C’è chi continua a considerarla una questione di nicchia, confinata alle competenze regionali o all’assistenza sociale, residuale. Eppure, l’assistenza agli anziani non autosufficienti è oggi uno dei nodi strutturali del futuro del welfare state italiano. 

“Se c’è un modo per prendersi cura dei giovani, è evitare di condannarli al caregiving forzato”. Lo ha detto Ferruccio de Bortoli,  aprendo il 21 ottobre presso l’Auditorium del Ministero della Salute a Roma, l’incontro “L’assistenza agli anziani: un investimento per il futuro dell’Italia”, promosso dal Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza.

L’affermazione del noto giornalista del Corriere della sera racchiude il senso politico e sociale del dibattito: prendersi cura della vecchiaia significa prendersi cura del futuro, liberando le generazioni più giovani dal peso di un welfare “fai da te” che ormai non regge più.

Accelerare dopo venticinque anni di ritardo

Cristiano Gori, coordinatore del Patto insieme a Franco Pesaresi ed Eleonora Vanni, ha subito posto il tema in termini politici: “L’ultima Legge di Bilancio non contiene alcun riferimento alla non autosufficienza. È un segnale grave. Ci si interroga per settimane sull’età pensionabile, ma non ci si preoccupa di chi, anziano e fragile, vive già oggi l’assenza di protezione pubblica”.

Caregiver: è il momento di approvare una legge nazionale per riconoscere il loro ruolo

Il Patto, coalizione di 61 organizzazioni sociali e sanitarie, propone una doppia strategia: rimettere al centro le persone e restituire voce ai territori, dopo un ciclo di nove incontri regionali che ha mostrato un’attenzione crescente al tema della fragilità.  “Abbiamo venticinque anni di ritardo. Ma possiamo ancora costruire un sistema di cura degno di un Paese avanzato, capace di sostenere le famiglie invece di lasciarle sole”,  ha ammonito Gori, che insegna all’Università di Trento. 

Dal costo al dividendo sociale

Sul piano economico e teorico, il professor Ludovico Carrino (King’s College London e Università Ca’ Foscari di Venezia) ha offerto una lettura che rovescia la narrazione dominante: “In un mondo che invecchia, si teme la riduzione della produttività e l’aumento dei costi sanitari. Ma i dati dicono altro: i Paesi con welfare generoso e tassazione progressiva non crescono meno degli altri. Non è l’età a far esplodere la spesa, ma la cattiva salute.”

Carrino ha proposto il concetto di care dividend: un dividendo sociale generato da un sistema pubblico di LTC, che produce benefici economici e sociali misurabili — dalla riduzione delle ospedalizzazioni improprie al miglioramento del benessere familiare. “La LTC pubblica non è una toppa su un deficit individuale, ma una leva di crescita collettiva, ha affermato.

Ha inoltre denunciato la “tassa invisibile” del caregiving familiare — un onere economico e psicologico che vale almeno il 2,5% del PIL e grava in larga parte sulle donne: “Le famiglie suppliscono dove lo Stato arretra, ma a un costo sociale enorme. È un freno alla crescita, non un risparmio.”

Schillaci: “Non solo vivere di più, ma vivere meglio”

Nel suo intervento, il Ministro della Salute Orazio Schillaci ha riconosciuto la centralità della questione: “L’assistenza agli anziani è una delle priorità del Ministero. Non basta vivere di più: dobbiamo vivere meglio”. Ha sottolineato come il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza rappresenti “un’occasione irripetibile” per innovare la medicina territoriale e digitale, due pilastri che si intrecciano con la gestione della cronicità.

Il settore Long Term Care tra connessioni, interdipendenze e necessità di integrazione

Con 350 milioni di euro aggiuntivi, il Governo ha potenziato l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), portando a 1,5 milioni gli over 65 raggiunti. “La casa deve essere il primo luogo di cura”, ha ribadito. Il Ministro ha inoltre annunciato un decreto sulla professionalizzazione del lavoro di cura, per definire competenze e riconoscimenti, e 150 milioni di euro destinati a progetti innovativi contro il deterioramento cognitivo.

“Non dobbiamo fermarci qui”, ha concluso. “Serve un monitoraggio costante con l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS) e un impegno a reperire risorse ulteriori, oltre il PNRR. Il nostro obiettivo è costruire un sistema equo, moderno e vicino ai bisogni reali delle persone, non ai numeri della burocrazia”, ha spiegato.

Una domiciliarità specifica per la non autosufficienza

Le parole del ministro hanno trovato un’accoglienza prudente da parte del Patto. “L’ADI è un passo avanti, ma non può sostituire una riforma strutturale della non autosufficienza. È un servizio pensato per la cronicità, non per la fragilità complessa”, ha commentato Gori. 

Il professore ha ricordato il percorso della riforma (ben riassunto in un documento del Patto pubblicato in occasione dell’incontro di Roma) e ha spiegato che la legge delega 33/2023 “avrebbe dovuto creare un sistema unitario di governance e una domiciliarità specifica. Oggi mancano visione e coordinamento nazionale”. “Senza questi, l’Italia continuerà a muoversi in ordine sparso”, ha aggiunto.

Schillaci ha replicato annunciando sperimentazioni territoriali per modelli integrati “a forte componente socio-sanitaria”. “La non autosufficienza non è solo un tema sanitario, ma sociale, economico e culturale. Serve un approccio condiviso e pragmatico”, ha sostenuto.

La lezione europea sulla Long Term Care

Il confronto internazionale, presentato dalla responsabile dell’OCSE per la Long Term Care Ana Lena Nozal, ha mostrato con chiarezza come l’Italia resti in ritardo rispetto ai principali Paesi europei. Secondo i dati OCSE, la quota di over 65 che ricevono servizi di Long Term Care in Italia è significativamente più bassa della media, mentre è elevata la percentuale di persone che ricevono cure informali o inadeguate. “La sfida non è solo ampliare la copertura, ma creare un sistema integrato che combini in modo efficace le componenti sanitarie e sociali. L’esperienza europea mostra che i modelli più resilienti sono quelli che riconoscono la cura come investimento, non come spesa”, ha spiegato Nozal.

Non autosufficienza: la riforma italiana in prospettiva internazionale

A partire da questi dati, un altro dei coordinatori del Patto, Franco Pesaresi, ha collocato il dibattito italiano nel quadro comparato. “Metà dei Paesi dell’OCSE dispone già di una governance unificata per la Long Term Care”, ha chiarito. La Slovenia ha introdotto nel 2023 una legge basata su un modello di assicurazione sociale universale, mentre la Polonia prevede, entro il 2026, una riforma che integra pienamente le componenti sanitarie e sociali. L’Italia, invece, rimane tra i Paesi a bassa copertura pubblica e alta frammentazione territoriale, con forti differenze regionali e criteri di accesso disomogenei.

Pesaresi, che è direttore dell’Azienda servizi alla persona Ambito 9 di Jesi, ha individuato tre priorità per colmare il divario:

  • l’istituzione di un sistema nazionale per la non autosufficienza e di valutazione dei bisogni;
  • lo sviluppo di un’offerta adeguata di servizi domiciliari e residenziali;
  • criteri di compartecipazione più equi.

“La direzione non può che essere quella di un sistema unitario, capace di garantire equità di accesso, qualità e sostenibilità finanziaria. La non autosufficienza non è un problema settoriale, ma un indicatore di civiltà pubblica”, ha concluso.

La buona vecchiaia è una responsabilità collettiva

Nel suo intervento, Eleonora Vanni, ha riportato il dibattito su un piano etico e sociale, sottolineando la necessità di un cambio di paradigma culturale. “La qualità della vecchiaia dipende dalle condizioni di vita e dal contesto relazionale. Non è una questione individuale, ma una responsabilità collettiva”, ha affermato Vanni, che è presidente Legacoopsociali e coordinatrice del Patto insieme a Gori e Pesaresi.

Vanni ha richiamato l’attenzione sul tema del caregiving diffuso: quella rete silenziosa di familiari, assistenti, vicinato e volontariato che oggi regge il sistema di cura, spesso senza riconoscimento né tutele. “Non possiamo più fondare il welfare sul lavoro precario e invisibile di chi si prende cura”, ha ammonito. “Serve riconoscere valore, formazione e dignità a questi professionisti della quotidianità. Solo così potremo parlare di un welfare davvero inclusivo e moderno.”

L’invecchiamento come opportunità

A chiudere l’incontro, l’intervento del funzionario del Ministero della Salute Francesco Saverio Mennini, che ha offerto una prospettiva di sistema: “L’invecchiamento della popolazione non è una minaccia, ma un’opportunità per il welfare e per l’economia. Gli anziani fungono da pilastro del welfare familiare e rappresentano una quota attiva della società che continua a consumare, produrre e sostenere le generazioni più giovani”, ha sostenuto Mennini, che è Capo Dipartimento della Programmazione, dei dispositivi medici, del farmaco e delle politiche in favore del Sistema sanitario nazionale.

Questo articolo è parte del Focus Long Term Care di Percorsi di secondo welfare, dedicato alle sfide dell’invecchiamento che interessano il sistema sociale italiano. Puoi leggere tutti i contributi qui.

Mennini ha annunciato che il Ministero sta elaborando un modello di prevenzione e vaccinazione per la popolazione over 70, in passato negletto all’attenzione governativa. Una parte delle risorse aggiuntive sarà destinata alla prevenzione sanitaria e sociale, “seguendo l’esempio del Regno Unito, che ha avviato uno studio pilota per la popolazione anziana”. “Investire nella salute e nella prevenzione significa ridurre domani l’onere della cronicità e della perdita di autosufficienza, migliorando oggi la qualità della vita”, ha sottolineato.

La non autosufficienza tra questioni tecniche e politiche

Per la prima volta dopo mesi, con l’incontro di Roma, la non autosufficienza è tornata ad essere oggetto di confronto politico. Il Ministro della Salute, Orazio Schillaci ha manifestato disponibilità al dialogo con il Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza. Ma, come ha ricordato Cristiano Gori, “i tempi della politica non sono quelli delle persone”: una frase che riassume la distanza crescente tra l’urgenza dei bisogni e la lentezza delle decisioni.

Sul piano sostanziale, i ricorsi ancora aperti sulle rette degli anziani con Alzheimer (su cui il Patto aveva preso una posizione con questo comunicato di aprile) restano il simbolo di un sistema frammentato e diseguale, in cui è il luogo in cui si vive a determinare l’accesso o meno a un diritto essenziale. È l’immagine di un welfare che, pur dopo le innovazioni formali della Legge 33/2023, continua a poggiare su un equilibrio fragile tra responsabilità pubblica e supplenza familiare. 

L’incontro del 21 ottobre ha avuto il merito di riportare alla ribalta una verità troppo spesso rimossa: la non autosufficienza non è una spesa da contenere, ma un investimento sociale, una leva di coesione, innovazione e benessere collettivo.

Caregiving diffuso: oltre la supplenza privata 

Il problema, dunque, non è la longevità in sé, ma la possibilità di vivere a lungo in buona salute, in un contesto lavorativo sempre più precario, fatto di carriere lunghe, discontinue e vulnerabili. In uno scenario in cui l’invecchiamento attivo si intreccia con l’instabilità del lavoro, cresce il rischio di un caregiving “forzato”: milioni di persone costrette a ridurre o interrompere la propria attività professionale per assistere genitori o coniugi non autosufficienti, senza tutele né riconoscimenti.

Giovani caregiver: esperienze sul campo e nuove politiche

La vera sfida, oggi, è trasformare questo caregiving diffuso — quella rete invisibile di solidarietà familiare, comunitaria e di prossimità che regge nei fatti il sistema — da supplenza privata a pilastro riconosciuto del welfare pubblico. Significa passare da un welfare della compensazione, centrato sull’emergenza e sull’assistenza residuale, a un welfare dell’investimento, capace di prevenire, integrare e valorizzare il lavoro di cura come bene comune. 

In questa prospettiva, l’incontro del 21 ottobre è stato un segnale politico: indica la necessità per la politica di riappropriarsi del tema della cura come misura della propria responsabilità verso una società che invecchia. Riconoscere la non autosufficienza come investimento sociale significa, in ultima analisi, ridefinire le priorità del Paese: non più quanto costa prendersi cura, ma quanto costa non farlo.

 

 

Foto di copertina: Un momento dell’incontro “L’assistenza agli anziani: un investimento per il futuro dell’Italia” - Foto: Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza