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Il Welfare State italiano da diversi anni è oggetto di alcune forti pressioni che influenzano la sua capacità di rispondere in maniera appropriata ai bisogni dei cittadini. In questo contesto diversi attori privati hanno iniziato a intervenire sussidiariamente negli ambiti in cui lo Stato centrale fatica a garantire servizi sociali adeguati. Si è assistito così alla nascita di esperienze che, specialmente a livello locale, mettendo insieme varie componenti del tessuto sociale, sono state in grado di sviluppare servizi integrativi dell’azione pubblica e sostenere in modo più completo ed efficace chi vive in tali aree. In questo articolo proveremo a riflettere brevemente su alcune di queste esperienze, fornendo alcune riflessioni che aiutino a comprendere meglio il tema del “welfare comunitario” e ad identificare le dinamiche che lo contraddistinguono.


La crisi del Welfare State

Lo Stato Sociale del nostro Paese
, sia a causa di fattori interni – come i cambiamenti demografici, le trasformazioni del mercato del lavoro e l’affermarsi di nuove strutture familiari – che esterni – come la globalizzazione, l’integrazione europea e i flussi migratori – da almeno due decenni si trova in crescente difficoltà nel rispondere ai bisogni dei propri cittadini. La crisi economica e sociale del 2008, in particolare, ha imposto una riduzione delle risorse economiche da destinare all’ambito sociale e, contemporaneamente, ha determinato una accelerazione delle dinamiche collegate a questi fattori endogeni ed esogeni, portando ad un aumento dei bisogni e aggravando l’incapacità del Pubblico di mettere in campo misure sociali adeguate ad affrontare alcune delle necessità vecchie e nuove della popolazione. 

Lo sviluppo del secondo welfare

In questa situazione di forte difficoltà negli ultimi anni è andato sviluppandosi il cosiddetto “secondo welfare”, una serie di iniziative e attività promosse da soggetti non-pubblici che, in particolar modo a livello locale, tendono a porsi in rete fra loro per offrire risposte innovative a quei rischi e bisogni sociali a cui lo Stato non riesce totalmente o parzialmente a far fronte. Si tratta di un concetto volutamente “ampio”, in grado di fotografare le numerosissime attività sussidiarie all’intervento pubblico che in questi anni hanno visto la luce nel nostro Paese. Sotto l’ombrello del secondo welfare si trovano infatti le misure di welfare aziendale messe in campo da imprese, associazioni datoriali o enti bilaterali, le attività filantropiche sperimentate dalle Fondazioni, le esperienze di volontariato sostenute dalle organizzazioni del Terzo Settore, ma anche progettualità promosse grazie a risorse stanziate da Comuni e Regioni per integrare il minor impegno del Governo centrale in campo sociale. 

Geometrie variabili del welfare comunitario

In moltissimi casi questo genere di esperienze si sviluppano a livello locale grazie alla collaborazione tra soggetti territoriali a vario titolo interessati ad intervenire nel campo del welfare, che si mettono in rete per affrontare sfide sociali emergenti sui propri territori. Questi attori hanno scelto di 1) sviluppare sinergie più o meno intense,  andando oltre ripartizioni “rigide” – in primis il trittico pubblico-privato-non profit, 2) ridefinire il target dei beneficiari degli interventi, rendendoli meno categoriali – “lavoratori di”, “soci di”, “famiglie di” – e più “aperti” ai bisogni della comunità nel suo insieme (pur mantenendo la dovuta attenzione alla dimensione della vulnerabilità) e, soprattutto, 3) sviluppare sistemi di governance adeguati a organizzare e gestire nuovi beni e servizi di welfare. Si tratta di progettualità che, mirando a sostenere il benessere di chi vive in un dato territorio, sono spesso indicate con la dizione “welfare comunitario”. Il luogo in cui queste esperienze prendono forma diviene strategico. Ogni comunità è infatti legata a un luogo caratterizzato da soggetti, problemi, opportunità e rischi differenti, che possono mixarsi in maniera diversa in base al tempo, agli equilibri interni del territorio, ma anche alle influenze esterne. Le “geometrie” di queste esperienze sono quindi variabili perché fortemente collegate ai caratteri peculiari del contesto in cui si trovano a prendere forma. 
Alcuni elementi ricorrenti del welfare comunitario

Senza la pretesa di essere esaustivi, è tuttavia possibile individuare alcune dinamiche che, in maniera più o meno evidente, contraddistinguono le esperienze di welfare comunitario nel nostro Paese.

Attori
Le reti che danno vita a esperienze di welfare comunitario nascono normalmente intorno ad un soggetto catalizzatore (un’impresa, un’associazione di categoria, una fondazione, una cooperativa, una pubblica amministrazione) che ha la volontà e la capacità di unire persone e organizzazioni intorno ad una tematica comune. In questo senso, oltre alla “qualità” del promotore, è importante che gli attori attori coinvolti nella rete siano motivati a raggiungere i fini per cui si sono uniti, siano eventualmente in grado di fungere da “collante” tra i partner della rete e siano disposti a lavorare in modo condiviso per il raggiungimento dei target prefissati. 

Obiettivi
La rete alla base di un progetto di welfare comunitario si costituisce intorno ad obiettivi di varia natura e intensità volti a creare, sviluppare, valutare o diffondere azioni di welfare. Tali obiettivi possono spaziare dalla comunicazione, sensibilizzazione o disseminazione di informazioni e buone prassi di welfare, fino alla realizzazione di vere proprie attività che coinvolgano tutti i soggetti della rete o il territorio nel suo insieme.

Governance
Le reti utilizzano contratti, intese o accordi di partnership/partecipazione per regolare la cooperazione tra i propri componenti, in grado di creare relazioni più o meno “forti” e/o  vincolanti tra di essi. Normalmente le reti assumono conformazioni multi-attore e multi-livello adeguate a tenere insieme soggetti anche molto diversi fra loro, e possono quindi prevedere: una "cabina di regia"costituita dai rappresentanti di tutti i soggetti aderenti alla rete per accompagnare e dare impulso ad azioni e processi; "tavoli" tematici di co-progettazione; figure ad hoc di facilitazione/coordinamento operativo (welfare manager, diversity manager, community manager). 

Contesto
La situazione economica, sociale e culturale del territorio può ovviamente influenzare profondamente i risultati raggiungibili da una rete. La presenza di capitali e risorse può rappresentare una leva importante per lo sviluppo di un progetto di welfare comunitario, ma molto significativa (a volte anche più delle stesse risorse economica) è la capacità della rete di innestarsi e pervadere il tessuto sociale territoriale. Un compito che può essere più o meno facile a seconda della situazione sociale (rischi, bisogni, risposte già in essere) ma anche di una cultura adeguata al confronto sui temi del welfare.  Appare inoltre molto importante l’atteggiamento di eventuali attori pubblici esterni alla rete, che favorendo lo sviluppo dei servizi e l’integrazione degli stessi col sistema locale possono avere una forte influenza nel raggiungimento o meno degli obiettivi.


Una riflessione sugli attori

Gli attori sono forse la parte più importante, e per certi versi interessante, per lo sviluppo di esperienze di welfare di comunità. La determinazione, la capacità di visione, nonché l’innovatività dell’approccio di un dato soggetto possono infatti permettere di affrontare limiti precedentemente considerati insuperabili. In questo senso si propone di seguito un rapido sguardo agli attori che in questi anni sono stati promotori del welfare di comunità italiano.

Il settore della filantropia
Nel giro di un decennio le fondazioni italiane sono diventate protagoniste sempre più importanti del sistema di welfare.
A farla “da padrone” negli ultimi anni sono state senza dubbio le Fondazioni di Origine Bancaria (FOB) che proprio nel periodo peggiore della crisi economica, nonostante minori risorse a disposizione (le erogazioni delle FOB sono legate ai rendimenti finanziari dei loro patrimoni, che in questi anni sono fortemente calati) hanno investito uno quota crescente di fondi nel campo del welfare e dei servizi alla persona cercando di affrontare in maniera innovativa i problemi ritenuti più urgenti (si pensi ad esempio al progetto “Welfare in Azione” di Fondazione Cariplo). 
 
Nell’ultimo decennio si è inoltre consolidato il ruolo delle Fondazioni di impresa, realtà costituite da aziende che mirano a realizzare interventi filantropici di varia natura. Nonostante rappresentino una percentuale ancora modesta nell’insieme delle fondazioni italiane (sia in termini numerici che di risorse economiche) queste realtà stanno contribuendo in maniera consistente all’innovazione degli strumenti e dei servizi sociali: adottando progetti e modelli di intervento che promuovono l’innovazione sociale; finalizzando spesso le proprie attività all’empowerment dei destinatari; impiegando modelli di governance volti al coinvolgimento delle comunità nelle quali operano; contribuendo allo stanziamento di risorse economiche aggiuntive (come il progetto “Oltre i margini” promosso da Fondazione Bracco). 
 
O, ancora, si pensi al ruolo assunto dalle “giovani” Fondazioni comunitarie che – come si evince già dal nome – hanno come mission lo sviluppo del benessere della comunità che vive in un dato territorio attraverso strumenti e attività che aiutino a catalizzare risorse economiche, sviluppare idee, sostenere ed aggregare organizzazioni del terzo settore per affrontare i bisogni emergenti (un ruolo molto interessante in quest’ottica è stato assunto dalla Fondazione comunitaria del Lecchese nell’ambito del progetto Valoriamo).

Il mondo produttivo
Accanto a questo rinnovato protagonismo del sistema delle fondazioni è poi da segnalare un crescente attivismo delle imprese e delle associazioni datoriali che allo sviluppo di propri piani di welfare aziendale affiancano sempre più spesso iniziative volte allo sviluppo di interventi integrati con quanto già presente sui territori. In questo caso, accanto alle ormai centinaia di piani che travalicano i confini delle aziende per cercare di avere ricadute anche sui territori in cui queste operano, appare interessante citare il ricorso al contratto di rete da parte di gruppi di imprese che vogliono investire sul welfare interaziendale e comunitario (come rete Giunca in Provincia di Varese), il rinnovato impegno di alcuni enti bilaterali sullo stesso fronte (si veda l’esperienza di WelfareNet in Veneto) o l’impegno di associazioni nazionali per rinnovare il proprio impegno sociale verso associati e non (emblematico è il progetto Nuovo Sociale-Welfare Insieme promosso da Confartigianato). E, ancora, è da sottolineare anche l’attivismo del mondo cooperativo per favorire lo sviluppo di sistemi di welfare aziendale che garantiscano servizi su misura, di qualità – specialmente nell’ambito dei servizi di cura – e che soprattutto siano sviluppati tramite filiere locali che possono contribuire allo sviluppo economico (in tal senso si veda l’esperienza del progetto Welfare CGM e di rete ComeTe).

Gli enti pubblici territoriali
Da ultimo appare fondamentale sottolineare il ruolo assunto da un numero crescente di enti pubblici territoriali che, direttamente o indirettamente, si stanno spendendo per sostenere lo sviluppo di esperienze di welfare comunitario. Accanto ad alcuni grandi provvedimenti messi in campo a livello nazionale – si pensi alla cornice normativa sul welfare, la legge sul Dopo di Noi o la riforma del Terzo Settore – sono stati approvati provvedimenti che hanno agevolano il nesting tra primo e secondo welfare (come la strategia We.Ca.Re del Piemonte o la Legge sugli empori solidali del Veneto) o favoriscono network per affrontare problematiche che l’ente pubblico fatica ad affrontare autonomamente (si veda l’esperienza della Reti Territoriali di Conciliazione lombarde). In generale, inoltre, si segnalano sempre più frequenti interazioni e integrazioni tra primo e secondo welfare in cui l’ente pubblico tende, in forza delle proprie prerogative, ad assumere un ruolo di regia delle dinamiche in atto a livello locale sul fronte del welfare, facilitando l’incontro tra attori e indirizzando gli stessi verso le aree di intervento ritenute prioritarie.
 

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 1/2019 di Rivista Solidea, pubblicazione curata dall’omonima Società di Mutuo Soccorso, ed è stato qui riprodotto previo consenso dell’autore.