europee, la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità ed esempi di buone prassi

Dopo una prima fase di approfondimento e documentazione il tavolo ha iniziato a progettare l’intervento e in un anno di lavoro è stato realizzato un ambizioso progetto che la Fondazione decide di finanziare interamente. Prima di procedere con l’avvio, il coordinamento scientifico ha posto un requisito essenziale: tutti gli attori del territorio coinvolti, pubblici e privati, devono formalmente sottoscrivere l’impegno a continuare le attività dopo la conclusione del progetto. Non sarebbe infatti possibile proporre a dei giovani con disabilità un percorso di autonomia per poi interromperlo.

L’11 febbraio 2015 tutti gli attori hanno sottoscritto l’impegno, avviando di fatto il progetto. Fondazione CRC ha stipulato un accordo con il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino, riconoscendolo come partner tecnico, incaricato  di fornire supervisione scientifica nella persona di Cecilia Marchisio e il coordinamento pedagogico attraverso la dott.ssa Natascia Curto e cinque educatori sociali inserendo l’attività in un progetto di ricercazione. Gli educatori sociali sono stati selezionati attraverso un concorso pubblico per borsisti di ricerca che aveva tra i requisiti fondamentali la competenza in percorsi formativi di accompagnamento alla vita indipendente e un’età inferiore ai trentacinque anni in quanto il progetto è pensato come forma di accompagnamento tra pari con un tutor specializzato che abbia caratteristiche generazionali affini ai beneficiari dell’intervento.

I presupposti metodologici del progetto sono:

  • Le pratiche dialogiche: si tratta di una modalità di lavoro sperimentata per la prima volta in Finlandia dallo psicologo Jakko Seikkula nell’ambito dei servizi per la salute mentale, arrivata poi in Italia negli ultimi decenni.
  • Il principio “niente per noi senza di noi”: nasce nei movimenti per la vita indipendente promossi da persone con disabilità fisica come l’European Network Indipendent Living. Lo sforzo ora è applicare il principio anche alle persone con disabilità intellettiva.
  • Il modello dei diritti (right based model): in base a questo modello, arricchito da elementi mutuati dall’approccio delle capability di Amartya Sen, diffusosi verso la fine del ‘900, la persona con disabilità è un cittadino portatore di diritti che può liberamente decidere del corso della sua vita. Non deve essere l’operatore a decidere l’intervento ma la persona, dovere dell’operatore è mettere a disposizione la propria competenza per garantire l’esigibilità dei diritti.

È stato inoltre significativo il contributo degli studi sull’empowerment delle famiglie (in particolare Marian Barnes sul contesto britannico), ritenendo che l’empowerment permetta di coprogettare e decidere insieme l’intervento, non la mera possibilità di scelta tra diverse opzioni sul mercato in quanto nell’ambito dei servizi alla persona vi è un problema formale, l’asimmetria informativa completa che rende impraticabile la logica di mercato.

Il progetto Vela si suddivide in quattro azioni: costruire, lavorare, abitare – rivolte a persone con disabilità intellettiva – e promuovere – rivolta invece a tutta la cittadinanza.
L’azione costruire è finalizzata a promuovere un percorso di empowerment per le famiglie con minori con disabilità affinchè possano costruire un futuro di autonomia e vita indipendente per i loro figli; si sostanzia in incontri e attività di capacitazione per i genitori, e attività formative per insegnanti e operatori dei servizi alla persona. Le azioni lavorare e abitare sono due filoni dello stesso percorso orientato a garantire la vita indipendente di giovani tra i 18 e i 35 anni con disabilità intellettiva a prescindere dalla patologia e dalla gravità. 

L’azione promuovere, invece, parte dal presupposto che una persona con disabilità sia un cittadino portatore di diritti come tutti ma spesso questo non viene riconosciuto dalla collettività; obiettivo dell’azione è quindi è promuovere una diversa visione delle persone con disabilità che superi la semantica del bisogno, degli sfortunati per entrare nella semantica dei diritti. Uno dei prodotti di questa azione è la web-serie “Vela Spiegata” realizzata da due registi dello studio Progetto Bifronte e disponibile sul profilo Vimeo della Fondazione (si può accedere ai singoli episodi anche dalla pagina del progetto sul sito della Fondazione).

Sono previsti strumenti di valutazione di vario tipo. In primo luogo vi è il monitoraggio interno realizzato con metodi quantitativi, per valutare l’impiego delle ore di lavoro degli educatori (su cui converge la maggior parte dei fondi), la diffusione e i processi attivati attraverso diagrammi di flusso che consentono di comprendere il rapporto tra le azioni intraprese e l’ordine in cui è più opportuno metterle in atto, e metodi qualitativi per analizzare i processi educativi e sociali attraverso le relazioni redatte dagli educatori.
Vi è poi il monitoraggio esterno effettuato da una società di valutazione.


L’approccio pedagogico

L’approccio pedagogico si basa sui presupposti metodologici definiti nel paragrafo precedente. È un approccio personalizzato che si adatta alle esigenze e condizioni della persona con disabilità per consentirle di sviluppare un percorso di autonomia e vita indipendente nel suo contesto di vita. È stato ritenuto non opportuno definire degli obiettivi e degli standard a priori in quanto vi sarebbe sempre qualcuno escluso; obiettivo del progetto Vela è infatti la massima inclusività poiché ai sensi dell’art 19 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità ogni persona con disabilità ha diritto a scegliere dove e con chi vivere.

Partendo dalle pratiche dialogiche di Seikkula, la relazione educativa viene costruita non in una logica di controllo bensì in una logica di accompagnamento e supporto. Gli educatori prestano grande attenzione alla posizione che ricoprono nella relazione e riflettono in equipe sulle implicazioni. Cambiare la logica dell’intervento educativo infatti non significa cambiare le tecniche pedagogiche adottate ma definire diversamente la propria posizione nella relazione d’aiuto. Questo aspetto metodologico si collega ovviamente al principio “niente per noi senza di noi”.

Altra caratteristica importante dell’approccio adottato è il rispetto del naturale susseguirsi dei corsi di vita della persona. Solitamente infatti un giovane con uno sviluppo tipico, concluso il percorso formativo, inizia a lavorare ed in seguito con le proprie risorse finanziarie va a vivere da solo; nel progetto Vela questo avviene anche nei percorsi di autonomia per i giovani con disabilità intellettiva, si è scelto infatti di non destinare risorse al pagamento di affitti o alla costruzione di residenze, e per tale ragione le azioni abitare e lavorare sono strettamente congiunte.

L’attenzione al naturale susseguirsi dei corsi di vita porta a contestualizzare tutti gli interventi in condizioni e situazioni reali in quanto solitamente un giovane apprende le competenze che lo portano all’autonomia dalla famiglia di origine con la pratica nella vita quotidiana non in situazioni finte o simulate come le cosiddette “scuole dell’autonomia” che secondo le ideatrici del progetto hanno portato a scarsi risultati.

Non vi sono attività educative strutturate bensì gli educatori cercano di far vivere la quotidianità da adulti. Ciò implica l’apprendimento di competenze ma queste sono finalizzate ad attività reali da persone adulte: ad esempio non si insegna a contare i soldi o a cucinare bensì si parte dal problema del pasto, si va a fare la spesa, si paga, si va a casa e si cucina.

Tutte le parti del percorso di accompagnamento sono stabilite collegialmente tra l’educatore, il giovane con disabilità e la sua famiglia attraverso una serie di incontri. Nel primo l’educatore ascolta i desideri e gli obiettivi visti come prioritari con l’orizzonte di un futuro da adulto, nei giorni seguenti l’equipe educativa mette a disposizione le proprie competenze tecniche per definire la strategia migliore per raggiungere gli obiettivi definiti nell’incontro che presenterà agli interessati in un appuntamento successivo nel quale potranno accettarla, rifiutarla o proporre delle modifiche. Il progetto educativo viene rivisto ogni tre mesi.
L’elaborazione della strategia è fortemente basata sull’analisi della rete della persona, delle sue attività quotidiane e degli ambienti che frequenta in quanto l’approccio non prevede l’intervento sulla singola persona bensì sul contesto e la comunità.

In base agli obiettivi del percorso di accompagnamento, alle necessità della persona e alle risorse della rete si possono poi proporre dei sostegni. Nel caso dell’abitare se la persona non ha ancora raggiunto o non può raggiungere una completa autonomia possono essere previsti aiuti per parti della giornata, o in casi particolari, per tutto il giorno (caso attualmente non avvenuto nel progetto). I supporti non devono necessariamente essere forniti da professionisti, vi sono casi infatti in cui sono stati attivati sostegni dal vicinato o da altre realtà territoriali.

È opportuno evidenziare come l’approccio pedagogico adottato ponga in rilievo la trasformazione della figura dell’educatore sociale. L’approvazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e il passaggio da un paradigma medico positivista ad un paradigma bio-psico-sociale, da un modello basato sul bisogno ad un modello basato sui diritti cambia radicalmente il ruolo dell’educatore che non è più colui che deve proteggere la società dai diversi e decidere al loro posto, bensì colui che deve mettere la propria professionalità al servizio di cittadini con particolari bisogni perché possano divenire autonomi e autodeterminarsi. Questo ovviamente implica una profonda riflessione degli educatori sociali sulla propria pratica professionale, sulle relazioni instaurate, sui propri vissuti e sulla stessa organizzazione dei servizi alla persona.


Lavorare sul contesto valorizzando la comunità

Nel paragrafo precedente si è fatto cenno ad una significativa peculiarità del progetto Vela: l’intervento non è centrato sulla persona con disabilità bensì sul contesto in cui vive, non è limitato a trasmettere competenze o abilità ma si orienta ad accompagnare la persona nella difficile transizione all’età adulta.

Il progetto si basa sull’assunto che ogni persona, sia con disabilità che cosiddetta “normodotata”, in quanto essere intimamente sistemico, abbia una propria rete di relazioni come la famiglia, il vicinato, i negozi in cui fa spesa, il luogo di formazione o lavoro, il circolo, la parrocchia, e che questa rete ne determini la vita. Lavorare sulle reti e il contesto di vita è quindi ritenuto molto più incisivo che lavorare sulla singola persona in quanto l’essere adulti non è un fatto individuale bensì il frutto del riconoscimento da parte dei nodi della rete. La società attuale si regge sui rapporti di fiducia tra le persone, sul riconoscimento che l’altro è un soggetto di cui potersi fidare, capace di assumersi le proprie responsabilità; le persone con disabilità intellettiva sono però spesso considerate degli “eterni bambini”, non ottengono immediatamente la fiducia delle altre persone.

Il lavoro sul contesto consente di mettere in atto diverse tipologie di intervento: a) valorizzazione delle risorse formali e informali della comunità per costruire i sostegni alla vita indipendente; b) favorire la comprensione dei comportamenti e delle esigenze della persona con disabilità in modo tale che comportamenti bizzarri non generino timore o esclusione della persona stessa; c) implementazione della fiducia nei confronti della persona con disabilità portando al riconoscimento di responsabilità in diversi ambiti compreso quello lavorativo (es: un giovane con disabilità ora lavora come baby sitter).

Il risultato è una grande valorizzazione del ruolo della comunità locale, tante persone “non addette ai lavori” si sono fatte coinvolgere e hanno dato un contributo determinante ai percorsi di accompagnamento alla vita indipendente. Nel caso di giovani con disabilità con comportamenti ritenuti bizzarri gli educatori hanno lavorato negli ambienti di vita, ad esempio il bar, per spiegare il comportamento, le possibili cause e renderlo socialmente accettabile (eventualmente fornendo un recapito da contattare in caso di particolare bisogno). In un altro caso si è lavorato sulla costruzione di sostegni: un giovane con disabilità consegna a domicilio i libri della biblioteca comunale ad anziani che non possono uscire di casa e la mensa scolastica gli fornisce alcuni pasti gratuitamente. L’educatore diviene così un mediatore comunitario che stimola reti di scambi sociali che vanno oltre i supporti professionali.


Conclusioni

Dall’approfondimento del progetto “Vela – Verso l’Autonomia” emergono interessanti spunti di carattere generale.

In primo luogo appare significativo il ruolo svolto da Fondazione CRC. La Fondazione è stata infatti l’attore territoriale che ha rilevato il bisogno e coinvolto enti pubblici e organizzazioni del terzo settore nella progettazione dell’intervento che poi ha finanziato facilitando reti e partenariati e facendo promozione culturale. Ha infatti garantito la connessione tra i servizi alla persona del territorio e l’università favorendo così la diffusione di nuovi approcci alla disabilità.

Il secondo elemento di rilievo è la funzione dell’università che si è posta come luogo di elaborazione culturale e metodologica non fine a sé stessa ma finalizzata alla trasformazione dei servizi e all’advocacy delle persone con disabilità.

Un terzo elemento significativo è rappresentato dalle professioni sociali, uno dei principali attori del cambiamento. È opportuno quindi riflettere su quando incida l’agire degli operatori sociali (in questo caso degli educatori sociali) sulla trasformazione dei servizi alla persona, e più in generale dei sistemi di welfare. L’esperienza del progetto Vela mostra come dinamiche importanti come la sinergia tra pubblico e privato, la valorizzazione della società civile, la promozione della comunità locale passino attraverso il lavoro sul campo degli educatori sociali che sono quindi “protagonisti” del consolidarsi di un secondo welfare. È pertanto fondamentale comprendere il nesso e soprattutto il rapporto circolare tra paradigmi e modelli d’intervento delle professioni sociali e modelli di welfare. L’elaborazione, la messa in pratica e la diffusione di un modello d’intervento, di un paradigma o di una tecnica d’intervento possono determinare un profondo cambiamento nel funzionamento dei servizi alla persona e quindi del sistema di welfare, soprattutto quando la prassi innovativa trova un riconoscimento giuridico; anche il modello di welfare può però incidere sull’agire delle professioni sociali determinandone il ruolo nei servizi, le condizioni di lavoro e la possibilità di partecipare ai processi decisionali.

In ultimo è utile soffermarsi su cosa fa scaturire l’innovazione. I promotori del progetto hanno più volte evidenziato come di fronte al sorgere del diritto all’autodeterminazione delle persone con disabilità e alla difficoltà degli attuali servizi alla persona di garantirlo, si siano posti una domandaCosa facciamo?”.

L’innovazione parte dalla rilevazione di un diritto, in questo caso il diritto all’autodeterminazione sancito dalla Dichiarazione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, e dal dovere etico e giuridico di renderlo esigibile di fronte all’impossibilità dell’esistente offerta di servizi. Questo, da un lato porta le professioni sociali a costruire le metodologie e a elaborare le culture professionali più corrispondenti, dall’altro gli attori del territorio come Fondazione CRC ad attivare il processo di progettazione dei servizi.

Si crea così un circolo virtuoso che unisce i luoghi dell’elaborazione culturale e scientifica come l’università, coloro che operano quotidianamente sul campo come gli educatori sociali, soggetti chiamati a stimolare e finanziare il welfare locale come le fondazioni di origine bancaria e i servizi alla persona, enti locali e terzo settore.