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Nelle scorse settimane avevamo tratteggiato le caratteristiche essenziali della proposta di legge 698 “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave, prive del sostegno familiare” e descritto le principali sperimentazioni già in corso sul territorio. Continuiamo ora l’approfondimento sul “durante e dopo di noi” con un’intervista a Marco Bollani, referente tecnico di ANFFAS Nazionale per il Dopo di Noi e direttore della cooperativa sociale “Come Noi” di Mortara (Pavia), realtà afferente all’unitaria struttura associativa di ANFFAS.

Nel corso dell’intervista, partendo da una dettagliata analisi del Disegno di Legge approvato dalla Camera dei Deputati il 4 febbraio 2016 ed attualmente all’esame del Senato (con numero di riferimento 2232), Bollani descrive le trasformazioni dei servizi per la disabilità spiegando come un servizio debba puntare soprattutto sulle relazioni tra i membri di una comunità per promuovere la piena cittadinanza delle persone con disabilità. Questo può avvenire attraverso la deistituzionalizzazione e l’adozione di un modello di “qualità della vita” che metta al centro i diritti, i bisogni e le aspirazioni della persona con disabilità.

Dalle parole di Bollani si può comprendere come una sinergia attenta e partecipata tra famiglie ed operatori sociali possa generare un profondo processo di innovazione sociale. Le famiglie possano diventare fattore decisivo di trasformazione dei servizi e dei sostegni per la disabilità assumendo il ruolo di soggetti attivi e non più limitandosi al ruolo di utenti e gli operatori sociali possono supportare e qualificare tale processo se comprendono le possibilità di trasformazione del sistema assumendo la sfida di andare “oltre il mandato” dei servizi tradizionali.

ANFFAS è arrivata a sviluppare servizi innovativi a partire dall’assunzione convinta della Convenzione Onu sui Diritti delle Persone con Disabilità ed a precisi investimenti formativi e di ricerca-azione che hanno impegnato l’intera struttura associativa e dei gestori dei servizi nel corso degli ultimi 6 anni.

In particolare ANFFAS ha promosso e realizzato un percorso di ricerca-azione per analizzare la capacità dei servizi di promuovere concretamente inclusione sociale. Realizzato tra il 2010 e il 2012 sul territorio lombardo è stato pubblicato da Erickson nel volume “Inclusione sociale e disabilità. Linee guida per l’autovalutazione della capacità inclusiva dei servizi” .
La ricerca-azione, realizzata nell’ambito di un progetto della Fondazione Nazionale Dopo di Noi e con la collaborazione di Regione Lombardia e del Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università degli Studi di Bergamo, ha coinvolto persone con disabilità, operatori, familiari e volontari delle strutture ANFFAS in tutta la Lombardia ed ha prodotto interessanti e sfidanti linee guida per la riorganizzazione dei servizi e per la progettazione in chiave inclusiva contenute nella pubblicazione di Erickson.

Gli spunti ricavati dalla ricerca hanno sostenuto e stanno attualmente sostenendo molti processi di innovazione sociale all’interno del circuito associativo ANFFAS tra cui, con particolare riferimento al Dopo di Noi, il progetto “A casa mia” della cooperativa sociale Come Noi di Mortara. Tale trasformazione si colloca perfettamente in una logica di secondo welfare poichè, come mette ben in evidenza l’esperienza della Cooperativa Come Noi, vede soggetti privati, come terzo settore e famiglie, assumere insieme un ruolo di attivatori e coprotagonisti della trasformazione dei servizi e dei sostegni. In particolare le famiglie agiscono sia come promotrici della nascita di nuovi servizi, sia come investitori specifici perché mettono a disposizione della comunità patrimoni e beni immobili in un’ottica di condivisione e di solidarietà familiare.

È bene sottolineare l’importanza della dimensione comunitaria nella realizzazione dei servizi: l’intervento non è più costruito sulla persona con disabilità ma sulla comunità d’appartenenza e in questo modo gli educatori diventano mediatori delle relazioni comunitarie lavorando sull’intero contesto sociale, anche con funzioni di advocacy. Sebbene il campo ove si sviluppano i servizi per il “durante e dopo di noi” sia la comunità locale, non va dimenticata l’influenza di fattori di carattere sovranazionale come l’approvazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e alcune elaborazioni di importanti accademici come Amartya Sen, Martha Nussbaum e gli italiani Roberto Medeghini e Chiara Saraceno.


Oggi al Senato, dopo l’approvazione alla Camera è in discussione la proposta di legge 2232 “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave, prive del sostegno familiare” riguardante il “durante e dopo di noi”. Qual è la posizione di ANFFAS in merito?

Il progetto di legge sul “Dopo di noi” oggi è oggetto di grande attenzione da parte di tutte le oltre 13.000 famiglie associate ad ANFFAS in tutta Italia: contiene alcuni elementi davvero importanti come un fondo dedicato a promuovere l’assistenza e la presa in carico delle persone con elevati bisogni di sostegno una volta che i genitori dovessero mostrare difficoltà o non esserci più. La legge va a coprire un bisogno che da oltre 50 anni a questa parte non è mai stato coperto dalle istituzioni: cosa succederà quando noi genitori con un figlio con elevate necessità di sostegno non ci saremo più? Questa domanda dal punto di vista dell’intervento pubblico non ha mai avuto risposta. Ora questa risposta c’è. Non solo è stata costruita ma il testo della proposta di legge contiene diversi spunti, diversi elementi concreti che all’interno del circuito ANFFAS vengono già applicati in tantissime soluzioni costruite direttamente dalle famiglie, dall’associazione e dagli enti gestori.


Qual è la logica degli interventi di ANFFAS?

Nella storia di ANFFAS e nella sua concreta esperienza si riflette bene il paradigma del secondo welfare: l’attivazione diretta dei genitori e delle famiglie come fattore di trasformazione della comunità ed acceleratore di cambiamento. Ma si testimonia anche tutto il tema della mutualità e del cooperare attuando concretamente la vera sussidiarietà. Perché le risposte costruite da ANFFAS sono nate dal basso dando preciso valore al principio costituzionale della solidarietà, soprattutto della solidarietà familiare. La nostra Costituzione ci prefigura infatti la solidarietà non come un’opzione idealistica ma come un vero e proprio dovere civile.

In questo senso, uno dei contenuti più innovativi del disegno di legge sul “Dopo di noi” promuove concretamente questo principio prevedendo espressamente la possibilità di “realizzare interventi… volti alla creazione di soluzioni alloggiative di tipo familiare e di co-housing che possono comprendere gli oneri di acquisto, di locazione, di ristrutturazione e di messa in opera degli impianti e delle attrezzature necessari per il funzionamento degli alloggi medesimi, anche sostenendo forme di mutuo aiuto tra persone con disabilità"(art. 4 comma c Ddl 2232).

Si tratta di un elemento di grande innovazione oggi già sperimentato nell’ambito della Cooperativa “Come Noi” di Mortara dove alcune famiglie hanno messo a disposizione la propria casa non solo per il proprio figlio ma anche per figli di altre famiglie, generando un vero e proprio processo di mutuo aiuto, una vera condivisione di beni immobili e patrimoniali. Hanno immesso nel sistema risorse private facendole diventare risorse di tutta la comunità e con le risorse di una o più famiglie benestanti si è generato uno scambio che non porta beneficio solo alle famiglie e alle persone protagoniste dell’intervento, ma a tutta la comunità che non ha visto nascere una nuova struttura con fondi pubblici, ma ha visto la messa in comune di risorse private da parte di più famiglie per la realizzazione di sostegni comunitari che promuovono inclusione sociale.

Secondo lei quali sono i punti più importanti del Ddl “Dopo di noi”?

In primo luogo la legge istituisce un fondo e questo significa risorse. La legge mette a budget un fondo, per il primo anno 90 milioni di euro, per realizzare progetti in favore di persone con intense necessità di sostegno quando i genitori non potranno più prendersene cura o non ci saranno più. Questo è un primo elemento di soddisfazione per tutta la rete ANFFAS.

Un altro elemento soddisfa che ANFASS ritiene positivo è la definizione del primo articolo, che specifica molto bene che le misure della legge sono volte a evitare l’istituzionalizzazione e sono adottate attraverso la predisposizione di un progetto individuale come previsto dalla Legge 328/2000 all’art 14. L’art. 1 utilizza espressioni come “deistituzionalizzazione” e “progetto di vita” che rappresentano il cardine degli interventi di ANFFAS in favore delle persone con disabilità. Anche questo è un elemento che ci dà garanzie e che ci piace.

Ulteriore aspetto di valore è rappresentanto dalle finalità del Fondo, come descritte all’art. 4. Ci sono quattro punti che riflettono l’attuale visione di ANFFAS su come fare il “Dopo di noi”: la dimensione della casa, il sollievo familiare, le soluzioni familiari e il cohousing. L’obettivo è costruire dei sostegni concependoli come una casa, non come delle grandi strutture. Nell’esperienza di Mortara abbiamo costruito come cooperativa prima un centro diurno con una struttura residenziale di piccole dimensioni, poi tutt’intorno delle case-alloggio; ora siamo andati oltre il perimetro di questa costruzione perché ormai il dopo di noi a Mortara si attua soprattutto attraverso la convivenza di persone con disabilità intellettiva e in alcuni casi con disabilità motoria che intraprendono percorsi di vita indipendente emancipandosi dai servizi e dalla famiglia d’origine.

In presenza di persone con una disabilità importante con bisogni di sostegno molto elevati, il dopo di noi, il distacco dalla famiglia ha inizio molto spesso attraverso il cosiddetto “sollievo”, cioè momenti di temporanea accoglienza residenziale finalizzati a sollevare la famiglia dal carico di cura, in particolare in momenti di particolare stanchezza o criticità. Promuovere l’accoglienza in queste unità abitative, in queste forme temporanee di sollievo, per la famiglia e per la persona rappresenta spesso il primo passo per sperimentare un distacco dai genitori e di conseguenza anche la prima opportunità ed opzione per la persona per esprimere il proprio punto di vista rispetto al proprio luogo di vita.

La struttura di Mortara è stata promossa, realizzata e attivata da un gruppo di genitori dell’ANFFAS che sono diventati una cooperativa sociale; quindi un gruppo di famiglie si sono riunite, organizzate, hanno costituito una cooperativa, acquistato un terreno, cercato finanziamenti regionali, costruito le strutture diurne e residenziali e da queste strutture hanno fatto successivamente crescere, attraverso un percorso di gemmazione, risposte alternative che hanno in un certo senso anticipato il modello degli interventi sul Dopo di noi.
Il testo di legge depositato alla Camera prevede che possano concorrere a finanziare e ad attuare strutture per il “Dopo di noi” gli enti pubblici, le organizzazioni del terzo settore e le famiglie che si associano. Vuol dire che il legislatore che intende favorire la costituzione di fondi che possano sostenere percorsi come quello realizzato dalle famiglie di Mortara oltre trent’anni fa. Dal nostro punto di vista la legge ci sembra favorire un processo di “ritorno al futuro”; riconosce il percorso fatto nella pratica e lo formalizza attraverso l’istituzione di questo Fondo. Tutto questo ci sembra rappresenti il nocciolo della legge, il suo architrave.

Secondo lei vi sono aspetti critici nella proposta di legge?

Gli aspetti a mio avviso più critici sono contenuti, un po’ paradossalmente, negli elementi che ci piacciono di più. Il primo è la necessità di stabilire un collegamento diretto tra le sperimentazioni che possono essere finanziate con questa legge e il quadro normativo locale che regolamenta i servizi per le persone con disabilità. Mi spiego meglio. La legge consente anche alle famiglie che si associano di poter ricevere finanziamenti per creare soluzioni alternative all’istituzionalizzazione come quelle che abbiamo creato qui a Mortara. Occorre però che la legge preveda degli automatismi di collegamento con le norme regionali e locali.

Ad esempio: se dovesse prendere il via un’esperienza simile a quella nata a Mortara essa dovrebbe essere automaticamente inserita all’interno dei servizi sperimentali previsti dai Piani di Zona del territorio, perché se queste strutture innovative non vengono inserite all’interno della regolamentazione istituzionale che disciplina i sostegni e le prestazioni in favore di persone con disabilità, il rischio è che si creino delle strutture che non possano essere regolamentate, controllate, supervisionate e supportate dagli enti pubblici. Bisogna dire alle singole Regioni: “recepisci bene questa norma e crea collegamenti con la pianificazione zonale”. Bisogna fare in modo che nel passaggio dalla Camera al Senato, venga introdotto un meccanismo di collegamento tra la disposizione della legge statale e i regolamenti con cui le singole regioni andranno a destinare i finanziamenti.

Noi chiediamo che il requisito fondamentale per la messa in esercizio di strutture alternative all’istituzionalizzazione sia il requisito di civile abitazione, obbligatorio per tutte le abitazioni private (altezza, dimensioni, areazione, finestre…). ANFFAS ritiene che questi interventi alternativi soddisfino i requisiti caratteristici di una casa privata e che tali alloggi non vengano sovra regolamentate e sovra strutturate. Noi diciamo che queste soluzioni alternative devono puntare al miglioramento della qualità della vita delle persone che accolgono e avere come riferimento quello che dice la Convenzione ONU e in particolare un impianto dell’intervento che tenga conto dei bisogni bio-psico-sociali delle persone. Parliamo di case non di strutture, e l’intervento non è di tipo sanitario ma deve promuovere il miglioramento della qualità della vita e l’inclusione sociale delle persone attraverso un approccio che riguardi insieme la dimensione bio-psico-sociale.


Lei ha appena accennato al modello bio-psico-sociale. Secondo ANFFAS che caratteristiche devono avere i servizi per il “durante e dopo di noi”?

Noi come ANFFAS abbiamo messo in campo strumenti specifici che stiamo cercando di diffondere e sperimentare per promuovere il benessere e la qualità della vita della persona.
Attraverso gli interventi che attuiamo nella rete dei servizi ANFFAS e nelle strutture alternative da noi promosse stiamo sperimentando grazie all’impegno scientifico e di ricerca del Prof. Luigi Croce, l’utilizzo di un modello di intervento chiamato “Matrici Ecologiche per la Qualità della Vita” in cui sostanzialmente cerchiamo di valutare e misurare quanto gli interventi che poniamo in essere incidano effettivamente sul benessere delle persone migliorandone i livelli di qualità della vita così come codificati dalla ricerca scientifica in ambito internazionale. Il modello di qualità della vita prevede degli interventi basati su azioni di sostegno che vadano a migliorare gli esiti e le condizioni di benessere della persona in corrispondenza di otto domini ritenuti determinanti per garantire il benessere per tutte le persone (non solo delle persone con disabilità).

Oggi sostanzialmente si valuta la qualità di un servizio ponendo l’accento sui processi di presa in carico e sul modo con cui l’intervento viene svolto. Ci viene chiesto di valutare la qualità e la bontà dei nostri interventi attraverso il rispetto di tutta una serie di procedure ma non ci viene chiesto nulla in termini di esiti degli interventi di sostegno all’interno della rete dei servizi e degli interventi innovativi per dire se una persona sta meglio, peggio o come prima.

Il modello della qualità della vita prevede tra i suoi elementi portanti anche la valutazione delle aspettative e dei bisogni della persona espressi direttamente dalla persona. Questo obiettivo di valutare la rappresentazione della propria condizione di vita anche da parte della persona con disabilità che necessita intensi livelli di sostegno è importante perché ha a che fare con l’autodeterminazione. Noi siamo abituati a oggettivare e a dire tutto di che cosa è e cosa deve essere la persona ma non siamo abituati, in particolare con le persone con disabilità, specie disabilità importanti, ad ascoltare la rappresentazione soggettiva della propria condizione di vita. Questo all’interno del circuito ANFFAS è fondamentale in quanto pone la questione dei sostegni al servizio della promozione del benessere esistenziale delle persone. Per questo motivo ci sembra essenziale che nell’attuazione delle misure che sosterranno il Dopo di noi si valutino gli esiti degli interventi così come attualmente sperimentato all’interno della rete ANFFAS attraverso lo strumento delle “Matrici Ecologiche per la Qualità della Vita”.


Può specificare cosa s’intende con modello della “Qualità della Vita”?

La “Qualità della Vita” è un modello di riferimento a livello internazionale supportato da studi trasversali su tutta la popolazione e basato su processi di codificazione che individuano i principali domini della qualità della vita e precisi strumenti di valutazione dell’esito dei sostegni a supporto della vita della persona. La ricerca realizzata da ANFFAS su tutto il territorio nazionale ha preso in considerazione uno tra i campioni più significativi negli studi sulla disabilità intellettiva, composto da oltre 1.500 casi ed ha valutato l’efficacia dello strumento delle Matrici Ecologiche con risultati sorprendenti e promettenti.

Il primo di questi risultati è che spesso il punto di vista delle famiglie e gli obiettivi di sostegno da essa prefigurati non spostano considerevolmente i livelli di qualità della vita dei figli. Probabilmente i familiari di una persona con bisogni elevati di sostegno tendono a prefigurarsi sostegni troppo protettivi. Allo stesso modo, all’interno dei servizi per la disabilità buona parte degli interventi che vengono proposti non sono in grado di favorire una crescita della qualità della vita. Al contrario azioni di sostegno meno standardizzate, meno codificate e che coinvolgono non solo il servizio ma anche l’ambiente sociale e la comunità e che hanno a che fare con la partecipazione da parte di persone con disabilità a quello che fanno tutti (come il tempo libero) favoriscono un significativo spostamento verso il miglioramento della qualità della vita.


Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sta lavorando anche sui progetti di “vita indipendente”. Ci sono connessioni con il “durante e dopo di noi”?


Noi, come ANFFAS, ci spingiamo un pochino oltre e diciamo che il “dopo di noi” e la “vita indipendente” non possono essere rappresentati come due problemi distinti ma devono viaggiare insieme. Dire che bisogna intervenire quando i genitori sono ancora in vita, nel “durante noi”, prima che arrivi il momento in cui non ce la fanno più significa riconoscere quello che dice la Convenzione ONU; che il dopo di noi nasce attraverso la promozione della vita indipendente delle persone con disabilità, mettendo le persone in condizione di scegliere dove vivere e con chi vivere senza confinarle all’interno di strutture speciali.

A livello legislativo, sul tema della “vita indipendente” per tutte le persone con disabilità c’è ancora molto lavoro da fare. Ci sono bandi e linee guida che provano a recepire la Convenzione ONU ma noi riteniamo che scontino qualche timidezza nel superare il ruolo ed il concetto di servizio in senso stretto.


In che senso scontano ancora qualche timidezza?

Che cos’è il servizio nella logica della “vita indipendente”? Il servizio non sono le mura, non è la struttura, è tutto quel sistema di relazioni che riesce a sostenere la persona nel proprio percorso di vita. Al contrario siamo ancora troppo orientati a concepire azioni di sostegno che s’identificano nel concepire come servizio un luogo. La vita indipendente si sostiene attraverso la costruzione di un sistema di relazioni tra le persone, le famiglie, nei contesti di vita, costruendo percorsi occupazionali, di lavoro, di vita, tempo libero. Il sostegno alla vita indipendente invece che configurarsi come un servizio al quale accedere deve configurarsi come una vera e propria azione di rete che migliora la capacità del contesto di vita di accogliere le persone e farle sentire cittadini a tutto tondo, aiutando la comunità a riorganizzarsi e non tanto aiutando la persona a star dentro le logiche della comunità che il più delle volte sono logiche esclusive. L’inserimento in una struttura speciale garantisce sollievo alle famiglie, una risposta da parte della comunità, ma ha anche un alto livello di “tossicità” in quanto limita la partecipazione alla cittadinanza.


Ci si orienta così verso il lavoro di comunità…

L’approccio deve essere comunitario: cambiare la comunità per renderla capace di essere a misura di tutti. Ancora oggi anche nei progetti di legge cadiamo in interventi che hanno al centro la persona, che vedono la disabilità come una caratteristica che connota la persona, ma la disabilità, ormai è appurato, non è connotabile con le caratteristiche di una persona ma è la relazione che intercorre tra una persona con le sue caratteristiche e l’ambiente in cui vive e si contrasta abbattendo le barriere che impediscono a questa persona di partecipare alla vita sociale della comunità.


Se cambia la logica di fondo delle politiche e dei servizi per la disabilità cambia anche il ruolo delle professioni sociali…

Nel progetto sperimentale “A Casa Mia” qui a Mortara abbiamo visto che l’educatore che oggi lavora nei servizi e che sostanzialmente si occupa di costruire progetti individuali, progetti di vita che comprendano azioni a sostegno della persona e della famiglia dovrà sempre più diventare un progettista a trecentosessanta gradi che riprogetta non solo la vita delle persone e delle famiglie ma quella del contesto sociale e ambientale in cui esse vivono.

Faccio alcuni esempi concreti. Per la prossima convivenza che verrà attivata noi stiamo facendo una analisi della qualità del tessuto abitativo all’interno del quartiere dove questo appartamento è collocato; questo impone all’educatore di diventare anche un mediatore con l’ambiente esterno al servizio, un mediatore della comunità, un mediatore culturale, ma anche un gestore di tutte le situazioni familiari, ambientali, contestuali. Deve sapere agire non solo sul singolo caso ma sul contesto di vita della persona come un operatore di comunità a partire dalla tutela e dalla promozione dei diritti delle persone e dei loro familiari valorizzando il protagonismo e l’autodeterminazione delle persone. Tutto questo è centrale nella scelta della casa, delle persone con cui vivere o per le modifiche e gli adattamenti successivi dell’abitazione…

Occorre ri-configurare il ruolo dell’educatore e dell’operatore sociale come accompagnatore nei processi di scelta e di autodeterminazione. Ed anche rispetto a questa tema ANFFAS ha messo in campo specifici strumenti come l’adozione del linguaggio Easy to Read che sta promuovendo concrete possibilità di scelta e di maggior autodeterminazione da parte delle persone con disabilità intellettiva. In ANFFAS siamo consapevoli che si tratta di una trasformazione radicale ed epocale non solo della visione e della missione del nostro impegno ma anche del ruolo di molte professioni sociali.


Secondo lei l’attuale formazione degli educatori è idonea a questo passaggio?

Le do un parere personale, lavoro da tanti anni in questo settore, ho visto la trasformazione del profilo professionale degli educatori e in genere degli operatori sociali. Credo che rispetto agli educatori che si formavano trent’anni fa nelle scuole per operatori sociali, mi sembra che gli educatori che oggi si formano in università abbiano sicuramente delle basi teorico-culturali più raffinate e complete ma hanno anche un po’ più difficoltà rispetto al cuore della loro professionalità che è costituito dalla capacità di apprendere dall’esperienza, l’elemento qualificante del fare educativo.


Come l’approccio di don Milani e Paulo Freire…

Magari non così militante ma anche oggi la questione dei diritti è fondamentale; non devi solo conoscere i diritti ma devi appassionarti per promuoverli e inventarti soluzioni alternative e nuove all’interno di un sistema dei servizi che appare cristallizzato. Un po’ di militanza e di buona capacità di advocacy è essenziale nelle professioni sociali.


Questa trasformazione sta avvenendo anche nelle altre professioni sociali?

Questo tipo di trasformazione dei sostegni e dei servizi in un’ottica un po’ più comunitaria dal mio punto di vista valorizza tutte le professioni e amplifica il mandato di tutte le professioni sociali restituendo loro un po’ di vita. Non possiamo pensare all’operatore sociale come al gestore di una serie di apparati burocratici, o allo psicologo come un professionista che esaurisce tutta la sua attività all’interno di un approccio clinico e strutturato: dobbiamo pensarli anche come operatori di comunità. Parlare di “Dopo di noi” e “vita indipendente” significa per tutte le professioni sociali riqualificarsi per promuovere la vita e la partecipazione all’interno dei contesti sociali. Deistituzionalizzazione significa anche questo: riconoscere che nelle forme e nei servizi che abbiamo messo in atto, forse abbiamo un po’ sovra-strutturato e adesso bisogna avere la forza di destrutturare ripartendo dai percorsi e dai progetti di vita delle persone.

L’intervista con Marco Bollani, direttore della Cooperativa sociale Come Noi di Mortara (Pavia), è stata rilasciata il 14 aprile 2016.