A Londra, i furgoncini verdi e bianchi di The Felix Project sono diventati un’icona di solidarietà. Nati nel 2016 per iniziativa di Justin Byam Shaw, in memoria del figlio Felix scomparso prematuramente, in meno di 10 anni hanno trasformato la Charity1 in uno dei principali attori contro la povertà alimentare in Europa. Oggi, The Felix Project è il più grande ente britannico per la redistribuzione del cibo a chi si trova in difficoltà: nel 2024 ha recuperato quasi 16.000 tonnellate di cibo e fornito l’equivalente di 38 milioni di pasti a oltre 1.200 organizzazioni comunitarie, con l’aiuto di più di 13.000 volontari.
Ma dietro questa crescita non c’è solo la generosità delle persone o la capacità logistica di raccogliere eccedenze dai supermercati, dalle aziende agricole e dai ristoranti. C’è anche un percorso di trasformazione digitale che ha permesso a The Felix Project di passare dall’essere una “startup” al diventare macchina organizzativa complessa e scalabile, capace di guardare a un obiettivo ambizioso: arrivare a distribuire 100 milioni di pasti l’anno.
Dall’idea di un’app a un ecosistema digitale
The Felix Project recupera alimenti in eccedenza dall’industria alimentare che non possono essere venduti e che altrimenti andrebbero sprecati, e li consegna a centinaia di banchi alimentari, enti di beneficenza, scuole elementari e altre organizzazioni senza fine di lucro nell’area di Londra. In particolare, lavora con le scuole che, grazie al sostegno di questa non profit, possono limitare i costi relativi agli alimenti oppure fornire cibo aggiuntivo agli alunni più bisognosi, soprattutto grazie ai programmi attivi durante le vacanze per garantire un pasto completo a chi a casa non se lo può permettere.
La trasformazione digitale di The Felix Project è iniziata quasi per caso. L’organizzazione aveva bisogno di una semplice applicazione mobile per semplificare i percorsi dei volontari al volante dei furgoni. “Volevamo ridurre la carta e ottimizzare le consegne”, ricorda un manager intervistato nello studio accademico Managing Digital Transformation for Social Good in Non-Profit Organizations: The Case of The Felix Project Zeroing Hunger in London, pubblicato da Cindy Li Ken Jong e Andrea Ganzaroli.
Ma quando i partner tecnologici — Accenture, Avanade e Microsoft — hanno iniziato a lavorare al progetto, si sono resi conto che i problemi erano più ampi: sistemi che non comunicavano tra loro, CRM2 obsoleti, gestione dei dati frammentata. Da lì la decisione: non una semplice app, ma un ecosistema digitale integrato, capace di gestire logistica, volontari, relazioni con donatori e beneficiari, e di generare report in tempo reale.
Il risultato si chiama RouteMe, la piattaforma che oggi guida i furgoni verdi attraverso Londra e che ha sostituito pile di fogli e file Excel con schermate intuitive e aggiornate.
Il cambiamento non è stato solo tecnico, ma soprattutto umano. Una volontaria racconta: “È fantastico poter aprire il telefono e vedere subito cosa abbiamo consegnato, cosa abbiamo raccolto e dove stiamo andando. Tutto in tempo reale”.
Un altro aggiunge con pragmatismo: “Se ottimizziamo i percorsi, invece di una consegna sola per turno possiamo farne due. E più enti raggiungiamo, più persone possiamo nutrire. È questo che conta”.
Dietro queste testimonianze c’è il cuore pulsante del Felix Project: oltre 13.000 volontari che dedicano tempo ed energie, e che ora possono contare su strumenti digitali che rendono il loro impegno più semplice ed efficace.
Leadership, agilità e co-creazione
Il paper di Cindy Li Ken Jong e Andrea Ganzaroli individua tre pilastri che hanno reso possibile la trasformazione digitale dell’organizzazione. Il primo è la leadership. Mark Curtin, a capo dell’organizzazione durante il progetto, lo ha spiegato con chiarezza: “Non si tratta di tecnologia fine a sé stessa, ma di tecnologia che ci permette di fornire cibo a più persone”.
Il secondo pilastro è l’adozione di metodologie agili. Niente lunghi documenti di requisiti o processi burocratici, ma cicli rapidi di sperimentazione e feedback continui. Come ha sottolineato un membro del team: “Era tutto molto sequenziale: discutevamo una necessità, gli sviluppatori ci lavoravano e dopo due giorni lo rivedevamo insieme. Questo ci ha fatto sentire ascoltati e coinvolti”.
La trasformazione digitale non è stata calata dall’alto. Al contrario, Felix Project ha puntato sulla co-creazione: laboratori partecipativi, i cosiddetti day in the life workshops, dove volontari e dipendenti hanno raccontato esigenze, difficoltà e routine quotidiane.
“I sistemi devono essere semplici, intuitivi, adatti a chi non ha competenze tecniche”, ha spiegato un altro membro dell’organizzazione ai ricercatori Li Ken Jong e Garzaroli.
Da qui la scelta di interfacce user-friendly e di formazione leggera, per non escludere nessuno. In un ente basato sull’impegno volontario, la tecnologia deve essere un facilitatore di inclusione, non una barriera.
Il terzo pilastro è stata la creazione di una vera e propria cultura dei dati. Le dashboard hanno sostituito i vecchi report mensili, permettendo di vedere in tempo reale quanti pasti vengono consegnati, quante tonnellate di cibo vengono salvate, quante emissioni di CO₂ vengono evitate.
“Abbiamo dato il potere del decision making basato sui dati anche ai manager di prima linea”, racconta un dirigente di The Felix Project. “Questo è stato un cambiamento culturale enorme”.
I dati hanno avuto due effetti cruciali: hanno motivato i volontari, che ora possono vedere l’impatto concreto del loro impegno, e hanno reso l’organizzazione più credibile agli occhi dei donatori. Come ha sottolineato un responsabile: “Viviamo di donazioni al 100%. Essere data-driven ci rende più trasparenti e più affidabili”.
Lezioni per il non profit (anche in Italia)
Cosa insegna l’esperienza londinese al Terzo Settore italiano? Al netto di tutte le specificità inglesi e londinesi, i ricercatori Li Ken Jong e Garzaroli sostengono nel loro paper che siano almeno tre le lezioni da trarre da questo caso.
- La leadership consapevole è essenziale: il digitale funziona se è visto come strumento per la missione, non come fine.
- I processi devono essere partecipativi: coinvolgere volontari e beneficiari riduce resistenze e aumenta l’efficacia.
- I dati sono leva di trasparenza, accountability e fiducia: non solo numeri, ma storie concrete da raccontare a donatori e comunità.
Naturalmente, non tutte le organizzazioni hanno accesso alle stesse competenze o partnership tecnologiche. Ma il messaggio è chiaro: se progettata con attenzione alle persone e ai valori che animano il non profit, la tecnologia può moltiplicare l’impatto sociale.
Il paper lo sottolinea: la trasformazione digitale nelle organizzazioni non profit è un campo ancora giovane, pieno di sfide e di incognite. Le esperienze di successo, come quella del Felix Project, non sono automaticamente replicabili ovunque, ma offrono una direzione.
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Note
- Nel contesto britannico una “Charity” è un’organizzazione di beneficenza senza scopo di lucro che opera esclusivamente per finalità di utilità sociale, come ad esempio educazione, salute o lotta alla povertà. È soggetta a registrazione e vigilanza da parte di autorità pubbliche, in primis la Charity Commission, e deve dimostrare che le proprie attività generano un beneficio concreto per la collettività, ndr.
- CMR è un acronimo inglese che sta per Customer Relationship Management (in italiano, Gestione delle Relazioni con i Clienti): è un sistema per gestire tutte le interazioni di un’organizzazione con i suoi stakeholder, come in questo caso i beneficiari, i donatori o i fornitori di The Felix Project.


