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Il tema dei contratti, della flessibilità lavorativa e della produttività nel mondo del lavoro è al centro del dibattito ormai da anni nel nostro Paese. Sul tema riceviamo e pubblichiamo questo contributo di Niccolò Boggian, esperto di sociologia del lavoro e fondatore di Whitelibra, organizzazione che accompagna imprese ed enti nella transizione digitale.

Come si può favorire la diffusione di nuovi modelli organizzativi, superando vincoli contrattuali, e stimolando la diffusione di un lavoro di qualità tramite nuove “aziende piattaforma”? Con questo termine si intendono quelle organizzazioni basate su sistemi di dati, progetti, obiettivi, servizi e competenze che si articolano prevalentemente senza vincolo di spazio/tempo/mansione in cui quello che succede nelle piattaforme ha un impatto diretto, tramite l’organizzazione del lavoro e l’Intelligenza Artificiale, su salari e costi del personale e in cui l’esperienza di lavoro è progettata e declinata primariamente su software, algoritmi e sistemi di AI e solo secondariamente in ambienti fisici.

“Aziende piattaforma” in Italia e loro caratteristiche

Nelle scorse settimane ho intercettato un elenco di aziende che gestiscono il personale in modalità “full remote” in Italia (circa 300). Non è un elenco esaustivo ma fornisce qualche idea sulle dimensioni e caratteristiche del fenomeno. Le ho contattate per discutere le necessità organizzative e contrattuali e ho incontrato diverse decine di CEO e di founder.

Sono aziende che pagano bene, hanno visione di futuro, competenze e chiedono un frame contrattuale che consenta loro di essere più produttive, inclusive e flessibili e allo stesso tempo in grado di poter gestire in modo semplice ed efficace una forza lavoro distribuita.

Pur accomunabili come tipologia di attività, queste aziende non sono da confondere con aziende del settore ICT, o dei servizi professionali, con modalità di organizzazione del lavoro più tradizionali ed “offline”. Queste aziende si uniscono invece, in qualche caso sovrapponendosi, ad un numeroso gruppo di startup e scaleup, rappresentate in Italia da InnovUp e Italian Tech Alliance, e ad alcune altre aziende dei settori tech, ICT, comunicazione che praticano effettivamente modalità di lavoro digitali ed agili1.

Perché sono necessari nuovi contratti e a cosa servono?

L’interesse per nuovi contratti di settore per le aziende che praticano modalità di lavoro agili è molto forte e in alcuni casi determinante nel decidere quanto e dove investire. Queste aziende hanno infatti sviluppato una cultura del lavoro differente e l’attuale struttura dei contratti nazionali, pur utilizzando la normativa per lo smart working, è un elemento “distonico” e in qualche caso problematico.

Parliamo di aziende che sviluppano servizi avanzati nel contesto dell’economia della conoscenza, per cui la corretta gestione delle persone è fondamentale per creare valore. Sono però aziende ancora in crescita che non hanno dimensioni o condizioni di leadership sul mercato tali da poter pagare stipendi importanti senza un chiaro ritorno sui risultati dell’azienda.

La grande maggioranza degli amministratori non è però interessato a contratti che abbassino il costo del lavoro ma invece ad una struttura per obiettivi, semplice, con un diverso mix di subordinazione/autonomia e nuovi servizi (per esempio: contratti internazionali, formazione on the job, benessere psicologico, formazione e assistenza per giovani, ecc.) che consenta di essere più agili nel fare investimenti, sviluppare progetti, anche generati in modo spontaneo dai collaboratori, e aumentare la retribuzione del personale in ragione di impegno, iniziativa e coinvolgimento delle persone. Riducendo il peso di gerarchia e anzianità aziendale.

La sfida di questi nuovi contratti è di riuscire ad estendere, fino al limite del possibile, il concetto di subordinazione in direzione di una maggiore autonomia, valutazione/riconoscimento del rendimento, maggiore contendibilità delle posizioni e libertà nel gestire incarichi2.

Un altro punto è riuscire a far convergere le forme di lavoro subordinato/parasubordinato/autonomo in modo che l’elemento più influente nella distribuzione degli incarichi e delle opportunità siano le competenze e non lo status contrattuale. Si tratta infine di spostare lo smart working dall’accordo individuale ad una dimensione garantita dalla contrattazione collettiva e di avvicinare i contratti italiani agli standard internazionali ed europei.

Il settore che immaginiamo è molto nuovo e in via di consolidamento e bisogna far attenzione a non guardarlo secondo l’ottica di altri settori. Dal punto di vista della conformità alle norme e alle attività degli organi di controllo serve quindi trovare soluzioni pragmatiche a partire dalla contrattazione collettiva e mantenere un confronto continuo con politica ed istituzioni per poter sperimentare in sicurezza valutando bene gli esiti.

Perché questo tema è così importante?

Sono propenso a credere che la transizione da un sistema in cui le persone “vanno al lavoro” ad uno in cui il “lavoro va dalle persone” sia la più grande transizione dell’organizzazione del lavoro e sociale degli ultimi decenni. Avere un contratto che supporti questa transizione in modo semplice ed efficace consentirà di effettuare gli investimenti sulla tecnologia che rendano il lavoro digitale più produttivo, sicuro e ben retribuito per lavoratori e lavoratrici.

La matrice organizzativa, contrattuale, tecnologica su cui si basa il lavoro di aziende e persone è infatti decisiva per avere lavoro di qualità e salari alti nel settore dei servizi avanzati e dell’economia della conoscenza, un settore strategico per il futuro delle economie sviluppate, che spesso viene dimenticato e su cui il nostro Paese è in ritardo.

Una rinnovata matrice organizzativa è determinante non solo per utilizzare e retribuire al meglio le competenze, allineandole sulle richieste di lavoratori e mercato, ma è un elemento che influenza la stessa creazione e aggiornamento delle competenze.

Penso inoltre che questa innovazione nel modo di lavorare e nella struttura e organizzazione del lavoro porterà ad una serie di impatti positivi in termini di sviluppo economico, innovazione, parità di genere, attrazione di talenti, ripopolamento delle aree interne e convergenza nell’economia europea.

Se vogliamo che questa prospettiva diventi realtà va spostato il focus dell’attenzione da misure e interventi per tamponare i problemi del nostro mercato del lavoro ad un piano organico per gestire e governare la transizione verso queste nuova modalità di lavoro. Una transizione che premi il merito e non lasci indietro nessuno.

Il futuro è a portata di mano. Basta volerlo.

Note

  1. Ho trovato nel gruppo anche qualche associato Assintel, Asseprim e Cna.
  2. Alcuni sostengono che si potrebbe viceversa dare maggiori tutele alle collaborazioni, integrandole in modo più stabile nell’organizzazione del lavoro