In Italia la disponibilità di posti negli asili nido, specialmente in alcune aree del Paese, resta molto lontana dagli obiettivi di copertura fissati dall’Unione Europea. Nonostante il gap coi livelli minimi individuati da Bruxelles negli ultimi anni si sia progressivamente ristretto, quello dell’asilo nido – e più in generale dei servizi all’infanzia – resta un problema centrale nella vita quotidiana di molti genitori italiani.

Quando infatti, troppo spesso, l’offerta pubblica non è in grado di rispondere alle loro esigenze di conciliazione tra vita e lavoro, la soluzione viene ricercata nel settore privato. Ma anche in questo caso non è sempre possibile allineare questioni importanti, come necessità logistiche, aspettative pedagogiche e disponibilità economiche.

Per rispondere a questa esigenza vi raccontiamo un progetto sperimentale di welfare aziendale attraverso cui le imprese, invece di investire in asili nido aziendali, guardano all’offerta già presente localmente per rispondere alle crescenti esigenze di lavoratori e lavoratrici. Ma andiamo con ordine.

Asili nido: la situazione dell’Italia

Come spiegavamo meglio qui, i posti negli asili nido italiani restano lontani dagli obiettivi fissati dall’Unione Europea. A Barcellona, nel lontano 2002, l’UE stabilì che entro il 2010 nei singoli Paesi membri almeno il 33% dei bambini e delle bambine di età inferiore ai 3 anni dovesse avere un posto in un asilo nido. Ad oggi il dato medio nel nostro Paese risulta però ben al di sotto di quella soglia. E la situazione si fa più complessa guardando ai singoli territori.

A fronte di una media nazionale del 27% di copertura, infatti, permangono forti disparità territoriali tra Centro (36,1%), Nord Est (35%), Nord Ovest (30,8%), Isole (15,9%) e Sud (15,2%). Se guardiamo alle singole regioni, Umbria, Emilia-Romagna, Valle d’Aosta, Toscana, Lazio e Friuli-Venezia Giulia hanno superato l’obiettivo del 33%. Tra le regioni del Mezzogiorno, invece, solo la Sardegna supera la media nazionale, raggiungendo una percentuale di poco inferiore al 31%. Ci sono poi differenze che riguardano i comuni, poiché i servizi tendono ancora oggi a essere maggiormente presenti e concentrati nei centri urbani, mentre nelle aree interne l’offerta rimane debole e dispersa (ne parlavamo bene qui).

Figura 1. Numero di posti disponibili in asili nido e servizi prima infanzia per 100 residenti tra 0-2 anni (2013-2020). Fonte: Openpolis, 2023

La cosa dovrebbe già di per sé destare preoccupazione, se non fosse che da qualche tempo l’obiettivo di copertura si è fatto ancora più ambizioso. Il Consiglio dell’Unione Europea con la Raccomandazione 14785/2022, ha infatti fissato una nuova soglia: il 45% entro il 2030. Un target che, come spiega la stessa UE, non è solo quantitativo, ma prevede che quella quota sia composta da servizi educativi di alta qualità. Solo così l’investimento in cura dell’infanzia può incidere davvero sulla vita delle persone.

L’occasione per avviare un percorso che andasse in questa direzione pareva essere stata colta dal nostro Paese, finalmente, grazie al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che nella versione approvata dalla Commissione prevedeva lo stanziamento di 2,4 miliardi di euro per creare 265.000 posti nei nidi. Mancanza di partecipazione da parte dei Comuni, difficoltà burocratiche e vari ritardi hanno tuttavia reso accidentato questo percorso, che si è nei fatti impantanato con la revisione del PNRR, la quale ha tagliato l’obiettivo di oltre 100.000 posti.

Il Governo ha promesso di trovare altre risorse per sopperire a questi tagli e raggiungere la soglia del 33% entro il 2026. La questione dei posti nei nidi, tuttavia, chiede risposte oggi e non nel 2026.

Una nuova soluzione per accedere ai nidi

È in questo contesto che Jointly, Frasi e Becoming Education hanno iniziato a sviluppare il progetto “Nido diffuso“.

L’idea, in breve, è di creare un sistema di asilo “di prossimità” e “diffuso” in cui le aziende mettano a disposizione dei collaboratori con figli da 0 a 3 anni una selezione di strutture private per l’infanzia presenti sui territori in cui risiedono, al fine di aiutare i genitori a scegliere quella più adatta alle proprie esigenze. In questo modo, da un lato, il nido diffuso mira a ridurre le difficoltà legate alla disponibilità di posti negli asili e, dall’altro, ad andare oltre l’idea dell’asilo nido aziendale, spesso portato come il massimo obiettivo raggiungibile per le imprese che investono in welfare, ma i cui risultati non sempre sono commisurati alle attese (e alle spese).

In un mondo del lavoro sempre più ibrido, dove la presenza in ufficio non è costante e regolare, l’asilo nido aziendale rischia di non rispondere più alle esigenze dei genitori che lavorano, anche perché è difficilmente replicabile nelle sedi distaccate. E se i voucher [per i servizi educativi, ndr] possono essere economicamente apprezzati, sono però onerosi per l’azienda e non risolvono i problemi logistici dei genitori, che devono organizzarsi da soli con le procedure burocratiche e le liste di attesa per l’ammissione” spiega Francesca Rizzi, co-fondatrice e CEO di Jointly. Per questo “occorre fornire soluzioni in grado di confermare quella vocazione sociale che il welfare aziendale deve avere per aiutare e facilitare i lavoratori nella gestione familiare, senza limitarsi a un mero sostegno economico“.

Nidi: un servizio chiave per il contrasto alla povertà educativa

Il nido diffuso intende dunque offrire una soluzione che aiuti i dipendenti nella selezione delle strutture, riducendo significativamente il tempo da dedicare alle pratiche amministrative ma garantendo un’offerta all’altezza delle aspettative pedagogiche dei genitori.

In pratica Jointly, con il contributo attivo di alcuni professionisti del settore, si occupa della selezione degli asili privati sulla base delle indicazioni ricevute dalle aziende clienti, permettendo ai dipendenti di godere di un diritto di precedenza rispetto all’apertura delle iscrizioni entro una finestra temporale predefinita. Inoltre, i lavoratori e le lavoratrici hanno accesso a rette a tariffe agevolate con uno sconto fino al 15%, che possono essere essere finanziate totalmente o in parte dalle stesse aziende come già previsto dalla normativa sul welfare aziendale. Un supporto che, peraltro, nell’idea dei promotori potrebbe essere potenziato dal ricorso a sostegni pubblici volti a ridurre i costi delle rette, in linea con gli incrementi delle misure di supporto previste dalla Legge di Bilancio 2024 e, più in generale, con le misure del PNRR.

Nido diffuso nasce in una cornice storico-sociale in cui il servizio del nido d’infanzia viene riconosciuto, a livello ministeriale, come tassello fondamentale per la crescita del potenziale delle bambine e dei bambini” aggiunge Cinzia D’Alessandro, head of Education di Becoming. “Il bisogno dei genitori non è solo quello di trovare un posto in un nido ‘comodo’ per le proprie esigenze organizzative ma anche quelle di offrire ai propri figli un percorso educativo di qualità sin dal nido, capace di incidere in modo evidente nella loro crescita“.

Un’ottica che Simona Tanese, CEO del Gruppo FRASI descrive come “la versione 2.0 del welfare aziendale, un modello che permette di affrontare con flessibilità le esigenze attuali dei genitori lavoratori” anche nel nuovo contesto post-pandemico in cui, di fronte alla crescente richiesta di smart working, c’è un’aspettativa sul fatto che le aziende “aiutino i dipendenti a individuare e scegliere quei servizi educativi di alta qualità disponibili sul mercato“.

Le aziende “pilota” e la sperimentazione in 4 città

Il progetto “Nido diffuso” è già stato avviato in alcune grandi realtà come Crédit Agricole Italia e Gruppo Mediobanca, mentre a breve inizierà a essere sperimentato in maniera più ampia anche a livello territoriale in 4 aree: Milano, Monza Brianza, Roma e Torino. In questa città lo sviluppo della rete di offerta dei nidi avverrà in maniera progressiva, con l’obiettivo di garantire una presenza nei territori identificati come prioritari dai clienti.

Giampiero Bottero, Responsabile della Direzione Risorse Umane di Crédit Agricole Italia ha spiegato che il nido diffuso “si inserisce all’interno del percorso che abbiamo avviato da tempo a supporto alla genitorialitàcome “l’estensione a 28 giorni del congedo parentale retribuito al 100% per i padri e il riconoscimento a ciascun genitore di figli di età compresa tra uno e tre anni, di un contributo annuale di 1.000 euro per la copertura delle spese sostenute per le rette degli asili nido. Questo progetto rappresenta un’ulteriore tappa del nostro viaggio in ottica di miglioramento continuo e di sostegno ai dipendenti e alle loro famiglie”.

Asili nido e servizi educativi 0-6: non restiamo indietro

Sulla stessa linea Olimpia Di Venuta, Group Diversity & Inclusion Manager di Gruppo Mediobanca, che ha invece spiegato come “una migliore accessibilità dei servizi educativi per la prima infanzia può agevolare la conciliazione tra la vita lavorativa e quella familiare per tutti i nostri colleghi e le nostre colleghe in favore dei quali promuoviamo iniziative concrete per sostenere il talento e il percorso di crescita“.

Quello del nido diffuso, sempre secondo Rizzi di Jointly, rappresenta dunque l’opportunità di rispondere a una nuova percezione del welfare aziendale (ne abbiamo parlato qui) sia da parte delle aziende che dei lavoratori, sempre più attenti a quei servizi che riguardano famiglia, smart working e flessibilità. Ma anche a dinamiche ben più ampie, che vanno ben oltre le singole organizzazioni: “iniziative come questa possano rappresentare un impegno concreto anche per contribuire a invertire la rotta demografica del Paese e i prevedibili effetti, in termini di sostenibilità, per un welfare pubblico le cui risorse sono sempre più limitate”. 

I rischi e le opportunità di cui tenere conto

La sperimentazione proposta da Jointly e i suoi partner con l’asilo nido “diffuso” è sicuramente un’opportunità per tante organizzazioni che investono nel welfare e, di rimando, per i loro collaboratori.

In primo luogo, appare un valido collegamento tra il welfare aziendale e quello territoriale. La proposta si basa infatti sulla collaborazione tra l’impresa e i servizi per l’infanzia che si sviluppano sul territorio, con l’intento di renderli maggiormente fruibili e accessibili e, al contempo, semplificando le pratiche e le procedure burocratiche per accedervi.

In secondo luogo, la proposta dell’asilo nido “di prossimità” cerca di andare oltre l’idea di asilo nido aziendale e interaziendale. Come detto, queste possibilità sono spesso state presentate come casi di eccellenza a cui può ambire un piano di welfare; in alcuni casi sono considerate quasi un punto di arrivo. Ma se è vero che nel nostro Paese non mancano asili aziendali che esistono ormai da molti anni, ci sono anche tanti casi di asili nido promossi dalle imprese che – anche dopo poco tempo – hanno dovuto chiudere e si sono rivelati dei “buchi nell’acqua” 1. Le ragioni di questi fallimenti sono svariati: mancato ascolto dei lavoratori/trici e dei loro bisogni, cambiamenti generazionali in azienda, localizzazione della struttura in posizioni logisticamente scomode per i dipendenti, mancata comprensione del ruolo della rete familiare e informale nella cura dei figli in età prescolare. In questo senso, l’asilo “diffuso” è sicuramente una soluzione meno complessa e rischiosa e più economica.

Welfare aziendale e welfare territoriale: legami e opportunità

Al contempo bisogna però tener conto di alcuni rischi che non vanno sottovalutati.

La modalità con cui è sviluppata questa proposta potrebbe infatti a un allargamento del gap tra gli insider del welfare aziendale, cioè coloro che, grazie ai benefit offerti dalle proprie imprese, hanno maggiori opportunità di accedere a servizi sociali di qualità, e gli outsider, ovvero coloro che sono privi di queste opportunità. Ad esempio, senza accordi adeguati e trasparenti, vi è il rischio di “riservare” i posti degli asili nido (privati) ai dipendenti di alcune aziende, riducendo così le possibilità di accesso ad altri genitori del medesimo territorio. Visti anche i dati presentati all’inizio dell’articolo si tratta una criticità importante su cui riflettere.

E ancora, occorre riflettere sulla possibilità che un siffatto servizio sia accessibile non solo a grandi realtà aziendale, ma anche alle “piccole” che, come sappiano, spesso non dispongono di risorse adeguate per investire in welfare e, soprattutto, in forme di welfare aziendale “evolute” come sembra essere il nido diffuso. Come spesso vi ricordiamo – ad esempio nel Sesto Rapporto sul secondo welfare – oggi le prestazioni di welfare sono, in larga parte, appannaggio delle medie e grandi imprese che hanno le risorse, le competenze e la cultura per poterle implementare. Le micro e piccole imprese hanno meno opportunità per fare questo genere di investimenti. L’auspicio è che grazie allo sviluppo di vera logica di rete, l’asilo nido “di prossimità” possa essere accessibile anche dalle piccole realtà produttive, che rappresentano la maggioranza del tessuto produttivo italiano.

La sperimentazione in partenza ci dirà se e come sarà possibile evitare che si verifichino queste situazioni.

 

Note

  1. Alcuni esempi sono l’asilo nido di Stellantis a Torino, quello di Ausl Rimini oppure l’asilo nido interaziendale della Vallesina “Biricoccole”
Foto di copertina: Generata con DALL·E di OpenAI su prompt di Secondo Welfare