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Immagina un algoritmo che analizza milioni di dati e ti dice dove e come investire per migliorare il benessere sociale. Sembra fantascienza, ma è già realtà. L’intelligenza artificiale (AI) sta entrando nel mondo della programmazione sociale, promettendo più efficienza, precisione e rapidità. Ma funziona? Come? In questo articolo continuiamo le nostre riflessioni su questo argomento – che per Percorsi di secondo welfare abbiamo iniziato qui – esplorando come l’AI stia cambiando la programmazione sociale tra approcci rigidi e flessibili.

Modelli e approcci per la programmazione sociale

La programmazione sociale è un processo che mira a ridurre le differenze tra uno stato attuale e un futuro auspicato. La sua essenza risiede nella capacità di agire e produrre risultati basandosi su un insieme di regole, conoscenze e tecniche, integrate da empatia, creatività e genialità. Nell’era dell’intelligenza artificiale (AI), che eccelle nell’applicazione del pensiero logico e nell’elaborazione rapida anche di grandi quantità di informazioni, emergono interrogativi fondamentali su questo ambito.

Nella programmazione sociale ci sono tre modelli dicotomici di fondo: sinottico vs incrementale (conoscenza completa vs adattiva e relativa), top down vs bottom up (direzione del processo), government vs governance (attore unico vs molteplicità), che riflettono diverse filosofie e approcci alla gestione della complessità sociale.

Le connessioni tra questi modelli sono sistemiche, con prospettive diverse nel modo di concepire il benessere sociale ed il suo cambiamento, per cui si possono individuare:

  • approccio rigido: il modello sinottico e l’approccio top-down trovano la loro espressione più compiuta nel concetto di government, che privilegia una struttura centralizzata e decisioni uniformi calate dall’alto, pensate per garantire coerenza strategica e controllo. Esempi: Piani governativi per la gestione delle emergenze, piani pensionistici e previdenziali, reddito di inclusione e di cittadinanza, gestione dei flussi migratori, definizione dei livelli essenziali delle prestazioni o dei costi e fabbisogni standard.
  • approccio flessibile: i modelli incrementali e l’approccio bottom-up sono i pilastri del concetto di governance, che abbraccia la complessità, la partecipazione, la negoziazione continua, il consenso nella co-costruzione delle soluzioni tra una pluralità di attori. Esempi: Piani di zona e servizi integrati, Patti di collaborazione tra cittadini e amministrazione, welfare aziendale.

Tuttavia si noti che, dal momento che quasi sempre la programmazione avviene a più livelli, l’approccio adottato potrebbe non essere unico in tutta la filiera, ma variare a ciascuno di questi (Merlo G., Bordone G., 2025 p. 209). Un esempio è l’uso dei fondi strutturali europei in cui abbiamo sicuramente un approccio flessibile tra UE, Stato e Regioni, ma queste ultime possono adottarne uno diverso, anche su differenti temi, misure e azioni emanando bandi di progettazione esecutiva molto stringenti (rigidità) oppure che lascino spazio a una programmazione condivisa (flessibilità).

Meglio rigido o flessibile?

La scelta di un approccio rigido o di un approccio flessibile nella programmazione sociale comporta punti forza, debolezze, opportunità e rischi. Di seguito si propone una analisi SWOT.

Approccio Rigido: modello Sinottico / Top-Down / Government Flessibile: modello Incrementale / Bottom-Up / Governance
Strengths (Punti di forza) • Prevedibilità, stabilità legittimazione normativa • Obiettivi chiari, uniformi, standardizzati Responsabilità ben definita • Equità formale • Efficienza operativa • Controllo centralizzato • Facilità di accountability formale •Idoneo in situazioni di emergenza • Legittimazione sociale • Inclusività e partecipazione attiva • Empowerment di stakeholder e utenti • Adattabilità al contesto locale • Stimolo all’innovazione sociale
Weaknesses (Debolezze) Scarsa flessibilità ai cambiamenti soprattutto locali • Distanza dai bisogni locali • Tecnocrazia • Mancanza del coinvolgimento diretto degli utenti • Complessità nella gestione multiattoriale con difficoltà di coordinamento• Tempi lunghi di costruzione • Disparità territoriali • Rischio di frammentazione della responsabilità pubblica • Difficoltà di accountability formale
Opportunities (Opportunità) • Applicazione efficace in contesti con tradizioni amministrative consolidate • Scalabilità delle soluzioni standardizzate • Rapidità di attuazione • Interventi su larga scala • Sviluppo di ecosistemi collaborativi • Consenso e creazione di capitale sociale •Valorizzazione delle risorse e intelligenza esperienziale locale • Capacity building territoriale • Resilienza sistemica • Co programmazione e coprogettazione
Threats (Minacce) • Rigidità sistemica e iper-regolazione burocratica, autoreferenzialità • Scollamento tra istituzioni e cittadiniSoluzioni “a taglia unica” • Resistenze locali alle soluzioni imposte • Mancanza di feedback • Criticità etiche (privacy, sorveglianza) • Difficoltà a mantenere coerenza strategica di lungo periodo • Incoerenza tra territori • Complessità normativa • Esclusione dei gruppi meno attivi • Pressioni di gruppi di interesse

Alcune riflessioni

Le IA danno l’impressione di affermazioni “scientifiche”, ineccepibili, oggettive e, pertanto, autorevoli e credibili. Tuttavia, se l’IA non hanno dati sufficienti o adeguati, anche alla specifica situazione, la “risposta” potrebbe essere sbagliata, incompleta o ingiusta. Questo perché le AI:

  • sono sostanzialmente “conservative”, cioè hanno difficoltà a gestire l’incertezza intrinseca dei fenomeni sociali (dinamicità complessa), ad “incorporare l’errore” e/o trasformare situazioni avverse in nuove opportunità in modo creativo;
  • mancano di valori e contesto, cioè non sanno cogliere le sfumature disciplinari, culturali, storiche, locali che influenzano le scelte sociali, cioè le “assumptions” implicite che guidano le decisioni umane, cruciali nella definizione degli obiettivi e della logica dell’intervento.

Cioè adottano un approccio tecnocratico, e quindi rigido.

L’uso delle AI nella programmazione sociale può rappresentare un forte cambiamento culturale e sistemico. Tuttavia, se non governato, rischia di spostare – e soprattutto accentrare – il potere decisionale ignorando la complessità dei bisogni soprattutto locali e portare ad una “atrofia” delle competenze.

Questo per ricordare che la programmazione sociale è un processo fondamentalmente umano, creativo e adattivo. Le AI dovrebbero potenziare queste capacità, non sostituirle. La vera sfida etica è quindi svilupparle come un alleato per la partecipazione, supportando il pensiero critico e la mediazione umana anziché rimpiazzarli.

 

Per approfondire

Una bibliografia essenziale ed una prima rassegna di esempi di utilizzo delle AI nella programmazione sociale sono rintracciabili sulla specifica scheda del sito “Pianificazione, programmazione sociale”.

Foto di copertina: Andrea De Santis, Unsplash.com