Fin dall’inizio degli anni 2000, sia nel diritto dell’Unione Europea (Direttiva 2000/78/CE), così come in quello italiano (D.lgs. 216/2003), è vietata qualsiasi forma di discriminazione in materia di occupazione e di condizioni di lavoro fondata, tra le altre cose, sul genere e sull’orientamento sessuale. Eppure, in questo come in altri ambiti della vita, ancora oggi le persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+1 (da qui in avanti solo LGBT+) sono ancora discriminate.

Con l’obiettivo di fornire un quadro di riferimento sulla diffusione e sulla percezione delle diverse forme di discriminazione, minacce e aggressioni che le persone LGBT+ possono aver subito nel mondo del lavoro e in altri ambiti della vita, l’Istat, insieme all’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) ha recentemente pubblicato i risultati aggiornati dell’indagine sulle Discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT+.

Raccontare le differenze: un primo passo

Durante la prima fase della ricerca avevano fatto pare della rilevazione più di 21mila persone residenti in Italia che risultavano in unione civile o già unite civilmente. Il più recente approfondimento, invece, è stato rivolto a circa 1.200 persone omosessuali e bisessuali che al momento della rilevazione non erano in unione civile e non lo erano state neanche in passato.

Sebbene i campioni di entrambe le ricerche non possano essere considerati rappresentativi della popolazione con un orientamento sessuale non eterosessuale, queste rilevazioni rappresentano un primo passo verso il tentativo di raccogliere dati più inclusivi, capaci col tempo di rappresentare in modo più accurato le diverse esperienze di vita e di lavoro.

Il 79,6% delle persone che hanno preso parte all’indagine ha dichiarato un orientamento omosessuale: di queste, il 55,2% si sono definite gay e il 24,3% lesbiche. Il restante 20,4% delle persone rispondenti ha dichiarato un orientamento bisessuale.

In generale, le persone intervistate sono o sono state soprattutto lavoratori e lavoratrici dipendenti del settore terziario e, nonostante il profilo giovane, l’84,7% delle persone intervistate era occupata al momento dell’intervista mentre solo il 5,5% non aveva mai lavorato. Tra le principali motivazioni per cui le persone non lavoravano spiccano, nel 43,4% dei casi, lo studio o la frequenza di corsi di formazione professionale.

Una complessa partecipazione nel mondo del lavoro

La maggior parte delle famiglie di origine è a conoscenza dell’orientamento sessuale delle persone rispondenti. Inoltre, ne è a conoscenza anche buona parte dei colleghi e delle colleghe (84,3%). Eppure, nel 31,2% dei casi, le persone che hanno partecipato all’indagine riportano il verificarsi di casi di outing, ossia tutte quelle situazioni in cui una qualsiasi persona dell’ambiente lavorativo (ad esempio: collega, superiore, sottoposto, cliente, ecc.) ha rivelato a terzi l’orientamento sessuale del/della rispondente senza che questi avesse dato il suo consenso.

Probabilmente anche per il verificarsi di questi episodi, il 34,1% delle persone intervistate ritiene che il proprio orientamento sessuale sia stato un punto di svantaggio nel proprio percorso professionalein termini di riconoscimento e apprezzamento delle proprie capacità professionali”, un sentimento che è soprattutto declinato rispetto ad avanzamenti di carriera e opportunità di crescita professionale (30,8%).

 

Persone omosessuali e bisessuali, non in unione civile (attualmente o in passato), che dichiarano di essere state svantaggiate nel corso della vita lavorativa per motivi legati all’orientamento sessuale (a) per tipo di svantaggio e orientamento sessuale. Anno 2022, valori percentuali.
Persone omosessuali e bisessuali, non in unione civile (attualmente o in passato), che dichiarano di essere state svantaggiate nel corso della vita lavorativa per motivi legati all’orientamento sessuale (a) per tipo di svantaggio e orientamento sessuale. Anno 2022, valori percentuali.

 

Per evitare discriminazioni o molestie, inoltre, il 61,2% delle persone intervistate riferisce di evitare di fare riferimento alla propria vita privata e di tenere, dunque, celato il proprio orientamento sessuale. Per lo stesso motivo, una persona su tre riferisce di evitare di frequentare colleghi e colleghe o persone afferenti all’ambito lavorativo al di fuori dell’orario di lavoro.

Micro-aggressioni e discriminazione sul posto di lavoro

Con il termine micro-aggressioni si fa riferimento a “brevi interscambi quotidiani che inviano messaggi denigratori ad alcuni individui in quanto facenti parte di un gruppo, insulti sottili (verbali, non verbali, e/o visivi) diretti alle persone spesso in modo automatico o inconscio” (Sue, 2010) in grado di impattare a livello psico-fisico sullo stato di benessere di una persona.

Nello specifico, il questionario indagava le seguenti situazioni:

  • sentire battute offensive o allusive nei confronti delle persone gay, lesbiche o bisessuali, o sentire il ricorso a tali appellativi per definire una persona in modo dispregiativo;
  • chiedere informazioni sulla vita sessuale, o dare per scontata la sua disponibilità sessuale, ovvero insinuare che avesse ottenuto la posizione lavorativa in virtù del proprio orientamento sessuale;
  • deridere la persona ricorrendo all’imitazione dei suoi modi di gesticolare, parlare, vestire;
  • non invitare il/la partner della persona intervistata agli eventi sociali.

Secondo l’indagine, circa 8 persone su 10 hanno sperimentato almeno una forma di micro-aggressione in ambito lavorativo legata all’orientamento sessuale. Tra coloro che hanno dichiarato di aver vissuto almeno una micro-aggressione, più di 9 persone su 10 hanno riportato di aver sentito battute offensive o allusive. Inoltre, la maggior parte delle persone omosessuali (81,7%) e bisessuali (78,8%) hanno riportato di aver sentito utilizzare in modo dispregiativo le espressioni lesbica/gay o simili. Ancora, 9 persone su 10 hanno sperimentato più di un tipo di microaggressione, con il 65,2% di rispondenti che segnala di averne vissute due o tre.

Ma non è tutto. Oltre a questo, 1 persona omosessuale e bisessuale su 3 ha dichiarato di aver subito almeno un evento di discriminazione durante la ricerca di lavoro – una discriminazione che non è esclusivamente legata all’orientamento sessuale, ma che riguarda anche altre dimensioni intersezionali dell’identità dei/delle rispondenti, come il genere, la razza, l’aspetto estetico, l’orientamento religioso.

Lavoro da dipendenti e discriminazioni

Tra i lavoratori e le lavoratrici dipendenti le donne sono quelle che sperimentano una maggiore incidenza di comportamenti discriminatori nei loro confronti (50,5% contro il 40,6% degli uomini). In generale, tuttavia, il 44,2% di lavoratori e lavoratrici dipendenti o ex-dipendenti ha subito almeno uno degli episodi di discriminazione approfonditi dal questionario durante lo svolgimento della propria attività lavorativa.

Persone omosessuali e bisessuali, non in unione civile (attualmente o in passato), dipendenti o ex-dipendenti che dichiarano di aver vissuto almeno un evento di discriminazione nello svolgimento del lavoro dipendente in Italia (a). Anno 2022, valori percentuali.
Persone omosessuali e bisessuali, non in unione civile (attualmente o in passato), dipendenti o ex-dipendenti che dichiarano di aver vissuto almeno un evento di discriminazione nello svolgimento del lavoro dipendente in Italia (a). Anno 2022, valori percentuali.

 

Se questi sono i dati sull’attuale o sull’ultimo posto di lavoro, non sorprende che circa 1 persona intervistata su 3, occupata o ex-occupata, dichiara di aver vissuto un clima ostile o un’aggressione nel proprio ambiente di lavoro.Il fenomeno riguarda più spesso l’essere stati umiliati o presi a parolacce (44,6% di quanti hanno segnalato di aver sperimentato almeno un evento di clima ostile o aggressione) e l’essere stati calunniati, derisi o aver subito scherzi pesanti (43,5%), in misura maggiore tra la componente maschile; seguono l’aver ricevuto offese, incluse quelle di tipo sessuale (42,1%), e l’essere stati esclusi volutamente da riunioni, conversazioni, occasioni di incontro (40,7%) che invece coinvolgono maggiormente la componente femminile” (ISTAT-UNAR 2022, 10).

Riferimenti bibliografici

Sue D.W. (2010), Microaggressions in Everyday Life: Race, Gender, and Sexual Orientation.

Note

  1. La sigla LGBT si riferisce alle persone lesbiche, gay, bisessuali e trans; la sigla LGBTQIA+, affermatasi più recentemente, comprende anche le persone queer, intersessuali e asessuali. Il + alla fine della sigla esprime inoltre il desiderio di includere tutte le possibili definizioni di sé. Grazie alle rivendicazioni e alle lotte delle persone LGBTQIA+, ad evolvere insieme alla sensibilità collettiva è stato dunque anche il celebre acronimo LGBT, diventando più inclusivo nella comprensione e nel riconoscimento delle diverse identità sessuali ed espressioni di genere. Sebbene molte delle discriminazioni e delle esperienze descritte nel report di ISTAT e UNAR siano trasversali a tutte le persone LGBTQIA+, in questo articolo usiamo l’acronimo LGBT+ per presentare i dati e le riflessioni che emergono dal report, poiché queste (come si vedrà più avanti nell’articolo) sono limitate alle esperienze di persone omosessuali e bisessuali.
Foto di copertina: Delia Giandeini, Unsplash.