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Nel corso del 2020, in relazione al flusso di migranti richiedenti protezione internazionale verso l’Italia, si è assistito, insieme alla conferma di alcune tendenze già in atto, anche ad importanti cambiamenti che ne hanno modificato origine e direzione. Indubbiamente l’elemento che ha causato e continua a generare le maggiori perturbazioni risulta essere connesso all’infezione da Covid-19, con i conseguenti provvedimenti di restrizione dei movimenti di persone e cose adottati a livello planetario, ma anche all’inasprirsi di situazioni di crisi economica e sociale, già presenti in varie aree a forte pressione migratoria.

L’andamento dei flussi e delle richieste di protezione internazionale

L’evidenza che emerge dall’analisi dei dati che il Ministero dell’Interno ha rilasciato sull’andamento degli sbarchi sulle coste italiane nel 2020 è rappresentata da un rilevante incremento dei migranti, il cui numero è triplicato rispetto all’anno precedente. Pur in presenza di una forte contrazione nei mesi di marzo ed aprile – nel pieno della pandemia – durante i quali erano sbarcati rispettivamente 241 e 671 migranti, la crescita è stata sostenuta dagli arrivi nella seconda parte dell’anno arrivando ad oltre 34.000 persone.

Una prima considerazione riferita a questo ultimo dato porta a screditare in maniera definitiva la tesi portata avanti da alcuni politici, ma non solo, che attribuisce la responsabilità degli sbarchi al così detto “pull factor”, ovvero al fattore di attrazione rappresentato dalla presenza delle ONG in mare, pronte a raccogliere e ad accompagnare in Italia i migranti, addirittura in accordo con scafisti e trafficanti di uomini. Infatti, durante tutto il 2020 le navi delle più importanti ONG che prestavano opera di soccorso nel Mediterraneo centrale sono rimaste ferme in porto volontariamente o perché poste sotto sequestro.

In secondo luogo, un approfondimento nella lettura dei numeri sugli sbarchi che tenga conto, oltre ai valori assoluti, anche di quelli relativi alla provenienza dei migranti e che integri e confronti questi ultimi con i dati riferiti alle richieste di protezione presentate, può gettare ulteriore luce sui cambiamenti dell’origine e delle traiettorie dei flussi di migranti diretti in Italia all’epoca del Covid-19.

A differenza dell’anno 2019, durante il quale le richieste di protezione erano risultate oltre 43.000, a fronte di circa 11.500 persone sbarcate, nel 2020 la proporzione si è invertita, in quanto le richieste sono diminuite a 20.500 su un numero di arrivi pari a circa 34.000. Guardando alla nazionalità dichiarata al momento dello sbarco, inoltre, emerge un sostanziale mutamento dell’origine dei migranti.

L’emigrazione dalla Tunisia

Nel 2020, i migranti originari dell’Africa Subsahariana in partenza dalle coste libiche, entrati nell’immaginario collettivo attraverso i servizi di giornali e televisioni e diventati le icone della così detta “crisi migratoria”, sono stati sostituiti da cittadini tunisini che, a piccoli gruppi e a bordo di barche da pesca, hanno attraversato il braccio di mare tra il continente africano e l’isola di Lampedusa. Le persone arrivate dalla Tunisia rappresenta oltre un terzo del totale di quelle che sono sbarcate sulle nostre coste durante l’ultimo anno.

Tuttavia, il dato che più colpisce è riferito all’incremento quasi esponenziale del loro numero nel corso del 2020, passato da una media di circa 50 arrivi nei primi quattro mesi ad oltre 4.000 nel solo luglio. Questa accelerazione potrebbe avere una spiegazione in rapporto al progressivo deterioramento della situazione economica in corso già da alcuni anni nel Paese nordafricano, ma anche all’improvviso aumento del tasso di disoccupazione giovanile, dovuto al crollo del settore turistico a seguito della pandemia. In Tunisia le entrate del turismo hanno subito un crollo del 60%, costringendo alla disoccupazione oltre 400.000 lavoratori del settore. 

Coloro che hanno tentato di raggiungere le coste italiane sono in genere giovani, in gran parte in possesso di titoli di studio superiori, “i così detti ‘diplômés chômeurs’, che vivono quotidianamente il disagio economico e dell’emarginazione sociale, e che, non trovando impiego in nessun settore, soffrono una disperata mancanza di prospettive future e vedono nella fuga dal Paese, verso l’Italia o la Francia, l’unica soluzione”.

In riferimento all’immigrazione tunisina, un’ulteriore ed evidente singolarità emerge dal confronto tra il numero di coloro che sono sbarcati e le richieste di asilo presentate che, per i primi undici mesi dell’anno, assommano a poco più del 5%. La spiegazione di questa anomalia va ricercata nella storia degli accordi sulla riammissione dei migranti stipulati negli ultimi trenta anni tra il governo tunisino e quello italiano. I primi sono datati al 1998, ma è a partire dal 2011, a seguito dell’esodo verso Lampedusa di oltre 38.000 giovani a seguito alla Rivoluzione dei garofani, che la riammissione dei cittadini tunisini è stata regolata attraverso precise procedure che prevedevano il rimpatrio immediato dei migranti.

L’accordo è stato poi confermato nel 2017 e ancora nel mese di agosto 2020 durante il viaggio nel Paese africano dei Ministri degli Esteri e dell’Interno italiani, accompagnati dal Commissario Europeo per gli Affari Interni. Durante l’incontro, secondo fonti di stampa, si sarebbe previsto un sostegno economico italiano di 11 milioni di euro per il rafforzamento dei sistemi di controllo delle frontiere e l’addestramento delle forze di sicurezza finalizzato a prevenire la partenza dei migranti e l’intercettazione delle loro imbarcazioni nelle acque territoriali tunisine, insieme a più efficaci forme di riammissione dei cittadini tunisini sbarcati in Italia: il tutto sostenuto da aiuti economici al Paese nord africano.

Appare del tutto evidente che un accordo di questo tipo disattenda le principali convenzioni internazionali sul diritto di asilo a cui l’Italia ha aderito. Infatti, a seguito delle informazioni di stampa e alle testimonianze di migranti a cui non sarebbe stato consentito, da parte delle autorità italiane, di presentare domanda di protezione internazionale, ASGI (Associazione di studi giuridici sull’immigrazione) e due organizzazioni tunisine che si occupano di diritti, FTDES e ASF, hanno presentato richieste di accesso ai dossier tra i governi italiano e tunisino dopo la mancata pubblicazione circa il contenuto dell’accordo raggiunto il 17 agosto 2020. Lo scorso 7 dicembre le tre organizzazioni rendevano pubbliche le risposte dei Governi, che comunque non chiarivano i termini dell’accordo.

La storia dei giovani “harraga”

Una serie di servizi realizzati dal giornale on line tunisino Inkyfada.com ha provato a chiarire i motivi che spingono tanti tunisini a lasciare il loro Paese e descrive, attraverso testimonianze degli stessi protagonisti, i percorsi seguiti dai così detti “harraga” – parola araba che sta a significare “coloro che bruciano – ovvero dai giovani che tentano di raggiungere l’Europa “bruciando” la frontiera clandestinamente e che, in modo concreto, bruciano i propri documenti per non essere identificati e rimpatriati.

Le storie raccolte parlano di giovani che, nonostante i respingimenti, hanno raggiunto più volte Lampedusa o le coste siciliane. Uno di loro, Ahmed, espulso ad agosto 2020 ma pronto a ritentare la traversata, ripercorre le tappe del suo viaggio in Italia, dopo lo sbarco. “Al momento della quarantena i tunisini erano separati dagli altri: abbiamo viaggiato per ventisei ore in autobus, dalla Sicilia al nord Italia, per essere rinchiusi in un centro di accoglienza vicino a Torino, nessuno ci ha spiegato cosa sarebbe successo dopo. Abbiamo firmato diversi documenti, ma non abbiamo avuto scelta. Non sapevo di cosa si trattasse”. 

Come spiega nello stesso articolo l’assistente legale dell’ASGI Sami Aidoudi, al termine della quarantena, ai tunisini viene chiesto di firmare la decisione di allontanamento che li porterà al rimpatrio e chiarisce che “dall’arrivo alla partenza, i migranti tunisini non conoscono la loro situazione né i loro diritti. Tutto viene fatto nell’opacità, con l’obiettivo di spingerli verso il rimpatrio. Quando un migrante fa domanda di protezione internazionale, spesso non riceve alcun documento che dimostri che sia stato effettivamente preso in considerazione. Può così finire in un CPR (Centri di Permanenza per Rimpatrio, ndr) ed essere espulso”. Dato il numero elevato di persone da rimpatriare, alcuni di loro ricevono invece un avviso di espulsione con l’obbligo di lasciare il territorio italiano in modo autonomo, quest’ultimo “il lasciapassare“, come lo chiama Ahmed nell’intervista, pur condannando a una vita precaria e in situazione di irregolarità, rappresenta l’unico modo per rimanere in Europa.

A oltre 13.500 cittadini tunisini non è stata data la possibilità di presentare domanda di protezione internazionale e in breve tempo sono stati rimpatriati o hanno ricevuto l’ingiunzione a lasciare l’Italia.

L’impatto sul sistema di accoglienza

In conclusione, l’allarme diffuso dalla propaganda di alcune parti politiche su una presunta nuova ondata di migranti illegali che andrebbe a sommarsi ai problemi creati dal Covid-19, si rivela ancora una volta strumentale. Se non può essere negato il notevole incremento in valore assoluto dei migranti sbarcati nel 2020, bisogna anche dire che ad esso non ha corrisposto un aumento di coloro che hanno fatto richiesta di protezione internazionale. Anzi il loro numero si è praticamente dimezzato.

Il dato che rappresenta indubbiamente la misura dell’impatto che la presenza dei migranti può significare per il sistema di accoglienza è quello del numero di persone ospitate nei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) e nei centri SIPROIMI che, secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno, è passato da 91.424 nel mese di gennaio 2020 a 79.938 alla fine dell’anno, con un decremento di 11.486 persone.

Tuttavia, come mostrano i dati, l’impatto più grave che la politica dei respingimenti sta avendo è senza dubbio su coloro che si vedono respinti senza possibilità di appello e che, come i giovani tunisini protagonisti dell’inchiesta di Inkifada, pur di rimanere in Italia, sono costretti a vivere degli espedienti che consente una vita ai margini della legalità.

Per approfondire                                                                                                                                               

Cristina Baroni, La harga: migrazione clandestina tunisina in Italia, cause e caratteristiche, Sapienza Università di Roma, Facoltà di Lettere e Filosofia, Dipartimento di Istituto Italiano di Studi Orientali – ISO, Corso di laurea in Lingue e Civiltà Orientali, 2019 Tesi non pubblicata.

Foto di copertina: vicxmendoza via Pixabay