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La pandemia ha lasciato dietro di sé conseguenze immaginabili: da un lato ha acuito problemi e criticità preesistenti ed è stata seguita da nuove crisi di dimensioni globali e nazionali; dall’altro ha generato nuove opportunità, anche grazie alla disponibilità di nuove risorse rafforzando dinamiche innovative e capacitanti, in particolare dove da tempo si stavano sperimentando interventi incentrati sull’apertura ad attori non pubblici, sull’innovazione sociale e sulle pratiche collaborative.

Dentro questa cornice in continua evoluzione si inserisce “Agire insieme. Coprogettazione e coprogrammazione per cambiare il welfare”, il Sesto Rapporto sul secondo welfare, dedicato alle pratiche collaborative, con specifico riferimento alla coprogettazione e alla coprogrammazione. Il Rapporto si articola in tre parti caratterizzate da tre obiettivi distinti – conoscere, realizzare e ideare – che individuano, guardando al futuro, tre direttrici tra loro connesse.

Nella prima parte si è voluto conoscere e approfondire la ricerca intorno ai temi della coprogettazione e della coprogrammazione partendo dalle grandi sfide e transizioni in atto, per comprendere se e come le pratiche collaborative che interessano sempre più le politiche sociali e interrogano le comunità locali possano contribuire alla trasformazione del welfare. La seconda parte è dedicata a casi ed esperienze di pratiche collaborative in grado di dare conto del cammino percorso a livello territoriale nell’alveo del welfare aziendale, del welfare filantropico e di quello di prossimità1. La terza parte riflette sugli scenari futuri elaborando – attraverso una serie di raccomandazioni – una cornice ideativa prospettica capace di identificare e rafforzare logiche collaborative, fondamentali per contribuire a promuovere la partecipazione e per rafforzare la democrazia.

Una ricerca per capire meglio coprogettazione e coprogrammazione

Il Sesto Rapporto prova così a risignificare la circolarità tra conoscenza, azione e ideazione: considerarle insieme permette di interrogarsi sulle sfide e sui rischi ecosociali, sulle risposte, sui processi che mettono al centro gli attori e li spingono a collaborare nelle varie fasi del ciclo di policy che trasforma le domande (desideri, aspirazioni e bisogni) in interventi, progetti e programmi. E permette anche di ragionare su come fornire risposte più efficaci, attente alla qualità e sostenibili ideando soluzioni che rendano le società sempre più inclusive, aperte, sostenibili e prospere2.

Conoscere e realizzare le pratiche collaborative

Il coinvolgimento di attori non pubblici nelle politiche e nella produzione di servizi di welfare ha conosciuto uno sviluppo incrementale. Negli ultimi due decenni, accanto a forme di ibridazione tra i modelli organizzativi, gestionali e finanziari di natura mercantile e quelli improntati a logiche mutualistiche e non profittevoli, il catalogo degli strumenti di policy design si è arricchito con il ricorso a modelli collaborativi. È così che in anni recenti sono andate diffondendosi pratiche collaborative, tra cui la coprogettazione e la coprogrammazione. Diffusione che ha conosciuto un’accelerazione in risposta alla crisi pandemica, oltre ad essere facilitata da un quadro normativo che ne riconosce la portata innovativa.

Il Sesto Rapporto, in primo luogo, si è occupato della questione definitoria evidenziando come non prevalga, tra gli addetti ai lavori, una definizione univoca e condivisa: emerge piuttosto una visione della coprogettazione come confronto prezioso e capacitante tra attori pubblici e privati, utile a valorizzare le risorse locali (collaborando con e sul territorio) e, insieme, a implementare interventi e servizi innovativi per rispondere ai bisogni emergenti. Questa indeterminatezza definitoria si accompagna a una normativa nazionale che presenta zone d’ombra, in particolare rispetto ai setting e agli strumenti organizzativi a disposizione delle pratiche collaborative, e a un’ampia discrezionalità regionale che si riflette in una pluralità di riferimenti regolativi e in differenti modalità di utilizzo dello strumento a livello locale. Dinamiche che finiscono per alimentare frammentarietà e differenziazione nonostante la presenza di Linee guida ministeriali (DM 72/2021) pensate per facilitare il ricorso alla coprogettazione e alla coprogrammazione.

Nonostante l’incertezza definitoria, la coprogettazione è tuttavia vista come strumento ideale in risposta ai nuovi bisogni sociali acuiti da fasi di policrisi come quella attuale. Crisi che generano al contempo nuove e più forti pressioni ma stimolano anche la capacità di reazione dal basso orientando sempre di più le istituzioni pubbliche, il Terzo Settore e gli enti privati a coprogettare. Le crisi, insomma, possono essere attraversate grazie alle pratiche collaborative agendo sia sui processi, coinvolgendo le risorse territoriali per creare e/o consolidare la capacità organizzativa delle reti locali in una più ampia logica di welfare di comunità, sia sui prodotti, attraverso l’implementazione di soluzioni inedite e di interventi che innovano i servizi tradizionali e ne favoriscono una maggiore integrazione.

Coprogettazione: innovazione per il secondo welfare

Perché questo si realizzi – o si consolidi dove è già una prassi sperimentata – rimane necessario un cambiamento culturale capace di ripensare i ruoli, le funzioni, le visioni e le modalità di programmare e progettare i servizi da parte di tutti gli attori economico-sociali locali nonché dei decisori pubblici, a cui spetta il compito di stimolare e presidiare tali processi nell’interesse dell’intera comunità. Le crisi hanno anche una funzione di propagazione e rafforzamento della coprogettazione conferendo una maggiore consapevolezza, agli attori pubblici e privati, della necessità di “agire insieme” condividendo responsabilità e risorse utili nel rispondere efficacemente a nuovi bisogni. E, non meno importante, stanno creando una path dependence (Pierson 2000) “virtuosa” che spinge a continuare sulla strada della governance collaborativa e di una più stretta sinergia nelle diverse fasi decisionali, attuative e valutative degli impatti generati.

Forza e debolezza delle pratiche collaborative 

L’analisi empirica ha evidenziato – in linea con la letteratura – la natura complessa e multidimensionale delle pratiche collaborative, contraddistinte sia da punti di forza sia da punti di debolezza, a seconda del contesto in cui si sviluppano.

Punti di forza

Tra i primi troviamo la corresponsabilità tra i soggetti partner, intesa come una partecipazione maggiormente inclusiva nei processi di progettazione, realizzazione e gestione degli interventi. La corresponsabilità comporta la definizione di nuovi modi di agire insieme: richiede strategie di lavoro – opposte al modello competitivo – basate su rapporti dialogici tra i partecipanti, la creazione di spazi e luoghi favorevoli alla negoziazione, allo scambio e al confronto paritario e l’impiego di strumenti capaci di favorire la collaborazione. E richiede una definizione chiara dei ruoli e delle funzioni che gli enti coinvolti sono chiamati ad assumere senza rinunciare – anzi, ricercando – una commistione di competenze e sinergie professionali, considerata elemento innovativo per l’implementazione di interventi e servizi sociali.

In questo modo si favorisce la valorizzazione delle competenze secondo una logica sinergica che richiede di abbandonare una modalità meramente prestazionale e settoriale per lasciare spazio alla costruzione di percorsi multidisciplinari e integrati. La valorizzazione delle competenze è, inoltre, percepita come un aspetto dirimente nel favorire un maggiore coinvolgimento dei diversi stakeholder.

Allo stesso tempo la costruzione di processi inclusivi e plurali contraddistinti da multicompetenze favorisce un migliore investimento delle risorse grazie alla consapevolezza delle attività utili da implementare rispetto a uno specifico target di destinatari e uno specifico territorio di riferimento. Altrettanto importante è la condivisione delle risorse, tra cui quelle economiche, per alimentare una crescente capacità di strutturare risposte anche grazie alla creazione di fondi territoriali in cui far convergere capitali di natura diversa e lì ricomporli a beneficio degli interessi dell’intera comunità.

Punti di debolezza

Accanto ai punti di forza l’analisi empirica ha rilevato alcune criticità. In primo luogo, il forte impegno relazionale richiesto dalla coprogettazione per creare alleanze tra enti diversi non solo per natura giuridica ma anche rispetto alla mission e alla cultura organizzativa. Tale impegno riguarda anche l’attività di coordinamento delle reti e richiede spazi adeguati per favorire la conoscenza reciproca degli enti e valorizzare al meglio le risorse.

In secondo luogo, risulta chiara la necessità di dotarsi di figure competenti in grado di gestire la rete, i partenariati e i tavoli multiattore, di favorire il confronto, l’interazione e l’ascolto e di gestire i conflitti. Altrettanto importante appare la predisposizione di percorsi formativi per il personale delle Pubbliche Amministrazioni e degli enti del Terzo Settore per trasferire i dispositivi della coprogettazione e della coprogrammazione.

In terzo luogo, l’analisi empirica ha evidenziato la natura spesso farraginosa delle pratiche collaborative, evidente per esempio nella complessità di dover familiarizzare con procedure rendicontative diverse per ogni esperienza di collaborazione, a seconda della natura del finanziamento.

Altrettanto sfidanti sono per gli enti del Terzo Settore le tempistiche contingentate dei bandi e la scarsità delle risorse economiche di cui dispongono o a cui possono accedere partecipando ai processi di coprogettazione. L’orizzonte temporale limitato incide anche sulla possibilità di assicurare continuità alle coprogettazioni e di adottare una prospettiva progettuale medio-lunga, utile a una efficace e adeguata realizzazione degli interventi e alla trasformazione di progettualità in programmi e – a tendere – in vere e proprie politiche pubbliche coprogettate e co-attuate.

Ostacoli e incentivi per coprogrettazione e coprogrammazione

Il Rapporto ha indagato anche i fattori che facilitano o che ostacolano il ricorso a coprogettazione e coprogrammazione. La configurazione delle reti influisce sull’avvio, sulla gestione in itinere e sull’esito dei processi di coprogettazione e chi è coinvolto nelle reti e nelle pratiche collaborative gioca un ruolo sempre più rilevante rispetto ai cambiamenti del welfare locale, oggi motore e fine dei processi collaborativi.

Collaborazione, parola chiave del secondo welfare italiano

Questi ultimi, a loro volta, sono condizionati dal contesto in cui si sviluppano e dalle dinamiche interne alle singole organizzazioni, sia pubbliche che private. Inoltre, la partecipazione della politica (i decisori locali) ai processi collaborativi può fare la differenza favorendo la sinergia tra attori pubblici ed enti del Terzo Settore e la costituzione di reti aperte anche agli attori di mercato.

L’analisi ha inoltre messo in evidenza come la coprogettazione sia più efficace se alla base del consenso ci sono risorse conoscitive e fiducia, sottolineando l’importanza di una reale condivisione – tra i partecipanti – della visione e degli obiettivi.

A frenare i processi collaborativi sono:

  • fattori culturali incentrati sulla resistenza al cambiamento e sulla dipendenza da logiche, prassi e pratiche tradizionali e/o competitive;
  • oneri regolativi, amministrativi, organizzativi ed economico-finanziari;
  • fattori di natura politico-strategica legati ad una miopia di visione, alla scarsa comprensione del potenziale delle pratiche collaborative, alla debolezza del ruolo del decisore pubblico e all’incapacità di proporre indirizzi strategici in grado di anticipare le sfide e i problemi.

Il processo di coprogettazione degli interventi dipende anche dall’equilibrio tra gli interessi degli stakeholder, ruolo della politica e coinvolgimento dei professionisti della coprogettazione (consulenti, facilitatori ed esperti). Tutti gli attori coinvolti nei processi collaborativi vivono le tipiche pressioni contrapposte tra seguire le regole o adattarle e interpretarle in modo da poter meglio soddisfare le esigenze della comunità.

L’analisi ha infine identificato opportunità e sfide per le pratiche collaborative. In futuro la coprogettazione e la coprogrammazione potranno consolidarsi e:

  • divenire gli strumenti designati per definire politiche e servizi sociali più mirati ed efficaci rispetto all’evoluzione dei rischi sociali; 
  • favorire l’integrazione dei servizi socio-assistenziali, ancora troppo spesso caratterizzati da logiche di intervento “a silos”;
  • ampliare e istituzionalizzare la partecipazione degli attori locali alle reti multiattore e multilivello e ai processi collaborativi, corroborando l’affermazione del principio di corresponsabilità;
  • sviluppare strumenti di misurazione dell’impatto, garantendo una programmazione di lungo periodo secondo obiettivi e risultati condivisi.

La strada da percorrere per cogliere queste opportunità appare – almeno a tratti – ancora accidentata. La ricerca, infatti, ha individuato tre sfide:

  1. sostenere il cambio di paradigma in corso per arginare resistenze culturali e cristallizzazioni di pratiche, procedure e idee dominanti;
  2. programmare con un orizzonte di medio e lungo periodo, per definire obiettivi (e mettere in campo interventi) che sappiano generare un impatto sociale anche in futuro;
  3. promuovere il capacity building delle organizzazioni coinvolte nelle reti, allineando la capacità di indirizzo del decisore e quella operativa della macchina amministrativa alla trasformazione richiesta agli enti del Terzo Settore, al Mercato e alla società civile nel suo complesso.

Ideare: raccomandazioni e prospettive

La complessità delle pratiche collaborative richiede a tutte le parti coinvolte di continuare a riflettere sullo strumento della coprogettazione e della coprogrammazione anche alla luce del fatto che siamo immersi in una fase che fa ancora ampio ricorso a sperimentazioni e appare distante da un compiuto consolidamento.

L’analisi empirica della prima parte e l’approfondimento di casi ed esperienze della seconda parte del Rapporto hanno permesso di raccogliere spunti e riflessioni sui fattori che portano al successo o all’insuccesso delle pratiche collaborative.

È infatti possibile – alla luce di solide evidenze di successo e impatto – individuare aree di miglioramento e investire ulteriormente su idee trasformative in grado di adattarsi ai diversi contesti di policy3. Sono proprio le idee carismatiche e camaleontiche a fornire spunti di riflessione rispetto alle direttrici di miglioramento delle pratiche collaborative. Sulla base di questi elementi il Rapporto propone otto raccomandazioni4che richiamiamo sinteticamente di seguito.

Predisporsi al cambiamento

Adottare pratiche collaborative significa spogliarsi dalle tradizionali logiche del modello competitivo e assumere una “postura” trasformativa superando la difesa dello status quo. Significa non temere la complessità e adottare una visione disruptive del cambiamento per generare discontinuità rispetto a prassi consolidate ma inefficaci e investire sull’innovazione di processo e prodotto. Tutti gli attori – pubblici e privati – sono sollecitati a mettersi in gioco in questa direzione. L’ente pubblico è chiamato a un necessario capovolgimento di approccio, per cui la responsabilità istituzionale non è più esercitata attraverso il governo diretto ma animando, potenziando e coordinando attori e risorse presenti sul territorio. Questo porta con sé un’autentica revisione degli stili di governance, orientati a stimolare e condividere piuttosto che a esercitare potere. I soggetti del Terzo Settore non possono più proporsi in modo frammentato, con eccessive propensioni autoreferenziali e competitive. Devono rafforzare le loro capacità imprenditoriali e di condivisione delle responsabilità di governo del welfare locale, emancipandosi da un’eccessiva dipendenza dalle iniziative degli enti pubblici e aprendosi alla costruzione di rapporti con il mondo profit e a sistemi di governance collaborativi. Società civile, imprese e organizzazioni profit devono a loro volta sentirsi interrogate dalle transizioni in corso e proporsi come partner delle reti.

Riconoscere la multidimensionalità dei fenomeni e la cross-settorialità degli interventi

I problemi che investono la società e le comunità sono multidimensionali e hanno cause complesse difficilmente trattabili con approcci lineari. Quando i problemi hanno una natura sistemica, le risposte sono più efficaci se frutto di collaborazioni, alleanze e partnership che mettono in sinergia competenze e capacità di azione. Per affrontare problemi ecosociali complessi occorrono informazioni, conoscenze e competenze ma anche linee di metodo e indirizzi operativi tipici delle pratiche collaborative. Ed è fondamentale che i problemi in agenda siano elaborati in una narrazione – sorretta tra l’altro da dati socialmente rilevanti e outcome-based – che comunichi che essi possono essere risolti solo in modo integrato e intersettoriale.

Aprirsi alla collaborazione

La decisione di ricorrere alla coprogettazione e alla coprogrammazione non può avvenire per caso. Richiede consapevolezza del fatto che l’integrazione di risorse materiali e immateriali da parte di un ampio numero di soggetti è la soluzione più adeguata rispetto all’impiego di strumenti alternativi maggiormente orientati alla competizione. Non basta essere accomunati da un generico interesse a lavorare insieme. Collaborare rappresenta l’esito di un consapevole investimento relazionale teso a favorire lo sviluppo di reciproci riconoscimenti e assi fiduciari (Brunod et al. 2016) e insieme la conoscenza delle logiche e degli strumenti che possono rendere possibile le pratiche collaborative.

Investire sulla conoscenza reciproca degli attori coinvolti

È necessario dedicare tempo e spazio alla conoscenza reciproca e continuativa degli attori coinvolti ricorrendo a tecniche che riconoscano il contributo di tutti e permettano di valorizzare al meglio le risorse di ciascun partner della rete (Guarna 2022). Servono occasioni dedicate al confronto e alla conoscenza delle reciproche caratteristiche e peculiarità. Ed è importante curare le relazioni esterne tra le organizzazioni al pari delle relazioni interne alla singola organizzazione, per definire il ruolo di ciascuno nel processo di coprogettazione. Risulta infine centrale svelare i pregiudizi reciproci e transitare verso il riconoscimento dell’altro come risorsa.

Curare la fase di avvio

L’impostazione della fase iniziale del ciclo di vita di una partnership è strategica per la costruzione di una relazione simmetrica tra i partner e rilevante per la strutturazione dell’intero percorso di programmazione, progettazione, attuazione e valutazione. Nella fase di avvio risulta necessario ridurre il gap informativo rispetto al quadro regolativo e procedurale della coprogettazione e della coprogrammazione e definire i ruoli e le funzioni all’interno del partenariato per non creare o alimentare contrapposizioni e conflitti. In futuro, nella prospettiva di un crescente ricorso alla coprogrammazione che vede l’ente pubblico ricoprire un ruolo di titolarità complessiva dell’intervento, diventa essenziale che ogni soggetto della rete possa collocarsi con nitidezza all’interno della relazione di coprogettazione esplicitando aspettative, competenze e responsabilità individuali e condivise.

Definire e strutturare modelli di governance collaborativa

Il setting e le regole per la presa delle decisioni sono aspetti essenziali per la riuscita delle pratiche collaborative. Non si tratta di creare una rigida sovrastruttura organizzativa fatta di regole e procedure bensì di riconoscere la rilevanza di una governance collaborativa rispetto al funzionamento del partenariato e al miglioramento delle capacità di risposta ai bisogni. Costruire strumenti organizzativi, articolati su più livelli e in grado di abilitare alla cross-settorialità, è ritenuto utile rispetto alla possibilità di dotare i progetti e gli stakeholder coinvolti di spazi di riflessione, confronto e autovalutazione e di permettere il riconoscimento dei progressi realizzati e/o delle situazioni più critiche, così da poter intervenire in itinere (Guarna 2022).

Allineare la visione politica e strategica con le competenze tecniche e attuative

La propensione verso la governance collaborativa e la coprogettazione mostra come anche i decisori politici locali siano disposti ad aprirsi a un’ampia gamma di idee e pratiche nuove, relativamente ancora poco studiate e applicate, e metterle al centro dell’agenda di policy locale. Scegliere di avviare una coprogrammazione è una scelta politica e quindi non è neutrale rispetto a come impiegare risorse pubbliche, scegliere gli obiettivi e i target, definire le procedure. E non lo è se tali scelte sono l’esito di un percorso partecipato che riconosce al Terzo Settore, alla società civile, alla cittadinanza (ma anche ad organizzazioni profit quando non sono mosse dal profitto) la capacità di attivarsi autonomamente per la realizzazione del bene comune. È dentro questa cornice che assumono rilevanza la convergenza di approcci e posizioni tra la parte politica e la parte tecnica e un allineamento che permetta di avviare e realizzare processi coprogrammati e coprogettati, evitando il rischio – richiamato da Fazzi (2023, 132) – di “ricadere in una spirale che riproduce e alle volte enfatizza i problemi che hanno portato alla crisi del welfare mix nazionale”. Per questo è auspicabile un impianto di governance: 

  • partecipato nella misura in cui le diverse parti in gioco sono coinvolte e trovano effettivo spazio di voice e ascolto nei processi decisionali;
  • multilivello nella misura in cui è previsto un lavoro sinergico tra più livelli: quello decisionale e di indirizzo strategico, quello operativo ed esecutivo e quello chiamato a valutare effetti e impatti generati;
  • funzionale perché in grado di adattarsi alle esigenze del contesto e ai bisogni emergenti, assicurando sufficiente flessibilità e permeabilità nelle risposte.

Prevedere figure professionali di facilitazione e coordinamento

Le dinamiche relazionali alla base delle pratiche collaborative – concordemente ritenute impegnative – chiamano in causa la necessità di affidarsi a figure professionali come i facilitatori (Pellizzari 2019). La conduzione di processi partecipati e inclusivi richiede competenze specifiche, in grado di misurarsi con il difficile equilibrio tra istanze contrapposte e interessi particolari. Un facilitatore esterno ha il vantaggio di non dover avanzare o rappresentare alcuna posizione rispetto agli obiettivi e all’esito della collaborazione perché il suo unico interesse è far raggiungere ai partecipanti un risultato condiviso attraverso un impegno sostenibile di risorse organizzative, finanziarie e simboliche.

Conclusioni: come continuare a potenziare le pratiche collaborative

Riprendendo le parole chiave intorno alle quali è articolato il Sesto Rapporto tre sono le direttrici da seguire per potenziare le pratiche collaborative.

Per continuare a conoscere si dovranno realizzare analisi documentali e ricerche empiriche rispetto a questioni come:

  • il mutamento di rischi e bisogni ecosociali nel contesto delle partnership pubblico-privato e dei processi collaborativi;
  • le politiche di innovazione sociale in relazione allo sviluppo del welfare di prossimità;
  • il tema della sostenibilità sociale e l’attuazione degli obiettivi ESG e SDGs attraverso la coprogettazione e la co-attuazione degli interventi;
  • il nesso tra resilienza, pratiche collaborative e sistemi di governance multiattore.

Ugualmente meritevole di approfondimento è il tema del coordinamento e dell’integrazione tra interventi e politiche (cfr. Trein et al. 2020). E sarebbe auspicabile un investimento nella raccolta di dati e informazioni riguardo la partecipazione ai processi collaborativi delle persone destinatarie degli interventi.

Per continuare a realizzare pratiche collaborative è auspicabile ricostruire l’evoluzione del quadro normativo e valoriale – dal livello europeo al livello nazionale e locale – che concorre a definire gli elementi facilitanti e i fattori ostativi. In questa direzione è fondamentale fare riferimento al Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, alla nuova programmazione europea 2021-2027, al Piano di azione per l’economia sociale della Commissione Europea, al Next Generation EU per una “ripresa sostenibile, uniforme, inclusiva ed equa” e al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Senza peraltro tralasciare le connessioni con le sfide derivanti sia dalla transizione verde sia dalla transizione digitale. Si dovrebbero inoltre analizzare esperienze e buone pratiche collaborative, a livello italiano e internazionale, con particolare riferimento alla coprogrammazione che ha crescenti margini per essere adottata nei processi decisionali.

Infine, per continuare a ideare proposte innovative e sostenibili – carismatiche e camaleontiche, per dirla con Smith (2013) – è auspicabile interrogarsi sulle logiche e gli strumenti per costruire e infrastrutturare una società più prospera, inclusiva, aperta e sostenibile. Una società che grazie al welfare sia capace di proteggere dai rischi e anche di ampliare le opportunità. Per fare questo la riflessione dovrebbe partire da una rassegna delle “visioni” che già circolano nel dibattito intellettuale ricostruendo tanto il quadro valoriale quanto le proposte operative. È necessario individuare, in particolare, i tasselli necessari per generare nuove opportunità per cittadine e cittadini, con una specifica attenzione ai più fragili, dando loro voce e potere attraverso la partecipazione ai processi decisionali e attuativi.

 

Riferimenti bibliografici

Brunod M., Moschetti M. e Pizzardi E. (2016), La coprogettazione sociale. Esperienze, metodologie e riferimenti normativi, Trento, Erickson.

Fazzi L. (2023), Co-progettazione e welfare locale in Italia: innovazione o ancora un caso di dipendenza dal percorso?, in “Autonomie locali e servizi sociali”, n. 1, pp. 119-135.

Ferrera M. (2018), Ecco il Filo Rosso che Lega Felicità e Fiducia alla Prosperità, in “Buone Notizie”, 2 ottobre 2018.

Guarna A.R. (2022), Partnership pubblico-privato nell’implementazione di politiche e interventi sociali a livello locale. Un caso studio: il modello di servizi integrati a sostegno dell’assistenza familiare mediante reti territoriali nella regione Piemonte, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Torino e Università degli Studi di Firenze.

Maino F. (a cura di) (2021), Il ritorno dello Stato sociale? Mercato, Terzo Settore e comunità oltre la pandemia. Quinto Rapporto sul secondo welfare, Torino, Giappichelli.

Pellizzari S. (2019), La coprogettazione come forma di collaborazione tra PA e enti del terzo settore, in “Munus”, n. 2, pp. 545-574.

Pierson P. (2000), Increasing Returns, Path Dependence, and the Study of Politics, in “The American Political Science Review”, vol. 94, n. 2, pp. 251-267.

Smith K.E. (2013), Beyond Evidence-Based Policy in Public Health: The Interplay of Ideas, Basingstoke, Palgrave Macmillan.

Trein P., Biesbroek R., Bolognesi T., Cejudo G.M., Duffy R., Hustedt T. e Meyer I. (2020), Policy Coordination and Integration: A Research Agenda, in “Public Administration Review”, vol. 81, n. 5, pp. 973–977.

 

Questo articolo è stato pubblicato su Quaderni di Economia Sociale 2/2022, Rivista curata dal Centro Studi SRM insieme alla Fondazione con il Sud

Note

  1. Si rimanda al Quinto Rapporto sul secondo welfare per approfondire tale distinzione (si veda Maino 2021).
  2. Sul concetto di prosperità in relazione al welfare si veda Ferrera (2018).
  3. Secondo Smith (2013) le idee possono essere carismatiche e trasformative quando mettono in discussione le politiche esistenti proponendo alternative da realizzare nel breve e medio periodo. E possono essere camaleontiche, vale a dire elastiche e trasformabili, in grado di “viaggiare” tra gli attori e uscire dai confini dentro cui sono state definite per essere trasferite in contesti diversi e sfidare le ideologie esistenti.
  4. La formulazione di tali raccomandazioni è avvenuta anche attraverso un prezioso confronto con Anastasia Rita Guarna, alla luce del lavoro di ricerca svolto per la stesura della sua tesi di dottorato dedicata proprio a questi temi (Guarna 2022).
Foto di copertina: Krakenimages, Unsplash