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Riceviamo e pubblichiamo volentieri una riflessione di Gian Paolo Gualaccini, consigliere CNEL e capo delegazione Terzo Settore non profit, sulle sfide che dovrà affrontare il nostro Paese per ripartire.

Alcuni dicono che è nei momenti di crisi, nelle difficoltà, che vengono fuori le idee migliori, le innovazioni più coraggiose. Certamente è proprio in questo periodo che si è resa evidente l’Italia migliore: quella fatta di tanti piccoli e grandi gesti spontanei di solidarietà. Un misto di generosità e di creatività, di orgoglio e di ingegno che è diventato capace di rispondere, nella sanità come nel welfare, a nuovi problemi, con nuove soluzioni.

Stiamo assistendo giorno dopo giorno allo spettacolo di un’ Italia fantastica, positiva e non rassegnata, dove aggregazioni di ogni tipo, non solo del terzo settore, hanno mostrato un Paese vivo, pieno di risorse, non immobile in attesa di tornare alla normalità. Un Paese che da un insieme di tanti "io" e’ diventato capace di dire "noi" Che è diventato consapevole del fatto che nessuno si salva da solo – non basta nessun governo, nessuna parte sociale, nessuna istituzione, – e che ha combattuto in difesa della salute di tutti tentando di non lasciare indietro nessuno, come invece hanno scelto di fare altri Paesi.

E tutto questo è accaduto dal basso, spontaneamente, senza l’obbligo di alcun decreto. E non solo si è risposto all’emergenza medico-sanitaria della pandemia, ma insieme alle cure si è evidenziato qualcosa di ancor più importante: tanti operatori (medici, infermieri, assistenti e volontari) hanno portato, stando vicini alla solitudine e alla sofferenza di molti, la speranza per il futuro, la certezza che l’altro può essere un bene, e che la vita ha un senso per cui il male e il dolore possono non avere l’ultima parola.

Di fatto abbiamo assistito alla rivincita dell’opera dei corpi intermedi, virtuali e reali al tempo stesso. È quello che accadde nell’Italia uscita distrutta dalla Seconda Guerra Mondiale, (conviene ricordare come nel 1943 il Pil calò del 15%, del 1944 del 19%, nel 1945 del 10%), ma che si rialzò e che negli anni ’60 visse boom economico. Da cosa e come è ripartita quell’Italia? Certamente dalle proprie tradizioni: quella cristiana, quella social-comunista e quella laico-liberale. Tradizioni che erano ancora vive e capaci di toccare i cuori e la vita della maggior parte degli italiani di allora; tradizioni diverse e per molti aspetti opposte, ma con in comune il sentimento positivo della vita e la fiducia del futuro.

Oggi per ricominciare, perchè chiudere è molto più facile che riaprire, bisogna guardare al bello dell’Italia che abbiamo visto in questo ultimo periodo: probabilmente, non sarà sufficiente ma è certamente necessario. Senza tenuta sociale, senza la coscienza che il bene comune è responsabilità di ciascuno, senza un sentimento diffuso di essere comunità, senza il "noi" che prevale sui tanti "io", il Paese non riparte. Non basteranno i vari provvedimenti economici, pur necessari, se non ci saranno soggetti vivi capaci di recepirli. Per tornare a vivere, anche in forme nuove, serve la coscienza e la mossa di ciascuno, servono persone capaci di sostenere la speranza per tutti.