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Nei giorni scorsi Repubblica e Corriere della Sera hanno dato notizia di quella che sarebbe una grossa novità per welfare aziendale italiano. Sembrerebbe infatti che nella Manovra per il 2026 possa essere previsto un ulteriore aumento della soglia dei cosiddetti fringe benefit. Cosa vuol dire? Che cosa potrebbe comportare? Andiamo con ordine.

Cosa sono i fringe benefit 

I fringe benefit sono strumenti regolati dalla normativa del welfare aziendale, cioè gli articoli 51 e 100 del TUIR, il Testo Unico delle Imposte sui Redditi. In breve, i fringe sono un insieme di misure di sostegno al reddito di lavoratori e lavoratrici che godono di specifici benefici fiscali per le imprese che li erogano. Tra le formule più comuni ci sono card o voucher acquisto da spendere presso catene commerciali o negozi (anche della grande distribuzione online) e buoni benzina.

La normativa, nello specifico il comma 3 dell’articolo 51 del TUIR, prevede che le aziende possano concedere ai singoli lavoratori/trici fino a un massimo di 258,23 euro attraverso lo strumento dei fringe benefit. Tra il 2020 e il 2024 i Governi che si sono susseguiti alla guida del Paese hanno previsto alcuni interventi legislativi finalizzati a garantire un aumento temporaneo della soglia di deducibilità dei cosiddetti fringe.

L’ultimo in ordine di tempo è quello della Legge di Bilancio del 2025 in cui è stata previsto un aumento della soglia esentasse valido per il triennio 2025-2027: 1.000 euro per i lavoratori e le lavoratrici senza figli a carico e 2.000 euro per coloro che invece li hanno. È stata inoltre confermata la possibilità di utilizzare i fringe per il pagamento o il rimborso delle bollette di acqua, luce e gas e per affitto o mutuo sulla prima casa (ne abbiamo parlato qui).

Novità in vista per i fringe benefit?

Come detto, secondo alcune indiscrezioni, la Legge di Bilancio 2026 potrebbe intervenire di nuovo proprio nell’ambito dei fringe benefit. Sembra infatti che la maggioranza voglia inserire un intervento per aumentare ulteriormente la soglia dei fringe defiscalizzati per il prossimo anno, pari a 2.000 euro per chi non ha figli e 4.000 per chi ne ha.

Con ogni probabilità chi è al Governo si è reso conto di come questi strumenti siano apprezzati dalle imprese e dai dipendenti. E le ragioni sono evidenti. Per le aziende i fringe sono un’opportunità per garantire un’integrazione della retribuzione, esentasse e deducibile; rappresentano un benefit per migliorare la soddisfazione e la fidelizzazione delle persone e, di conseguenza, per attrarre nuovi professionisti e trattenere i dipendenti più qualificati.

Sono inoltre un supporto concreto per lavoratori e lavoratrici. La forte spirale inflattiva degli ultimi anni ha infatti ridotto le marginalità economiche di chi lavora e ha portato a una progressiva riduzione dei consumi. I fringe possono incrementare nell’immediato il potere d’acquisto delle persone e rappresentare un’integrazione del reddito.

Queste tendenze sono state evidenziate anche da recenti ricerche, come l’Osservatorio Welfare di Edenred Italia e l’Osservatorio di DoubleYou, che mettono in luce i fringe benefit rappresentano oltre il 50% delle spese fatte da lavoratori e lavoratrici attraverso le piattaforme di welfare.

Una riflessione sui rischi dei fringe benefit a 4.000 euro

Come vi raccontiamo ormai da tempo, una soglia così elevata dei fringe benefit rischia di avere anche effetti imprevisti e tante criticità. Cerchiamo di fare ordine.

Innanzitutto con dei valori così elevati dei fringe si rischia di snaturare la finalità sociale del welfare aziendale, il quale nasce per rispondere ai bisogni sociali di lavoratori, lavoratrici e delle loro famiglie. L’aumento della soglia dei fringe rischia di spostare il baricentro dagli obiettivi sociali del welfare, per privilegiarne la dimensione più economica e di sostegno al reddito. Concretamente quel che rischia di accadere è che invece di finanziare servizi di cura, conciliazione, assistenza, salute – più complessi da immaginare, implementare e sviluppare – le imprese investano in buoni o voucher spesa, molto più semplici da gestire.

Questo potrebbe favorire una deriva consumistica del welfare aziendale. L’aumento dei fringe, come dimostrano numerosi dati raccolti negli ultimi anni, porta soprattutto all’acquisto di beni attraverso grandi piattaforme online, come Amazon o eBay, o nelle catene della Grande Distribuzione. Come detto, così si perde la valenza sociale del welfare, che dovrebbe avere invece un impatto sociale, educativo, sanitario e, più in generale, legato al benessere.

In questa direzione, l’ulteriore innalzamento del tetto dei fringe benefit potrebbe scoraggiare ancora di più le imprese dal costruire veri piani di welfare aziendale complessi e strutturati, incentrati sui servizi alla persona e coinvolgimento del territorio e della comunità. È, infatti, molto più semplice – e meno costoso – distribuire buoni acquisto piuttosto che attivare misure come assistenza sanitaria integrativa, politiche di conciliazione vita-lavoro o sostegni per la formazione. Il risultato è un impoverimento qualitativo del welfare, che smette di essere uno strumento di crescita collettiva per ridursi a un meccanismo di erogazione economica.

Foto di copertina: Towfiqu barbhuiya, Unsplash.com