I fatti di cronaca degli ultimi giorni, in particolare l’omicidio di Giulia Cecchettin, hanno riportato con forza al centro del dibattito la violenza maschile contro le donne. È un tema che in questo periodo dell’anno, da oltre un ventennio, è affrontato con crescente consapevolezza in occasione del 25 novembre, in cui ricorre appunto la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

Istituita dalle Nazioni Unite con la Risoluzione n. 54/134 del 1999, è un momento importante per stimolare il dibattito pubblico intorno a fenomeni che restano radicati nella nostra società. In questo contributo proviamo a capire qualcosa in più sul 25 novembre: com’è nata questa Giornata, in che modo tocca le nostre vite e perché ancora oggi abbiamo bisogno di questa ricorrenza, 24 anni dopo la sua istituzione.

Perché proprio il 25 novembre?

La data per ricordare questo fenomeno a livello internazionale è stata scelta in memoria di Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, tre sorelle della Repubblica dominicana vittime di violenza. Il 25 novembre 1960, mentre andavano a fare visita ai loro mariti – detenuti perché si opponevano al regime trujillista -, vennero rapite da agenti del servizio di informazione per poi essere stuprate, torturate, uccise. Gli agenti abbandonarono i corpi delle tre donne in un precipizio a bordo della loro auto, simulando un incidente stradale. Una volta scoperto l’accaduto, dopo la fine del regime, in occasione del primo incontro femminista latinoamericano e caraibico tenutosi nel 1981 a Bogotà, venne scelta questa data come ricorrenza contro la violenza maschile verso le donne.

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che aveva già approvato nel 1979 la Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW), negli anni ultimi decenni ha lavorato per sottolineare e far riconoscere internazionalmente il legame fra genere e violenza. A tal fine, nel 1993 è stata emanata la Dichiarazione sull’Eliminazione della Violenza contro le Donne. Secondo l’Articolo 1, si considera violenza contro le donne:

«Qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata».

Nella stessa dichiarazione si riconosce la matrice storica, sociale e culturale della violenza di genere:

«Il femminicidio è la manifestazione di una disparità storica nei rapporti di forza tra uomo e donna che ha portato al dominio dell’uomo sulle donne e alla discriminazione contro di loro, e ha impedito un vero progresso nella condizione della donna».

Nel 1999, come detto, con la Risoluzione n. 54/134, l’Assemblea Generale dell’ONU istituì il 25 novembre come Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ufficializzando la data già scelta quasi 20 anni prima, e riconoscendone così l’importante valore simbolico di questa ricorrenza.

L’importanza di termini e parole

Nel dibattito pubblico sentiamo spesso parlare di “violenza di genere“. Con questo termine si fa riferimento a un fenomeno ampio dato che sotto questa etichetta rientrano “tutte le forme di maltrattamento fondate sull’odio di genere e sulla discriminazione sessista, come per esempio quelle compiute nei confronti di persone LGBT e motivate da omofobia e transfobia“, ci spiega la psicologa clinica Maria Luisa Bonura.

Il 25 novembre è un giorno in cui si affronta un fenomeno più specifico, ovvero la violenza che colpisce le donne in quanto donne. Il tema della giornata, inoltre, fa riferimento al genere delle persone che perpetrano questi atti, cioè gli uomini. Non si parla quindi “solo” di violenza contro le donne, ma della violenza maschile contro le donne.

Capire questo permette di capire anche alcune questioni più dettagliate, come la scelta di non parlare di “omicidio” ma di usare un’altra parola: “femminicidio“. Una parola specifica perché, come sottolineava la scrittrice Michela Murgia, “femminicidio non indica il sesso della morta. Indica il motivo per cui è stata uccisa. Una donna uccisa durante una rapina non è un femminicidio“.

La situazione dell’Italia

Non si tratta, però, solo di parole. Con l’evolversi e il diffondersi della consapevolezza intorno a questi temi negli ultimi anni i sistemi legislativi di vari Paesi, anche sulla spinta di organizzazioni internazionali, hanno via via modificato norme, definizioni di reati e pene ad essi correlati, fissando diritti e nuove misure di protezione per le vittime di violenza. In Italiacome racconta Pagella Politica, dal 2013 ad oggi governi e Parlamento hanno approvato in media quasi un provvedimento all’anno per contrastare la violenza sulle donne. In quanto Paese membro dell’ONU, l’Italia ha cominciato questo percorso ratificando la Convenzione di Istanbul con il decreto legge 93/2013, comunemente noto come “legge sul femminicidio”.

Da quel momento e nei dieci anni successivi, sono state adottate varie iniziative in tal senso quali piani di prevenzione, disegni di Legge e Decreti Legge, e le Commissioni d’inchiesta sui femminicidi. Il più noto è probabilmente il cosiddetto codice rosso, che ha rafforzato le tutele processuali delle vittime di reati violenti, con particolare riferimento ai reati di violenza sessuale e domestica.

Si tratta di passi avanti importanti, ma molto resta ancora da fare visti i numeri attuali della violenza contro le donne nel nostro Paese. Come abbiamo ricordato in più occasioni (ad esempio qui e qui), questo fenomeno si manifesta in moltissime forme diverse come, ad esempio, la violenza psicologica, economica, verbale, minacce e stalking. Pur rappresentando la punta dell’iceberg di un fenomeno, come detto, molto più ampio e complesso, i dati sui femmicidi aiutano a capire la gravità della questione.

Secondo il Servizio analisi criminale della direzione centrale della polizia criminale, negli ultimi quattro anni, il numero di omicidi commessi in Italia con vittime di sesso femminile ha sempre superato le 100 unità. Da qui dobbiamo partire, per provare a estrapolare il dato sui femminicidi.

I dati pubblici ufficiali aggiornati al 12 novembre 2023 registrano 102 donne vittime di omicidio (già salite a 104 negli ultimi giorni). Le cause della morte sono differenti - seppur trattandosi di omicidi volontari.

Di queste, però, sono 82 le donne vittime in ambito familiare o affettivo, il che permette di presumere che si tratti di femminicidio. Inoltre, è da sottolineare come la larga parte delle vittime di femminicidio sia stata uccisa per mano di un partner o ex partner (53 casi su 82).

Le risorse sono ancora insufficienti

Questa settimana, sulla spinta emotiva suscitata dal femminicidio di Giulia Cecchettin, il Senato ha approvato all'unanimità una nuova legge sul contrato alla violenza sulle donne promossa nei mesi scorsi dalla Ministra per la Famiglia Eugenia Roccella, che dovrebbe rafforzare le misure già in essere e favorire la prevenzione dei fenomeni più gravi. In particolare è prevista una maggiore severità, con l'inasprimento delle misure cautelari, verso i cosiddetti "reati spia", cioè quelli che sono indicatori di violenza di genere (percosse, lesioni, minacce, atti persecutori, etc.).

Per vedere gli effetti del nuovo provvedimento occorrerà tempo. Quello che invece è già evidente è il fatto che, come riporta l'indagine "Prevenzione sottocosto" di ActionAid Italia, il Governo Meloni ha tagliato i fondi per la prevenzione e il contrasto alla violenza di genere. Dai 17 milioni stanziati nel 2022 dal Governo Draghi si è passati a 5 milioni, con un calo del 70%. Come ricorda Katia Scannavini, Vice Segretaria Generale di ActionAid Italia, "il tema della violenza maschile contro le donne non è mai stato e non è una priorità dell’agenda politica del nostro Paese". Il problema principale è che questo limita il piano d'azione di quello che in Italia è il sistema che realmente fa la differenza, ovvero la rete di attori attivi per contrastare il fenomeno.

Dunque più leggi che dovrebbero rendere più severe le pene per i reati di violenza contro le donne, ma meno risorse per evitare che questi accadano. Una scelta strategica che nei fatti impedisce di passare dall’intervento in emergenza a politiche integrate che prevedano forti azioni di ricerca, monitoraggio, governance e cultura. Eppure, come sottolineavamo già tre anni fa, è fondamentale diffondere una cultura attenta alla violenza contro le donne e, più nello specifico, la conoscenza e la consapevolezza della rete di servizi che già oggi può aiutare ad affrontare il fenomeno.

Lo dimostra l'aumento delle chiamate al numero antiviolenza 1522 effettuate negli ultimi giorni dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin e la rinnovata attenzione per il tema. Attenzione che dovremmo continuare a far crescere dentro, e oltre, questo 25 novembre.

 

Dove chiedere aiuto

Se sei vittima di violenze e/o stalking chiama il 1522, attivo gratuitamente 24 ore su 24. Oppure il 112, il numero unico per le emergenze. In caso di pericolo immediato o di violenza subita rivolgiti alle Forze dell’Ordine, al Pronto Soccorso o al Centro Antiviolenza più vicino a te.

 

Foto di copertina: Giulia Greppi.