5 ' di lettura
Salva pagina in PDF

Nel corso dell’ultimo decennio, le politiche di austerità hanno indotto diversi enti locali a modificare la propria struttura organizzativa e amministrativa per far fronte ai limiti posti alle assunzioni e alla spesa per il personale. Nello specifico, per garantire i servizi di welfare in ambito educativo e socio-assistenziale, i Comuni hanno dovuto intensificare i processi di affidamento delle gestioni dirette di tali servizi non solo a soggetti di natura privata (di solito non profit), ma anche ad organismi ed enti controllati dagli enti locali, come istituzioni, aziende speciali e fondazioni. Il libro “Servizi di welfare e Comuni. Nuove politiche e trasformazioni organizzative” (Carocci editore) esplora questa nuova pratica di gestione del welfare locale, la trasformazione dei servizi di cura e del lavoro in essi praticato, che assume un’importanza cruciale in questi servizi. Di questo fenomeno abbiamo parlato con l’autore Stefano Neri, Professore associato di Sociologia Economica e docente titolare dei corsi di Sociologia dell’organizzazione, Ricerca sociale e Sociologia delle Professioni e Sistemi di Welfare Comparati presso l’Università degli Studi di Milano.

Cosa l’ha spinta a studiare questa realtà organizzativa?

Nel decennio che ha preceduto lo scoppio della pandemia i tagli nelle risorse finanziarie e i forti limiti posti al turnover del personale hanno creato serie difficoltà a molti Comuni per garantire la gestione diretta dei servizi, soprattutto nel Nord e Centro Italia dove gli enti locali forniscono una più ampia gamma e quota di servizi. Oltre ad un maggiore ricorso alle esternalizzazioni a privati, in diverse situazioni questo ha determinato un trasferimento dei servizi a gestione diretta a soggetti controllati dai Comuni, ma dotati di maggiore autonomia e di una disciplina che si pone in un’area di mezzo, per molti versi incerta, tra regolazione pubblica e privata. È quest’ultimo fenomeno, quello delle forme gestionali ibride o intermedie sui cui si concentra il volume e, in particolare, la sua seconda parte, che analizza una serie di casi nell’ambito dei servizi per l’infanzia nell’Emilia-Romagna, regione con una forte tradizione comunale in questi servizi. La ricerca empirica mostra come l’affidamento dei servizi a tali soggetti ha consentito non solo di superare in parte i vincoli normativi posti alle gestioni dirette e molte delle resistenze politiche e sociali alla “privatizzazione”, ma ha anche innescato processi di rilevante trasformazione organizzativa e nel lavoro all’interno dei servizi.

Crede che i mutamenti nei rapporti lavorativi siano un ostacolo per questo specifico servizio?

Più che un ostacolo, direi che si tratta di questioni da governare con molta attenzione, per le possibili conseguenze sia sui lavoratori sia, indirettamente, sulla qualità dei servizi per l’infanzia e dei servizi di cura alla persona nel loro insieme. L’esperienza maturata in alcuni soggetti controllati dai Comuni, raccontata nel volume, evidenzia la ricerca di forme intermedie tra la regolazione pubblica e quella privata del lavoro, che mettano in grado il Comune di conseguire risparmi sul costo del lavoro salvaguardando la qualità del lavoro e del servizio, ed anche migliorandola in alcuni casi. Inoltre, queste esperienze sembrano influenzare anche le esternalizzazioni a privati, favorendo la definizione di condizioni contrattuali migliori, per i lavoratori, di quelle garantite dai “semplici” contratti di lavoro del settore privato dei servizi per l’infanzia, peraltro assai diversi tra loro.

La pandemia ha accelerato i cambiamenti in corso nei sistemi organizzativi locali?

La Pandemia ha messo chiaramente in luce, di fronte all’opinione pubblica, l’inadeguatezza dei servizi di cura alla persona nel nostro Paese, da quelli per anziani, prima di tutto, a quelli per la prima infanzia, in particolare per i bambini da 0 a 3 anni, per i quali la riforma nazionale del 2017 non è ancora riuscita a mettere in moto l’atteso processo di sviluppo e di omogeneizzazione territoriale. In questo senso, nella sua tragicità, la Pandemia ha attivato un processo di risposta da parte delle istituzioni pubbliche, a tutti i livelli, di cui, si spera, gli interventi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza possano costituire solo un primo passo.

Cosa legala figura del sociologo all’amministrazione pubblica?

Il sociologo e, in particolare, il sociologo che studia l’economia, l’organizzazione e il lavoro ha un forte interesse per l’amministrazione pubblica, sotto una pluralità di dimensioni. Per citarne alcune, senza pretesa di esaustività, si va dall’analisi delle modalità di relazione e di interazione tra il potere politico e i cittadini, attraverso l’amministrazione e i suoi funzionari e uffici, all’interesse per la pubblica amministrazione come fenomeno organizzativo, nonché come ambito privilegiato di espressione del lavoro e delle relazioni di lavoro, fino allo studio delle politiche pubbliche e, in particolare delle politiche sociali e del welfare.

Esistono dei percorsi formativi in cui è possibile analizzare queste dinamiche?

Posso ovviamente riferirmi al mio Ateneo, l’Università degli Studi di Milano, all’interno della quale esistono almeno due corsi di studio in cui tali fenomeni e dinamiche possono essere studiati, analizzati e discussi in ottica interdisciplinare: per la laurea triennale, il Corso di laurea in Management Pubblico e della Sanità (MAPS); per la laurea magistrale, il Corso di laurea in Amministrazioni e Politiche Pubbliche (APP), nel quale sono Presidente del Collegio didattico e al cui interno vi è peraltro un curriculum specificatamente dedicato alle autonomie territoriali.

In entrambi questi corsi di studi, da un lato, l’organizzazione, il funzionamento e i processi di trasformazione in corso (pensiamo alla digitalizzazione) nel settore pubblico (Stato, Regioni, enti locali, ma anche aziende e organizzazioni sanitarie, società, enti e organismi partecipati dalle pubbliche amministrazioni) sono studiati sotto il profilo giuridico, economico, organizzativo, politologico, sociologico e anche nelle dimensioni legate alla psicologia del lavoro e delle organizzazioni. Dall’altro lato, viene approfondita con particolare attenzione l’analisi e la valutazione delle politiche pubbliche, tra cui quelle sociali e sanitarie.

Obiettivo comune dei due corsi di laurea è di formare funzionari e dirigenti, dotati di una preparazione spiccatamente multidisciplinare, che vadano ad operare non solo nelle amministrazioni e nel settore pubblico, ma anche in tutte quelle organizzazioni private for profit e non profit, associazioni, organizzazioni di rappresentanza degli interessi, società, enti di ricerca, che lavorano in stretta relazione con il settore pubblico e quindi hanno bisogno di conoscerne in modo approfondito la struttura e le logiche di funzionamento.

Ultime considerazioni sui servizi di welfare per il futuro?

I prossimi anni saranno probabilmente decisivi per comprendere se il sistema di welfare italiano sarà in grado di rafforzarsi e trasformarsi strutturalmente per rispondere ad una domanda di servizi, da parte degli individui e delle famiglie, crescente e sempre più diversificata. Questo richiede ovviamente un profondo ripensamento dell’amministrazione e delle politiche pubbliche, così come del sistema di rapporti costruito nel corso degli anni con tutto il mondo associativo e dei soggetti che programmano ed erogano servizi pubblici, nella loro autonomia e pluralità. Le politiche di austerità hanno per molti versi peggiorato questi rapporti, con effetti negativi su tutte le parti coinvolte.

È arrivato il momento di una svolta, che permetta di progettare assieme il welfare del futuro, a partire (ma non solo) dal livello locale. In tale contesto, sarà possibile anche affrontare problemi di straordinaria complessità, come, ad esempio, quello dello sviluppo di servizi come quelli per l’infanzia o di assistenza domiciliare, della riduzione delle differenze nella loro offerta quali-quantitativa tra le diverse aree del Paese o, per tornare ai temi specifici del libro, della progressiva convergenza nelle condizioni di lavoro del personale operante nei servizi di welfare, siano essi pubblici o privati. Un problema, quest’ultimo, che richiede necessariamente un’assunzione di responsabilità e una forte iniziativa da parte dell’attore pubblico.

Foto di copertina: L’Università degli Studi di Milano durante il Fuori Salone 2019