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"Se ci limitiamo a ripetere ciò che è sempre stato fatto, sarà difficile vedere nascere qualcosa di diverso da quello che si è sempre ottenuto". Questa frase attribuita a Warren G. Bennis indica come non si dovrebbe lasciare che le dinamiche del bon ton affossino il desiderio (il cui concetto dai latini è legato alle stelle – de- sidus) limitando ogni innovazione al di qua dei confini conosciuti e annegando ogni istinto di creatività nel mare sicuro della quotidianità. In uno slancio improvviso sarebbe interessante poter leggere una buona novella e raccontarsi che le fondazioni bancarie possano lasciare i panni caldi di buoni pachidermi istituzionali e vestire le forme leggere di un’araba fenice capace di volare alto, con gli occhi rivolti alla terra, ma lontano dalle cime tempestose della realtà.

Mi piace questa metafora per immaginare come potrebbero agire le fondazioni moderne, consapevoli e risolute nell’andare oltre i limiti imposti dalle evoluzioni politico sociali in cui a volte vengono ammansiti anche gli animi più impazienti ed eclettici. Siamo ben consapevoli che ciascuna istituzione debba fare i conti con i propri limiti e le colonne d’Ercole di oggi per le fondazioni sono rappresentate dalla loro stessa storia vissuta fin qui, dalle modalità e dai processi che hanno caratterizzato il loro agire, dall’immagine diffusa e dalla percezione radicata che vive oggi nell’idea di molti, pubblici amministratori e privati cittadini, che associa ancora le fondazioni più o meno a una banca, o peggio a un bancomat.

Lo sforzo che le fondazioni dovrebbero sopportare, per superare questi limiti, sarebbe notevole, equiparabile a quello di una rinascita, una ripartenza da zero, un cambio di passo svincolato da lacci del passato, che oggi rappresentano una zavorra che impedisce di volare. Ripartire significherebbe anzitutto riflettere criticamente sul senso del proprio operato, al di là del bene, ovvio e meno ovvio, che si può aver prodotto con la propria attività. Già, perché essere un’ istituzione in grado di erogare in modo efficace contributi in denaro risulta un’impresa piuttosto problematica, soprattutto nel nostro periodo storico, e può essere ancora più difficile per la natura stessa delle molteplici possibilità che vengono accese o spente e dall’eterogeneità delle domande da soddisfare. Per questo motivo è fondamentale riflettere sul senso del proprio agire, senza farsi trasportare da logiche immanenti, a volte poco coerenti, del “buon padre di famiglia” che, in assoluta buona fede, cerca in maniera oculata di dare a tutti i figli in uguale entità, poco o molto che sia, con un innaturale neutralismo, non agendo con una vera strategia, non indagando sui reali bisogni profondi e sulle potenzialità che i riceventi dovrebbero manifestare, non tenendo conto delle diversità e delle aspirazioni che il contributo economico dovrebbe stimolare.

Ecco, le fondazioni dovrebbero sforzarsi di essere qualcos’altro, conservando sì lo spirito positivo di attenzione alla realtà che le ha guidate fino a oggi, ma allo stesso tempo essendo capaci di crescere e diventare adulti responsabili, imparando quindi a desiderare qualcosa di più adatto alla loro età. Porsi le domande giuste diventa quindi elemento essenziale per crescere.

L’arte del raccontarsi però ci ha addomesticato a un lessico comune, a volte superficiale, a volte declassato a “linguaggio tecnico” che rende scontata ogni affermazione, si rischia quindi di perdere la consapevolezza reale di ciò che viene detto. Negli ultimi anni alcuni concetti sono stati abusati e trasformati in slogan che trovano spazi nei titoli o nelle pagine dei giornali, ma sono più simili a croci disseminate in un cimitero di idee, segnacoli di una partenza a cui rimangono comunque appesi i dubbi di una vera consecutio sostanziale: dalle parole ai fatti. Così i temi della valutazione di impatto, delle teorie del cambiamento, dell’ossessione ai risultati e della sostenibilità sociale ed economica stanno trasformando lentamente la percezione della realtà, il nostro modo di pensare, anche se faticano ancora nel farsi vera sostanza e nello staccarsi dalla seppur importante e bella apparenza. In tutto questo mondo le fondazioni invece potrebbero davvero giocare un ruolo rilevante, facendo dell’esperienza e della sperimentazione il loro vero motore e ragione di esistere. Trasformarsi da semplici erogatori di risorse a sperimentatori di processi condivisi e complessi, questo potrebbe essere il destino adulto delle Fondazioni. È chiaro che questa trasformazione:

  • implica cambiamenti nelle modalità operative e nelle organizzazioni interne delle strutture operative, necessariamente sempre più professionali e capaci di accompagnare le evoluzioni del tempo
  • richiede di modificare le strategie di relazione con gli stakeholder, enti pubblici e privati,
  • significa approfondire la stesura dei progetti e il livello degli obiettivi imparando a scegliere ciò che è essenziale, anche prendendo posizioni forti su temi di interesse generale.

L’essere adulti porterebbe con sé la possibilità di immaginarsi diversi, ampliando le modalità di azione: lavorando con sforzo maggiore nell’evitare dispersioni di risorse in micro-territori perseguendo invece al tempo stesso una visione ibrida locale ed europea, continuando a promuovere a livello nazionale o regionale programmi condivisi tra diversi enti pubblici e privati; proponendosi sempre più come registi di sviluppo sostenibile per le comunità al di là delle emergenze politiche, coraggiosi nelle scelte e consapevoli convogliatori di sorgenti di energia differenti disperse sui territori. Come chi conosce l’arte della costruzione degli acquedotti attingendo l’acqua da sorgive differenti, ed è attento a non scavare troppo a fondo, consapevole del rischio di prosciugare o perdere la sorgente, convogliando con le giuste misure i percolamenti verso la prima vasca di raccolta che poi suggerirà all’acqua la strada per entrare nelle case di tutti. Così dovrebbe agire una Fondazione, con la stessa attenzione, cura e sapienza di chi è capace di convogliare soggetti differenti e risorse economiche eterogenee verso un unico fine a beneficio di tutti. Per far questo sarà necessario agire l’indipendenza come un valore, la stessa troverà infatti un basamento nelle ampie relazioni che sempre di più una Fondazione dovrà intessere con i diversi attori territoriali così da ribadire la sua apertura e capacità di ascolto della comunità accompagnata dalla capacità di sintesi e di selezione che le è propria. Non è infatti isolandosi che una Fondazione può trovare se stessa, ma ponendosi in relazione con gli altri.

L’essere la terza via, tra pubblico e privato, a difesa e beneficio della società civile collettiva dovrebbe diventare quindi lo sforzo principale da compiere congiuntamente a beneficio di tutti. Così la presenza di questi istituti in altri organismi o enti rilevanti pubblici e privati potrebbe essere una garanzia in più per il bene comune, e non un problema come a volte si può leggere nei dibattiti sui giornali; anzi porrebbe un freno ulteriore alle possibili distorsioni che la storia ci ha insegnato a leggere sia nel mondo pubblico sia nel mondo privato, con la forza dei propri valori e delle propria missione.

Tornando ai perché che ci possono aiutare a crescere, vengono alla mente molti interrogativi sul ruolo che le fondazioni di oggi potranno esercitare nella società civile, su quale funzione giocheranno in Europa? Su quali connessioni e sovrapposizioni avranno con il Terzo settore? Su quali strumenti, metodi e processi potranno adottare in un mondo nuovo, radicalmente cambiato, proiettato nel 4.0, nel nuovo welfare, nei big data, nell’impact investing e nella finanza etica? Su quale sarà insomma il senso del loro operato? A livello nazionale ci si sta preparando a un cambiamento importante nella guida del sistema delle Fondazioni, è tempo di spalancare nuovi orizzonti e sarebbe davvero interessante poter avere occasioni di confronto e riflessione che permettano di dare uno sguardo nuovo alla realtà. A volte è sufficiente fermarsi e allontanarsi di qualche metro, come per vedere meglio la complessità del quadro che abbiamo di fronte e tutto ci sembrerà più chiaro.