10 ' di lettura
Salva pagina in PDF

Le fondazioni di partecipazione sono un istituto giuridico che unisce caratteristiche della fondazione, come l’immutabilità dei fini e la conservazione del patrimonio, con caratteristiche dell’associazione, come la democraticità e l’apertura a nuove adesioni. In virtù di tale assetto, negli ultimi anni vi è stata una grande diffusione dell’istituto, prima in ambito culturale e poi dei servizi alla persona, in particolare nella gestione del cosiddetto “durante e dopo di noi”. Nell’ambito degli approfondimenti dedicati a questo tema, che trovate in calce all’articolo, Percorsi di Secondo Welfare presenterà anche le esperienze di alcune fondazioni di partecipazione operanti nella Regione Emilia-Romagna. In questo articolo vi parliamo della Fondazione Le Chiavi di Casa ONLUS di Granarolo dell’Emilia, in provincia di Bologna.


Storia e caratteristiche

Verso il 2003 un gruppo di genitori, soci dell’associazione Idee ed Esperienze di Granarolo dell’Emilia (Bologna), iniziò a domandarsi come garantire un futuro sereno ai loro figli con disabilità. In collaborazione con il comune di Castel Maggiore (Bologna) venne realizzato un progetto sperimentale: in un appartamento di proprietà comunale nella frazione di Trebbo di Reno fu avviata una convivenza dove alcuni giovani con disabilità iniziarono a vivere da soli con il sostegno di una badante e, per alcune ore a settimana, di un educatore.

Successivamente il gruppo di genitori si chiese quale sia la migliore forma giuridica per dare stabilità al progetto in corso, decidendo poi di dar vita ad una fondazione di partecipazione. Si era ritenuto che questo istituto potesse dare maggiori garanzie di continuità e tutela del patrimonio, potendo così stipulare contratti di mantenimento e ricevere lasciti testamentari. Tali possibilità non erano contemplate in altre organizzazioni, come l’associazione o la cooperativa, che possono cambiare con maggior facilità obiettivi e destinazione del patrimonio.

La fondazione di partecipazione nacque nel 2005 con tredici famiglie come soci fondatori promotori e diventò subito operativa. All’interno della fondazione vi sono però anche i soci fondatori (che sono stati ammessi in un secondo momento) e i partecipanti. Possono diventare soci fondatori promotori le persone con disabilità o i parenti delle stesse, purchè abbiano ricoperto per cinque anni la carica di fondatori. Per diventare soci fondatori, bisogna invece contribuire con denaro, beni o servizi alla vita della Fondazione ed essere designati dal Consiglio d’Indirizzo. I partecipanti sono coloro che per un periodo determinato collaborano alle attività della fondazione mettendo a disposizione risorse economiche, competenze, professionalità, beni materiali e immateriali.

Gli organi statutari sono il Consiglio d’Indirizzo, il Consiglio di Gestione, il Presidente della Fondazione e il Vice Presidente Vicario, il Collegio dei Partecipanti e il Collegio Tecnico-Contabile.
L’organo principale è il Consiglio d’Indirizzo, composto da sei a dieci membri, di cui sei nominati dai fondatori promotori, due dagli altri fondatori, due dai partecipanti. Esso nomina il Presidente, il Vice Presidente Vicario ed il Consiglio di Gestione; determina i requisiti per l’ammissione dei fondatori e dei partecipanti; stabilisce le linee guida delle attività, i programmi e approva il bilancio. Si riunisce ogni due settimane insieme al Consiglio di Gestione che provvede all’ordinaria amministrazione della Fondazione (tecnicamente sono due organi distinti ma fino ad ora hanno operato congiuntamente).

Il funzionamento della Fondazione è basato sull’attività di due impiegate, un’educatrice e tre badanti, oltre all’impegno volontario dei genitori presenti negli organi statutari e di alcuni volontari per varie attività. Le risorse umane presenti sono sufficienti per garantire l’ordinario funzionamento (i servizi per il “dopo di noi”, il back office, la promozione e la raccolta fondi), ma non consentono di espandere l’attività, ad esempio attraverso il fund-raising e il people-raising.

Il patrimonio della Fondazione è costituito dal fondo dei fondatori (ogni famiglia ha versato 2500 euro ai quali si aggiungono le quote dei nuovi soci fondatori), dai proventi della raccolta fondi e dai contributi dell’Azienda USL a supporto dei progetti. La raccolta fondi si basa sul cinque per mille (entrata principale), le donazioni liberali, i banchetti in luoghi pubblici e presso eventi locali, la vendita di uova di Pasqua, bomboniere e altri oggetti e pranzi di autofinanziamento. In passato era attivo anche un mercatino del riuso, ma è stato chiuso per assenza di spazi. Sono rare le donazioni dalle imprese locali, che spesso consistono in beni alimentari per i pranzi o altri eventi di finanziamento. Per la ristrutturazione di un appartamento comunale la Fondazione ha ricevuto contributi da Fondazione Carisbo ed Enel Cuore. Talvolta riceve contributi dalle banche locali, ma sono di entità limitata. La Fondazione ha partecipato a vari bandi purtroppo senza esito positivo, in quanto spesso questi sono pensati per realtà più strutturate; ha anche provato a orientarsi sulla raccolta fondi on line, risultata però difficoltosa in quanto i sostenitori dell’ente sono prevalentemente persone anziane che non utilizzano gli strumenti digitali.

La Fondazione è in rete con diverse associazioni del territorio, in quanto ne sono soci i genitori fondatori; partecipa al Tavolo del Volontariato di Granarolo dell’Emilia e alla rete informale di associazioni di Castel Maggiore; collabora poi con altre realtà attive nel settore della disabilità di Bologna come la locale Fondazione Dopo di Noi e il Centro di Documentazione Acca Parlante. Sta costruendo rapporti informali con altre fondazioni di partecipazione emiliano-romagnole e a livello nazionale aderisce alla Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap (FISH). Insieme ad altre organizzazioni operanti nell’area metropolitana bolognese, sono stati realizzati progetti finalizzati alla raccolta fondi ma, pur riuscendo a sensibilizzare l’opinione pubblica e ottenere visibilità, gli incassi sono stati veramente esigui rispetto agli sforzi. Per promuovere l’attività della Fondazione semestralmente viene pubblicato un giornalino diffuso in luoghi pubblici e attraverso i banchetti.

A livello locale è molto forte la collaborazione con gli enti pubblici, in particolare il comune di Granarolo dell’Emilia e il comune di Castel Maggiore. Nel primo caso, in virtù delle dimensioni dell’abitato i contatti personali sono quotidiani e questo favorisce lo sviluppo di un solido partenariato. Il comune di Granarolo è anche socio partecipante.


Obiettivi

La Fondazione Le Chiavi di Casa ONLUS è nata per garantire assistenza e supporto alle persone con disabilità dopo che la famiglia di origine non sarebbe più stata in grado di prendersene cura. L’attività della Fondazione inizia però nella fase in cui è ancora la famiglia ad assistere la persona con disabilità, in modo che essa possa partecipare alla definizione del progetto di vita e preparare con serenità il distacco. I genitori fondatori promotori e fondatori possono stipulare un contratto di assistenza vitalizia con la Fondazione in favore dei loro figli e possono eventualmente renderla beneficiaria di un lascito testamentario o prevedere altre specifiche modalità di gestione del patrimonio. Questo è possibile per le specificità dell’istituto della fondazione di partecipazione, struttura che in qualche modo continua ad agire in nome e per conto della famiglia anche quando questa non c’è più.

Lo scopo primario della Fondazione non è aprire ulteriori servizi sul territorio, ma costruire soluzioni personalizzate, garantendo la permanenza in un ambiente familiare a persone con disabilità, valorizzandone le competenze in un’ottica di vita autonoma.  In base allo statuto, infatti, il primo obiettivo della Fondazione è la tutela della persona disabile e del suo benessere.


Servizi offerti

La Fondazione Le Chiavi di Casa ONLUS realizza la propria mission attraverso l’accompagnamento educativo, progetti di domiciliarità, la consulenza legale e alcuni laboratori per il tempo libero.

Il primo progetto di domiciliarità è stato promosso a Trebbo di Reno, frazione di Castel Maggiore dall’associazione Idee e Esperienze, in un appartamento di proprietà del comune. In seguito alla nascita della Fondazione nel 2007, il progetto viene spostato nell’abitato principale, in quanto maggiormente servito dal trasporto pubblico locale, frequentemente utilizzato dalle conviventi per i loro spostamenti quotidiani.

Subito dopo la nascita della Fondazione, viene stipulato un accordo anche con il comune di Granarolo per il comodato d’uso gratuito ventennale di altri due appartamenti (che però sono allo stato grezzo e richiedono ulteriori lavori di adattamento che vengono finanziati attraverso la raccolta fondi, il contributo delle famiglie, il supporto di vari enti di erogazioni ed un mutuo).

L’inserimento dei giovani maggiorenni con disabilità avviene in collaborazione con i servizi pubblici. La famiglia interessata si deve rivolgere all’USSI (Unità Socio Sanitaria Integrata) Disabili del distretto di Pianura Est dell’Azienda USL di Bologna. Gli educatori dell’USSI, che solitamente sono i titolari del caso, dopo aver fatto una prima valutazione, prendono contatto con l’educatrice della Fondazione e, insieme alla famiglia e alla persona, stendono il progetto educativo individuale. È opportuno specificare che in base alla DGR 1230/08 "Fondo regionale per la non autosufficienza – Programma 2008 e definizione interventi a favore delle persone adulte con disabilità", negli appartamenti dati in comodato d’uso dal Comune possono essere accolte solo persone con disabilità lieve, senza problematiche relazionali e non in carico ai servizi per la salute mentale (se però gli appartamenti fossero di proprietà di privati questi vincoli non ci sarebbero). Il costo dell’inserimento è di circa 1500 euro al mese ripartito tra A.U.S.L. e famiglie e varia in base al numero di componenti della convivenza.

Il progetto educativo individuale indica tutte le attività svolte dalla persona con disabilità come il lavoro (o l’inserimento lavorativo), il tempo libero, le competenze presenti e gli obiettivi da raggiungere. Per la Fondazione è molto importante che le persone conviventi negli appartamenti raggiungano la massima autonomia possibile, in particolare nella gestione della casa e della propria persona. Le sette persone attualmente inserite hanno tutte un’attività lavorativa fuori casa (dal centro socio-occupazionale alla borsa lavoro al lavoro vero e proprio) e sono totalmente autonome negli spostamenti (eccetto una persona con disabilità motoria che necessita di supporto per muoversi).

Il progetto prevede che negli appartamenti sia presente una badante ventiquattro ore al giorno, tutti i giorni eccetto i week end (in quanto i conviventi rientrano in famiglia), e l’educatrice per alcune ore al giorno. I conviventi devono comunque imparare a gestire la casa, a fare i lavori domestici, a cucinare, ad organizzare la propria routine, in quanto il supporto assistenziale deve essere progressivamente ridotto. Un aspetto importante è la gestione del denaro che significa passo dopo passo fare piccoli acquisti, la spesa e monitorare eventuali spese extra (come il ristorante ad esempio).

In merito alla presenza delle badanti vi sono però alcune eccezioni. In uno dei due appartamenti di Granarolo risiede una ragazza che ha perso entrambi i genitori e quindi vive sempre in appartamento; in questo caso la presenza della badante nei week end è sempre garantita, mentre durante le festività partecipa alle vacanze del gruppo parrocchiale ove è inserita oppure a momenti specifici appositamente organizzati dalla Fondazione (ad esempio per Pasqua è andata al mare con la badante). Diverso è il caso dell’appartamento di Castel Maggiore: le ragazze residenti da anni hanno sviluppato un livello di autonomia molto elevato; quando passano un week end in appartamento, programmano l’attività insieme all’educatrice ma poi rimangono da sole; il sabato sera spesso vanno in autobus a Bologna, mangiano fuori, vanno al cinema e poi rientrano in taxi. Tra aprile e maggio, inoltre, la badante dell’appartamento ha avuto un periodo molto lungo di ferie e l’educatrice della Fondazione, con il consenso dell’USSI e delle famiglie, ha voluto avviare una sperimentazione; anziché sostituire la badante è stata inserita un’educatrice per alcune ore al pomeriggio in modo tale da valorizzare l’autonomia delle ragazze conviventi, perfettamente in grado di gestire sé stesse e la casa.

La strategia educativa adottata si basa proprio sullo sviluppo di competenze e l’acquisizione di autonomie nell’ottica di una vita indipendente.
Sebbene i conviventi gestiscano liberamente il proprio tempo partecipando ad attività organizzate o in altro modo, la Fondazione, per favorire l’integrazione ed allargare le reti relazionali, ha organizzato alcuni laboratori con il supporto di volontari. Grazie alla disponibilità di un volontario, che da anni fa parte di una compagnia di teatro amatoriale (questa compagnia organizza spettacoli per finanziare la Fondazione), è stato attivato un laboratorio video in cui i ragazzi imparano la mimica, la recitazione, la ripresa, il montaggio. Un altro volontario è un dj e organizza un laboratorio di campionatura musicale. Vi sono poi laboratori grafici ed espressivi, uno dei quali realizza le bomboniere, che vengono vendute ed i fondi vengono utilizzati per il finanziamento delle attività. L’obiettivo iniziale della Fondazione era coinvolgere nelle proprie attività non solo i conviventi o altre persone con disabilità ma anche giovani cosiddetti “normodotati”, ma purtroppo l’obiettivo è stato solo parzialmente raggiunto.

Complementare all’accoglienza domiciliare, vi è il servizio di consulenza legale che supporta le famiglie nella gestione del patrimonio e nell’individuazione di tutti gli strumenti utili per garantire un futuro sereno ai figli come l’amministrazione di sostegno e i lasciti testamentari. Il primo incontro con il legale, così come eventuali eventi informativi, sono a carico della Fondazione ma l’attività successiva è remunerata dalla famiglia interessata.
Vi è poi un ulteriore progetto di week end domiciliari in preparazione ad un eventuale distacco dalla famiglia d’origine; questo progetto è però solo agli inizi.


Conclusioni

L’esperienza della Fondazione Le Chiavi di Casa ONLUS mette in evidenza alcune caratteristiche del terzo settore italiano.

Come molte altre organizzazioni del terzo settore, la Fondazione è nata grazie all’impegno di alcune persone che riconoscevano di avere un bisogno, in questo caso la necessità di garantire un futuro sereno ai propri figli con disabilità, e si sono unite per poter dare una risposta che fosse poi condivisa con la comunità locale. Nel caso del “durante e dopo di noi”, il bisogno non nasceva dall’assenza di servizi per la disabilità sul territorio ma dalla necessità di garantire alle persone con disabilità un elevato benessere anche dopo la scomparsa dei genitori, e il benessere è dato anche dal vivere in un ambiente familiare, dall’acquisire e poter esprimere competenze e dal poter decidere sulla propria vita. Non serviva quindi un nuovo servizio (almeno non in senso stretto), bensì una struttura che catalizzasse risorse (umane, relazionali, patrimoniali, immobiliari) e potesse assumersi la tutela giuridica della persona con disabilità. A partire quindi da questa spinta iniziale, la Fondazione, grazie anche alle competenze dei propri professionisti, è riuscita a elaborare una nuova modalità d’intervento e a rendere autonome alcune persone con disabilità. Se nel 2016 delle giovani donne con disabilità intellettiva sono in grado di vivere da sole con un leggero supporto educativo è perché la Fondazione con la sua equipe è riuscita a sviluppare la competenza necessaria per accompagnarle a questo risultato e, allo stesso tempo, a essere credibile di fronte a famiglie e istituzioni.

L’ottica del “durante e dopo di noi” ha trasformato anche il ruolo del volontariato. Nelle convivenze presso la Fondazione, non è richiesta la presenza di volontari e in alcuni casi è ridimensionato il ruolo degli operatori, in quanto l’obiettivo è implementare le autonomie delle persone con disabilità. I volontari sono presenti per la gestione di particolari momenti aggregativi del tempo libero, come i laboratori, o per assolvere particolari bisogni, come svolgere alcune attività, o accompagnamenti che una persona non è in grado di fare per conto proprio (ad esempio in caso di disabilità motorie). I volontari invece si rilevano fondamentali per la raccolta fondi, la promozione sul territorio e potrebbero in futuro diventare utili per supportare il personale in alcune funzioni di backoffice. Fino ad ora la Fondazione non ha fatto molta attività di people-raising in quanto non ve ne era un forte bisogno: da un lato i conviventi sono molto autonomi e passano il tempo libero per conto proprio o presso altre associazioni, dall’altro le attività promozionali sono state fatte dai famigliari. Attualmente viene però rilevato come per ampliare alcune attività, ad esempio la raccolta fondi o la partecipazione a bandi, sia necessario avere più volontari.

Se dal lato dell’esperienza e delle competenze la Fondazione si è sviluppata, rimangono però delle difficoltà sul lato della sostenibilità economica. Il contributo erogato dal distretto di Pianura Est non è sufficiente a coprire i costi di mantenimento degli appartamenti e l’AUSL non è nelle condizioni di aumentarlo, considerando che la priorità è data alle situazioni d’emergenza (per quasi tutti i conviventi è un “durante noi” quindi non un bisogno indifferibile), sebbene riconosca il valore e l’importanza del progetto. Attualmente parte del costo è coperto dal contributo dei famigliari e dalle entrate della raccolta fondi.

Come già esposto nei precedenti paragrafi la Fondazione ha una raccolta fondi molto radicata sul territorio basata soprattutto sul cinque per mille, le donazioni liberali e i banchetti e questa le garantisce il sostentamento. Fatica però a ottenere fondi attraverso la partecipazione a bandi e piattaforme on line, dato che i suoi sostenitori sono pochi avvezzi alle tecnologie digitali e all’interno non ha risorse umane da dedicare totalmente al fund-raising e people-raising. Bisogna poi specificare che sul territorio non vi sono fondazioni d’erogazione orientate alla realizzazione di un welfare comunitario che possono garantire supporto economico e promozione del capitale sociale comunitario, entrambi strumenti essenziali che in altri territori hanno notevolmente favorito lo sviluppo del terzo settore.

La questione economica è purtroppo una problematica che tocca l’intero terzo settore italiano, in particolare le organizzazioni più piccole strettamente legate a un territorio o a un particolare bacino sociale. Si tratta di realtà che hanno competenze elevatissime nel proprio ambito operativo e che sono fondamentali per la qualità della vita dei loro beneficiari ma che faticano a dare continuità ai loro progetti per difficoltà economiche. Talvolta sono infatti gli enti pubblici a garantire il finanziamento ma questo, a causa dei vincoli di bilancio, è sempre più limitato e non sempre le organizzazioni hanno le risorse umane, relazionali o finanziarie per costruire articolate e complesse campagne di fund-raising, in assenza di supporti esterni come possono essere le fondazioni di comunità o i progetti di welfare comunitario delle fondazioni di origine bancaria.

 

Il presente articolo è stato scritto grazie alle informazioni e alla documentazione raccolta nel corso di una lunga intervista realizzata il 4 maggio 2016 con il sig. Antonio Guidoni (presidente e fondatore della Fondazione Le Chiavi di Casa ONLUS), la dott.ssa Gloriana Mazza (educatrice professionale), la dott.ssa Laura Bertacchini (gestione personale e amministrazione) e la dott.ssa Daria Casali (comunicazione, raccolta fondi e gestione volontari).durante