6 ' di lettura
Salva pagina in PDF

La pandemia di Covid-19 ha accelerato processi trasformativi in molti settori che riguardano il welfare. In questi mesi abbiamo assistito, ad esempio, allo sviluppo di iniziative solidali da parte di organizzazioni produttive, nuovi strumenti digitali sviluppati dal mondo cooperativo per offrire i propri servizi a livello territoriale, ma anche a tantissime azioni – più o meno emergenziali – assunte da numerose realtà filantropiche.

Tra gli ambiti in cui si è assistito a cambiamenti importanti c’è anche quello dell’educazione. Il lockdown prima e le misure di sicurezza imposte nelle successive fasi della ripresa poi, hanno infatti evidenziato limiti vecchi e nuovi delle modalità di offerta dei servizi educativi. Ma hanno anche aperto ad opportunità impensabili fino a pochi mesi fa. Tra di esse c’è la cosiddetta dimensione outdoor, in cui sono ricompresi quei servizi realizzati in spazi esterni come parchi, boschi, fattorie e in generale qualsiasi luogo aperto. Si tratta di un approccio che si è inevitabilmente dimostrato da subito adeguato agli standard di sicurezza per evitare la diffusione del Coronavirus – distanziamento, adeguata areazione, flessibilità -, che oggi rappresentano un elemento sempre più centrale nel design dell’offerta di qualsiasi servizio post Covid. E che a nostro avviso offre anche spunti di riflessioni interessanti in tema di welfare ambientale, ovviamente, ma anche sul fronte del welfare socio-culturale.

Per incrementare la conoscenza degli elementi che caratterizzano l’outdoor Gruppo CGM, Artesella e la Cooperativa Sociale La Coccinella hanno organizzato il workshop “Fuori è dentro. Un’occasione per approfondire elementi di senso, fondamenti scientifici, tecnicalità gestionali ed esperienziali di questo approccio educativo. Francesca Gennai, Presidente de La Coccinella, ci ha anticipato alcuni dei contenuti di questo momento di riflessione e confronto, che si svolgerà a Borgo Valsugana, in provincia di Trento, il 25 e 26 settembre.

Francesca, ci spieghi in due parole cos’è l’educazione outdoor e perché se ne sente parlare sempre più spesso?

In questo periodo post-pandemia la dimensione contestuale – il luogo – dell’educazione è diventata sempre più centrale nelle questioni pedagogiche e nella realizzazione dei servizi educativi. Il luogo dove avvengono le esperienze educative ha sempre fatto parte delle riflessioni in ambito pedagogico, non nasce certo adesso, ma è evidente che la situazione particolare che stiamo vivendo ci sta costringendo a interessarci maggiormente a questo aspetto. P

er questo occorre chiarire che outdoor” non significa semplicemente realizzare un’esperienza didattica all’esterno, ma dare centralità all’educazione mettendola in forte relazione con l’ambiente, il movimento, la natura e tutti i cambiamenti che la alimentano. Il luogo in cui si fa educazione in un certo senso diventa esso stesso un soggetto educatore; non è questione di “il fuori” o “il dentro”, ma un elemento di senso. Niente è neutro, men che meno il setting dove prendono forma le esperienze.

La scelta di investire in questo ambito è stata determinata dalla pandemia o avevate già in essere servizi di questo genere?

La nostra cooperativa, così come altre cooperative di CGM, si occupavano di outdoor già da prima della pandemia. Il nostro tentativo con questo approccio, anche grazie al rapporto sviluppato con Artesella, è sempre stato quello di accompagnare i bambini e le loro famiglie ad approfondire il rapporto con la natura grazie all’arte e comprendere concretamente il tema della sostenibilità.

Nella progettazione di una attività crediamo sia fondamentale tenere in equilibrio la storia e la mission del servizio con presupposti di natura pedagogica, intuizioni di ordine estetico, suggestioni artistiche, ma soprattutto coi bisogni ed i desideri di chi lo vive quotidianamente. In questo senso vedo anche un legame importante con la corrente del welfare culturale che Artesella ben esemplifica. Non solo un “abbellimento” dei servizi, ma una loro riprogettazione profonda.

Nel momento della ripresa, avete incontrato difficoltà a realizzare questo genere di servizi?

Sul fronte dell’offerta ci siamo mossi per tempo convertendo i nostri servizi “classici” verso l’outdoor. Quando è finito il lockdown eravamo quindi già pronti. Detto brutalmente: abbiamo continuato a fare quello che facevamo prima, ma con la mascherina. Anche se abbiamo dovuto fare i conti con un certo innalzamento dei costi, legati soprattutto al personale aggiuntivo che ora dobbiamo garantire per realizzare quanto facevamo già prima dello stop.

Anche per questa ragione, nel momento della riapertura c’era una certa preoccupazione. Temevamo che i servizi sarebbero rimasti vuoti; che la domanda non ci fosse anche per l’innalzamento dei tassi di disoccupazione, soprattutto femminili. E invece il lockdown ha fatto comprendere a tantissime famiglie l’importanza di servizi educativi adeguati, che favorissero il contatto e la relazione tra i bambini. E proprio per questo abbiamo visto una grande disponibilità dei genitori di ri-affidarci i loro figli, convinti sempre più che per crescerli hanno bisogno degli altri.

Certo non è stato sempre facile. Se in alcuni casi ci siamo trovati di fronte bambini più grandi e consapevoli, che grazie al rapporto continuativo con la propria famiglia sono molto cresciuti, in altri abbiamo ritrovato bambini che avevano fatto passi indietro. Paradossalmente per la stessa ragione. Le situazioni di tensione e disagio dovute al lungo isolamento sociale hanno infatti influito negativamente su tanti bambini.

Altre cooperative vi hanno seguito sulla strada dell’outdoor?

Come spiegavo anche prima, nel Gruppo CGM si riflette di outdoor ormai da diversi anni. Proprio per questo, tante cooperative che come noi si occupano di servizi educativi si sono fatte trovare pronte. Quindi non direi che ci hanno seguito, ma che abbiamo fatto strade parallele nello stesso campo. Se c’è un campo in cui La Coccinella ha, diciamo cosi, più sperimentato – e quindi può essere seguita – è quello del mix tra arte e natura che stiamo portando avanti con Artesella. Credo che sia un unicum nel panorama nazionale.

Ti faccio una domanda scomoda: l’approccio outdoor non rischia di essere una moda che durerà tanto quanto la situazione di incertezza legata al Covid? Una sorta di “moda necessaria”? E, più in generale, non pensi che l’educazione così concepita rischi di scontrarsi con alcuni limiti oggettivi? Penso anzitutto a climi poco favorevoli o alle variabili metereologiche, ma anche alla difficoltà di implementare servizi del genere in aree urbane densamente popolate…

Dell’approccio outdoor si parla sicuramente di più che in passato proprio a causa della pandemia. Ma a me piacerebbe passasse l’idea che non si tratta di una moda, una soluzione temporanea per affrontare questa situazione particolare – “andiamo fuori” – perché è un approccio che offre ipotesi pedagogiche valide e fondate. L’outdoor permette di mettere di realizzare un’educazione legata ai luoghi in quanto tali, inquadrandoli come veicoli di conoscenza, di apprendimento, indipendentemente dal posto in cui ci si trova.

Questo approccio pedagogico si può sviluppare ovunque. Anche in città, anche in luoghi con meteo instabili o climi particolari. Fare educazione outdoor non significa stare “fuori” e basta. Non significa fare tutto all’esterno. È un approccio che può avere intensità diverse, e che si basa su tanti elementi diversi: l’approfondimento dei materiali che offre il luogo in cui si trova, la conoscenza diretta della natura, l’apprendimento di principi sostenibili. La complessità che si cela dietro la parola “natura” richiede un lavoro di sintesi e di traduzione in pratiche educative capaci di interpretarla come setting educativo, strumento di educazione e oggetto essa stessa a cui educare.

A tuo avviso quindi questo approccio può essere veramente un elemento “di rottura” nel design dei servizi educativi?

Non mi piace parlare di rottura, perché fa intendere che quel che si faceva prima non si farà più e che inizia per forza qualcosa di completamente nuovo. Credo possa essere un elemento di complementarietà, che può aiutare a cambiare il nostro modo di costruire i servizi ponendo maggiore attenzione a dimensioni che oggi sono trascurate o considerate secondarie. Può essere un’occasione per rendere maggiormente ibrido il modello educativo a cui siamo abituati, facendo dell’elemento naturale un setting in cui fare educazione. La via della radicalità nel welfare, e forse anche in altri ambiti, passa non tanto dall’essere disruptive ma dallo sforzo, ben più impegnativo, di ricombinare in modo nuovo elementi già disponibili e creati ad hoc.

Perché avete pensato possa essere utile un workshop?

Crediamo che in questo momento un focus di attenzione intorno al tema educazione-spazio sia fondamentale. Guardiamo al dibattito di questi giorni in vista della riapertura delle scuole. Si parla quasi esclusivamente di banchi. Ma cambiare il dispositivo di seduta influisce in qualche modo sull’educazione?

Forse ci vorrebbe un pensiero pedagogico un po’ più approfondito per capirlo… Il workshop nasce con questa idea: capiamo perché lo spazio in cui educhiamo non è un mero confine dove accadono cose, un limite entro cui fare, ma è un elemento che in quanto tale può contribuire allo sviluppo dei bambini. Inoltre vorremmo aiutare chi parteciperà a capire come il modello esperienziale dell’outdoor possa integrarsi con i modelli “classici”, perché riteniamo possa essere un di più per i bambini. Faccio un esempio banale. Il Coronavirus, la pandemia, il lockdown: sono stati dei grandi momenti di rottura della quotidianità, imprevisti ed imprevedibili come abbiamo visto nelle loro conseguenze.

A nostro avviso l’educazione in natura è un di più perché prepara all’imprevisto, fa comprendere che non tutto va necessariamente come vogliamo, che ci sono dimensioni che noi non controlliamo e che possono generare cose che non impariamo. Una lezione tutto sommato utile di questi tempi. E non scontata.

Ci puoi anticipare di cosa si parlerà e quali risultati vi attendete?

Il workshop ce lo immaginiamo come un momento di condivisione e confronto, dove ci saranno lezioni e tavole rotonde ma anche momenti conviviali, visite e performance artistiche. Partiremo il primo giorno Ugo Morelli, che è il referente scientifico di Artesella Education, che ci aiuterà a capire quale relazione esiste tra diverse dimensioni che caratterizzano i servizi outdoor: educazione, natura, progettazione e cultura.

Ci sarà poi un intervento di Annalia Galardini, che ci spiegherà come e perché la natura, l’ambiente esterno, sia un contesto favorevole per sviluppare setting di apprendimento grazie all’emozione che fa provare. Il secondo giorno ci concentreremo più sugli elementi legati alla costruzione dei servizi, come l’allestimento di contesti esterni per l’apprendimento, e in questo senso sarà presentata anche un’esperienza “radicale”. Seguirà quindi una tavola rotonda per mettere a fuoco i legami tra spazi educativi e altri mondi.

Il tutto “incorporato” in un luogo ricco di ispirazione come Artesella. Non solo per la sua straordinaria esposizione di land art ma anche per la sua storia. Una iniziativa di innovazione culturale che ora è diventata un “motore” di sviluppo locale che cambia faccia al territorio e alle sue politiche: culturale, ma anche ambientale e turistica. Una bella storia d’impresa sociale.