In Italia e in Europa la povertà non è solo mancanza di reddito: è intreccio di bisogni materiali e simbolici, relazioni fragili e difficoltà nell’accesso ai diritti. Le politiche pubbliche, sotto pressione organizzativa e finanziaria, faticano a rispondere da sole a bisogni che richiedono prossimità e continuità. In questo scenario il Terzo Settore, a seguito della crisi economica del 2008, ha aumentato ulteriormente il suo ruolo come attore decisivo: accanto alle istituzioni – ma a volte anche al loro posto – costruisce reti di aiuto, sperimenta soluzioni innovative e mantiene un radicamento comunitario che rende gli interventi più accessibili e meno stigmatizzanti.
Al cuore di questo impegno, anche se con dinamiche nuove rispetto al passato, c’è il volontariato. Le volontarie e i volontari non sono “manodopera gratuita” ma portatori di capitale relazionale e sociale capaci di intercettare precocemente i bisogni, creare ponti tra servizi e comunità e tenere aperti spazi di fiducia.
Questo articolo sintetizza i risultati di una revisione sistematica della letteratura1, condotta nell’ambito della mia tesi di dottorato, relativa al periodo 2012–2022. L’obiettivo di questa analisi era comprendere che cosa fanno gli enti del Terzo settore – e in particolare i volontari – nel contrasto alla povertà, con quali esiti e in quali condizioni. L’orizzonte temporale è quello dal post crisi economica del 2008 e al post pandemia, in cui abbiamo assistito ad un aumento costante della povertà e ad una sollecitazione crescente per il welfare.
Il quadro che emerge è articolato: il Terzo Settore oscilla tra supplenza e innovazione, tra esecuzione di compiti delegati e sperimentazioni creative. In sintesi, i rischi di deresponsabilizzazione del Pubblico sono reali quando la “carità” diventa l’unica risposta; dove il volontariato lavora in chiave relazionale, valorizzando dignità e partecipazione, gli esiti tendono però a essere più solidi e abilitanti. Ma andiamo con ordine.
Cosa dice la revisione sistematica della letteratura (2012–2022)
Come anticipato il quadro che emerge è composito. Accanto all’aumento della domanda e al riassetto del welfare, gli enti di Terzo Settore (ETS) diventano attori stabili dell’aiuto, capaci di attivare risorse, costruire reti e mediare tra istituzioni, cittadini e imprese. Il ruolo del volontariato è in crescita; dentro questo insieme spiccano anche le esperienze faith-based, che combinano motivazioni valoriali e capacità organizzative, con esiti rilevanti in termini di prossimità e attivazione comunitaria.
Dalla revisione emerge che gli ETS svolgono, in modo ricorrente, tre funzioni: supplenza/integrazione rispetto a servizi pubblici e mercato; innovazione organizzativa e di prossimità; relazione, intesa come costruzione di legami, spazi sicuri e opportunità di partecipazione, con effetti su benessere, fiducia e resilienza comunitaria.
Queste dinamiche si collocano però in un contesto di risorse scarse e di progressiva contrazione del welfare. La letteratura, da un lato, segnala il rischio di deresponsabilizzazione del Pubblico e di paternalismo/stigma nelle pratiche caritative; dall’altro, valorizza gli ETS come infrastrutture civiche che – proprio grazie ai volontari – offrono prossimità, fanno advocacy e tengono insieme attori diversi. In sintesi, il volontariato è una risorsa cruciale, ma sprigiona il suo potenziale quando opera entro cornici collaborative che ne riconoscono competenze e autonomia.
Dove agiscono i volontari e con quali ambivalenze
La mappa che emerge dalla revisione sistematica è netta: la maggior parte degli interventi volontari si colloca in tre ambiti ricorrenti.
- Povertà alimentare. Food bank, empori solidali, mense e recupero eccedenze sono diventati dispositivi centrali. Hanno il pregio della rapidità e della prossimità (risposte immediate, colloquio diretto, aggancio di persone che non accedono ai servizi), ma presentano anche nodi critici: rischio di cronicizzazione dell’aiuto, standard disomogenei, sostituzione informale del pubblico quando la misura principale diventa il pacco viveri. La letteratura discute se queste iniziative, pur necessarie nell’emergenza, consolidino una modalità di aiuto che deresponsabilizza lo Stato o, al contrario, costituiscano spazi di resistenza comunitaria alle disuguaglianze sociali e di ricomposizione dei legami.
- Povertà educativa e capitale culturale. Volontari impegnati in doposcuola, mentoring e attività di comunità lavorano per aprire opportunità laddove le famiglie faticano a sostenerle. Qui il valore aggiunto sta nella continuità relazionale e nel coinvolgimento dei pari; tuttavia, rimangono tensioni tra progetti a tempo e bisogni che richiedono stabilità, e tra attese di performance e rispetto dei ritmi delle persone.
- Supporto tra pari e prossimità di quartiere. Iniziative di sostegno alla genitorialità, gruppi di mutuo aiuto, street work e presidi di prossimità mostrano che il volontariato può generare “spazi sicuri” dove vergogna e stigma diminuiscono e diventa più facile chiedere aiuto. Sono contesti in cui la relazione orizzontale e la reciprocità attivano risorse spesso invisibili (vicinato, informalità, reti di fede), ma che necessitano di accompagnamento professionale e di coordinamento con i servizi per non esaurirsi nella sola buona volontà.
In tutti e tre gli ambiti la chiave relazionale è decisiva: attenzione alla dignità, ascolto non giudicante, partecipazione. Dove prevale una logica distributiva o paternalista, aumentano stigma e dipendenza; dove si costruiscono relazioni e reti, crescono agency e capacità di fronteggiamento. Per questo la letteratura invita a non leggere il volontariato come “tappabuchi”, ma come infrastruttura civica che può integrare e sollecitare il sistema pubblico se inserita in cornici collaborative (co-progettazione, advocacy, standard minimi di qualità).
Cosa servirebbe adesso?
Dalla letteratura scientifica e dall’esperienza sul campo emergono più direttrici che ricette.
Per evitare la deresponsabilizzazione del settore pubblico, occorre che l’azione del Terzo Settore si collochi sempre più e sempre meglio in una cornice definita di collaborazione con il settore pubblico, costruita insieme attraverso strumenti partecipativi (co-programmazione, co-progettazione). Al tempo stesso il Terzo Settore deve avere il coraggio di assumere anche un ruolo nell’orientare le politiche e le culture di welfare.
Sul volontariato, la priorità è la cura delle persone e della relazione in particolare attraverso formazione e supervisione continuative; in questa cornice il ruolo dei professionisti non è dirigere, ma capacitare e valorizzare il volontariato. Infine, occorre continuare a indagare in modo sistematico le pratiche agite dai volontari: che cosa funziona, per chi, in quali contesti? Evidenze di questo tipo possono attivare cicli di apprendimento in grado di orientare politiche e scelte organizzative.
Per approfondire
- Istat (2023), Il volontariato in Italia 2023.
- Caritas Italiana (2025), Tutto è possibile. Il volontariato in Caritas.
Note
- Che cos’è una “revisione sistematica della letteratura”? È un metodo di sintesi che, a partire da un protocollo esplicito, definisce criteri di inclusione/esclusione, strategie di ricerca delle fonti, procedure di selezione e di estrazione dei dati, e modalità trasparenti di analisi e sintesi dei risultati. L’obiettivo è offrire una fotografia affidabile e replicabile dello stato delle conoscenze su un tema, riducendo i bias delle letture narrative.