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Gestione irrazionale, completa assenza di programmazione, criteri discriminatori di accesso alle strutture e ai diritti. Sono questi i tratti caratteristici del sistema dell’accoglienza italiano secondo ActionAid Italia e Openpolis, che con il rapporto “Il vuoto dell’accoglienza. Centri d’Italia 2022” denunciano una situazione ben diversa dalle narrazioni, tornate frequenti negli ultimi mesi, che parlano di emergenza immigrazione e centri al collasso. Un tema di cui Secondo Welfare si occupa da tempo con il suo focus tematico. Ma andiamo per ordine.

Sistema di accoglienza al collasso? Il 20% dei posti è libero

Secondo la ricerca, i posti lasciati liberi nei centri di accoglienza sono stati infatti il 20% del totale tra il 2018 e il 2021 (nel 2019 addirittura i posti vacanti raggiungono il 27% del totale). I dati sono frutto di un lavoro di analisi e trasparenza, Comune per Comune e centro per centro, fatto su dati forniti del Viminale, che tuttavia sono in “ritardo” rispetto a quanto previsto dalla legge. La relazione annuale sullo stato del sistema di accoglienza che il Ministero degli Interni è tenuto a presentare al Parlamento a giugno di ogni anno, infatti, non c’è ancora stata. Quella con i dati del 2020 è stata invece pubblicata a novembre 2022, con quasi 18 mesi di ritardo.

Un approccio emergenziale che impedisce l’integrazione

Secondo il report, alla luce dei numeri resi disponibili al 31 dicembre 2021, in questi anni il cosiddetto Decreto Sicurezza I ha prodotto una continua crescita dell’approccio emergenziale in risposta a un fenomeno ordinario e di piccole dimensioni rispetto alla popolazione italiana (0,13% sul totale). Dal 2018 a oggi sono stati chiusi più di 3.500 centri (-29,1%), soprattutto di piccole e piccolissime dimensioni. Nel 2021 i posti messi a disposizione nel sistema erano poco più di 97.000 in 8.699 strutture, di cui però 63.000 (60,9%) nei Centri di Accoglienza Straordinari (CAS) e nei Centri di Prima Accoglienza (CSP), a fronte di 34.000 posti nel Sistema di Accoglienza e Integrazione (SAI). Questi numeri indicano la scelta di non investire nell’accoglienza diffusa, continuando invece a a mantenere grandi concentrazioni di persone con servizi scarsi o addirittura assenti (corsi di italiano, tutela e mediazione linguistica, supporto alla ricerca di lavoro), e di preferire il mantenimento di uno status emergenziale a scapito dell’integrazione.

Mancano i controlli, soprattutto dove servirebbero di più

Questa mancanza di trasparenza che favorisce la lettura distorta della realtà secondo ActionAid e Openpolis è evidente anche dalla difficoltà di raccogliere dati sulle ispezioni condotte nei CAS e nei CPA dalle prefetture. Il Ministero degli Interni, nonostante una chiara sentenza del Consiglio di Stato sulla questione, finora ha pubblicato solo dati riferiti al 2019, mentre quelli sul 2020 e 2021 sono parziali e inutilizzabili. Secondo i numeri a disposizione, le prefetture hanno effettuato controlli sul 40,5% dei CAS e CPA in Italia, ma tra di esse ce ne sono 13 che non hanno effettuato ispezioni come quella di Agrigento (sotto la cui giurisdizione ricade l’hotspot di Lampedusa) e Trapani.

Il Parlamento garantisca trasparenza e informazione

ActionAid e Openpolis chiedono pertanto al Parlamento di utilizzare le rilevazioni del loro report, basate su dati amministrativi oggettivi forniti dal Viminale e contenuti sulla piattaforma Centri d’Italia, per esercitare il ruolo di controllo ed indirizzo politico che gli è proprio, in particolare per chiedere trasparenza e informazione. Perché, in particolare, si parla di un sistema al collasso se c’è una quota considerevole di posti ordinariamente liberi mentre migliaia di persone sono lasciate in strada? Perché continua a essere evidente l’assenza di programmazione? Come vengono dunque impiegate le risorse pubbliche per l’accoglienza e integrazione? Quali sono gli effetti delle scelte sulle vite delle persone che giungono nel nostro Paese?

 

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Foto di copertina: Paride De Carlo, Centro di Accoglienza e Identificazione di Manduria, Flickr