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“Greed is good” (l’avidità fa bene), pronunciato da Gordon Gekko, il finanziere senza scrupoli del film Wall Street era il motto degli investitori più cinici degli anni ’80: erano i pionieri dei fondi locusta che compravano società per farne spezzatino al solo scopo di massimizzare il proprio ritorno economico. Operazioni per le quali il destino dei lavoratori, l’impatto sulla società (e spesso sull’ambiente) e il futuro delle aziende stesse non assumevano alcun rilievo.

Un mondo distante anni luce dal nostro, nel quale invece crescono le spinte per supportare un “better capitalism”, un capitalismo migliore. Un percorso iniziato nel 2004 quando per la prima volta è comparso il termine ESG (Environmental, Social, Governance) all’interno di un rapporto intitolato “Who cares wins” preparato dalle istituzioni finanziarie su iniziativa dell’Onu. In meno di 20 anni, il movimento ESG è passato da un’iniziativa di responsabilità sociale d’impresa lanciata dalle Nazioni Unite a un fenomeno globale che rappresenta oltre 30.000 miliardi di dollari di asset gestiti.

D’altra parte è ormai chiaro a tutti che i limiti del pianeta sono reali. Motivo per cui è sempre più forte l’esigenza di pensare nuovi modelli di sviluppo che siano sostenibili. Capaci, quindi, di coniugare la ricerca e l’innovazione con il rispetto per l’ecosistema. E le startup non sono immuni da questa evoluzione, anzi possono essere un potentissimo catalizzatore.

Un cambiamento di paradigma anche per le startup

La sostenibilità è ormai un valore fondante delle startup internazionali e italiane, tanto che molte di queste integrano i principi ESG già all’interno del loro business model.

Per vocazione, sicuramente. Nella recente ricerca Sustainability Waves | ESG Italian Startups di Cariplo Factory1 – realizzata per raccogliere, misurare e divulgare le innovazioni delle startup italiane in termini di sostenibilità a partire dall’aderenza ai criteri ESG – è emerso che oltre il 50% di queste giovani imprese ha scelto di adottare i criteri ESG proprio per poter contribuire a rendere il mondo un posto migliore.

Il valore delle startup innovative a vocazione sociale

Non solo: all’interno dei vari progetti che seguiamo con Cariplo Factory abbiamo notato che vi è un numero sempre crescente di startup che si pongono la missione di generare un impatto migliore e ne fanno un elemento fondante del loro business model: vere e proprie innovazioni che vogliono invertire la rotta che il nostro pianeta sta seguendo, per un futuro più rispettoso ed inclusivo. Solo per citarne alcune: Exolab Italia, la prima azienda al mondo che si occupa di ricerca e sviluppo di prodotti a base di esosomi vegetali, provenienti da agricoltura biologica italiana. Oppure Tomapaint, che produce una resina naturale derivata dagli scarti agroindustriali del pomodoro (principalmente bucce), estraendo una sostanza detta cutina. Può essere utilizzata come ingrediente principale per la formulazione di vernici per l’imballaggio metallico o in carta per alimenti. O ancora Relicta, che ha sviluppato una bioplastica idrosolubile ottenuta dagli scarti di lavorazione industriale delle aziende ittiche. La caratteristica principale è l’idrosolubilità perché permette ai consumatori di smaltire il materiale autonomamente all’interno delle mura domestiche. La bioplastica si dissolve in pochi minuti in acqua calda e si solubilizza in 20 giorni in acqua marina, ma è resistente ad ambienti con alto tasso di umidità.

Vocazione sì, ma anche vantaggi pratici

Se le startup sono oggi sensibili al tema della sostenibilità è, però, anche per un’altra ragione: negli ultimi anni, sono state varate normative finanziarie orientate ad incentivare la sostenibilità, si sono affermati metodi di misurazione della performance aziendale che includono criteri di sostenibilità (per esempio l’indice di misurazione ESG) e, non da ultimo, gli investimenti e i consumi sono sempre più indirizzati verso chi già nasce con la missione della sostenibilità ambientale. Infatti, circa il 36% delle startup intervistate sostiene che i fondi a cui hanno accesso inseriscono l’adesione dei criteri ESG tra le caratteristiche necessarie per ottenere un investimento.

Get it!: al via la terza edizione del programma per startup a impatto sociale

O ancora, si pensi al Green Deal europeo con cui l’UE si è posta l’obiettivo vincolante di conseguire la neutralità climatica entro il 2050. Una scelta che genererà un aumento consistente di investimenti a favore della transizione green, portando a dedicare almeno il 30% della spesa del fondo Next Generation EU alla sostenibilità ambientale. O a programmi come Terra Next l’acceleratore promosso da CDP Venture Capital e Intesa Sanpaolo Innovation Center e gestito da Cariplo Factory, che è dedicato allo sviluppo di 30 startup e PMI innovative nell’ambito della bioeconomia (in 3 anni). O infine, alla “Carta degli investimenti sostenibili” appena adottata da Banca d’Italia, che impone che i criteri ESG vengano applicati, in maniera graduale, ai 190 miliardi del portafoglio finanziario e delle riserve valutarie. Una norma calata dall’alto destinata, però, ad accelerare la transizione abilitando un approccio agli investimenti diverso da quello attuale anche perché oggi non tutte le startup riescono ad usufruire di fondi o investimenti dedicati all’imprenditorialità sostenibile. Quelli più usati sono ancora quelli che provengono dalla Comunità Europea o Fondi Regionali.

Senza contare che anche le aspettative da parte dei consumatori sono cambiate: secondo GFK Sustainability, il 59% degli italiani pretende dai brand un comportamento sempre più responsabile dal punto di vista dell’impatto ambientale e il 34% è disposto a cambiare le proprie abitudini di acquisto per mitigare le conseguenze sul clima e l’ambiente.

Le startup stanno cambiando pelle per adattarsi al nuovo mondo

Quello della sostenibilità è quindi un percorso all’interno del quale le startup stanno imparando a muoversi, anche chiedendo supporto agli acceleratori o a player esperti. Molte società, ad esempio, stanno ottenendo delle certificazioni: su un centinaio di aziende interpellate da Cariplo Factory, il 34% è una Società Benefit e il 23% sta cercando di diventarlo. E se il 6% ha già una certificazione BCorp, il 32% sta cercando di ottenerla.

Le startup italiane, insomma, sono sulla strada giusta, ma è altrettanto vero che non si tratta di un percorso semplice. Gli imprenditori – pur conoscendo l’importanza delle metriche – lamentano un quadro normativo complesso e confuso, alti costi e scarsa trasparenza nei processi. Motivo per cui il compito di attori come Cariplo Factory è anche comprendere l’accompagnamento su queste tematiche lungo il percorso di crescita delle imprese innovative.

 

Note

  1. Nato nel 2016 per volontà di Fondazione Cariplo, è uno dei più importanti hub di innovazione in Italia che si focalizza sulla digital transformation e sulla circular economy. Agisce attraverso un modello inclusivo che coinvolge un ampio e articolato network per sviluppare e implementare programmi di open innovation, mettendo a disposizione formazione esperienziale, programmi di accompagnamento imprenditoriale, progetti di collaborazione tra talenti, startup e aziende, investimenti di Venture Capital e attività di supporto all’internazionalizzazione.
Foto di copertina: Faria Anzum, Unsplash