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Interrogarsi sugli effetti socio-economici generati dall’emergenza Covid non può prescindere dal considerare la rilevanza assunta dal fenomeno emergente delle “nuove povertà”. Fenomeno che ben identifica i contorni di quella “pandemia sociale”, messa in moto e accelerata dal virus, che ha finito per tradursi in una forma inedita, e a tratti estrema, di “contagio nel contagio”. Laddove poi la lente di ingrandimento sulle “nuove povertà” si sofferma sulle criticità prodotte dalla pandemia sul territorio di Roma Capitale, appare subito evidente come la natura multidimensionale del fenomeno si intrecci a doppio filo con la complessità di una realtà sociale composita che, proprio a partire dall’emergenza Covid, ha conosciuto l’emergere di nuovi bisogni e l’acuirsi di importanti disuguaglianze sociali.

Capire l’impatto dell’emergenza e l’efficacia delle risposte

In questo senso un recente Rapporto di ricerca sulle “nuove povertà” nel territorio di Roma Capitale ha inteso indagare tale complessità con l’obiettivo di mettere in luce l’impatto dell’emergenza sanitaria da Covid-19 sul tessuto socio-economico capitolino, nonché di sondare l’efficacia del circuito assistenziale a contrasto della povertà attivato dal Dipartimento Politiche Sociali nei mesi dell’emergenza, al fine di definire e programmare azioni di welfare sempre più capaci di rispondere ai bisogni dei cittadini.

A tale scopo sono state realizzate due indagini campionarie che hanno visto intervistati, da un lato, cittadini romani che hanno beneficiato dei servizi socio-assistenziali di Roma Capitale in tempo di pandemia; dall’altro, cittadini romani non beneficiari di tali servizi, con l’obiettivo di comprendere quale dimensione assuma il fenomeno della povertà nell’immaginario collettivo dei “non ufficialmente” (o “non ancora”) poveri, potenzialmente o idealmente esposti a una futura condizione di indigenza.

Povertà in aumento e in movimento: il volto delle “nuove povertà”

Guardando alle ricadute dell’effetto Covid sul fenomeno della povertà nel territorio capitolino, dalla ricerca emerge in primis un significativo ampliamento del bacino di utenti dei servizi sociali. L’emergenza sanitaria irrompe infatti all’interno di un tessuto sociale già fortemente provato, acutizzando la cronicità delle condizioni di vita più al limite, portando alla luce nuovi bisogni e contribuendo a indebolire i tradizionali confini tra povertà assoluta e povertà relativa.

I nuovi poveri e il tema del lavoro

Ad esempio, ad aver beneficiato dei buoni spesa erogati dal Dipartimento Politiche Sociali di Roma Capitale sono stati, non più e non solo i cosiddetti “poveri abituali” – facendo riferimento con tale espressione a individui e famiglie già inseriti all’interno di un circuito assistenziale preesistente allo scoppio della pandemia – ma nuove tipologie di utenti che nel corso dell’ultimo anno dichiarano di aver attinto, in misura maggiore rispetto al passato, a una composita rete di aiuti, in cima alla cui lista svettano i parenti non conviventi e le Istituzioni, nonché di aver ricorso alla vendita di oggetti di valore e alla richiesta di soldi in prestito a estranei, ivi compresa la rete dell’usura.

In tre casi su quattro (76,1%) si tratta di cittadini che hanno usufruito per la prima volta di una forma di aiuto istituzionale, o comunque esterna alla propria rete di supporto familiare e/o amicale, perché vittime di una forte contrazione del proprio guadagno (73,5%) o della perdita del lavoro/chiusura della propria attività (57,3%). Guardando infatti alla condizione occupazionale dei richiedenti aiuto, si tratta in larga misura di persone disoccupate (39,8%), che nel 69,8% dei casi hanno perso il lavoro proprio a causa dell’emergenza sanitaria.

L’incremento su vasta scala della disoccupazione, soprattutto a seguito delle chiusure forzate imposte dalle misure di contenimento, rappresenta forse il segnale più tangibile della pervasività della crisi pandemica che ha coinvolto numerose famiglie, private improvvisamente delle proprie uniche fonti di sostentamento. Per non dire delle significative rivelazioni della pandemia sul versante del lavoro “fragile” – precario, stagionale, in nero – che ha portato alla scoperta una larga fascia di lavoratori con basse tutele e bassi salari, impossibilitati ad accedere a qualsiasi tipo di sussidio governativo, con importanti ricadute anche in termini di inclusione sociale.

La caduta dei confini urbani

L’intensificarsi del fenomeno della povertà si accompagna inoltre a una rinnovata dimensione territoriale, tale per cui vengono meno i tradizionali confini urbani della povertà, con situazioni di disagio estremo che, in alcuni casi, tendono ad acuirsi fisiologicamente nelle periferie, in altri casi tendono a “convergere” sorprendentemente verso il centro della città.

I “nuovi poveri”, nella maggioranza dei casi, appartengono a categorie sociali normalmente impensabili se associate a una condizione di indigenza economica: essi abitano perlopiù in quartieri che difficilmente nell’immaginario collettivo si associano alla povertà, sono espressione di classi sociali, status occupazionali e famiglie tradizionalmente estranee a tale condizione. Proprio per questo motivo, prima di bussare alla porta dell’Istituzione, essi tendono spesso a rivolgersi preliminarmente alla propria rete familiare-amicale, all’ambito lavorativo, alla parrocchia, finanche al volontariato. E questo non per scarsa fiducia nei confronti dell’Amministrazione capitolina, cui anzi i cittadini riconoscono il merito di aver saputo gestire l’emergenza – nella sua dimensione sanitaria, così come con riferimento agli aspetti economici e sociali –, quanto piuttosto perché chiedere un aiuto alle Istituzioni equivale nei fatti a “certificare” uno stato di povertà.

Lo stigma sociale e la difficoltà di chiedere aiuto

A conferma di ciò, un altro aspetto indagato dal Rapporto di ricerca attraverso un’indagine psicologica finalizzata a comprendere le dinamiche individuali e relazionali derivanti dal fenomeno delle “nuove povertà”, si sofferma proprio sulle difficoltà riscontrate dai beneficiari nel formulare la propria richiesta di aiuto.

Il subentrare di una condizione di povertà, quale esperienza improvvisa e mai sperimentata in precedenza, si è rivelata infatti una prova non semplice da superare e ha rappresentato un’esperienza negativa per molti cittadini che l’hanno vissuta con vergogna (23,1%), disagio (22,5%) e – benché in misura minore – rabbia (7%) e diffidenza (2,3%), sentimenti che chiamano in causa proprio quel timore relativo allo “stigma sociale” derivante dall’ammissione della propria vulnerabilità, che contribuisce peraltro a generare un accentuato pessimismo verso il futuro.

A destare significative preoccupazioni è infatti la previsione dei beneficiari in relazione al perdurare della propria personale condizione di difficoltà. Dalla ricerca emerge infatti come il complessivo 85,7% non veda all’orizzonte un miglioramento della propria condizione: il 46,2% dichiara di essere “certo” di dover fare ancora affidamento su aiuti economici e servizi socio-assistenziali, cui si aggiunge il 39,5% che vede la cosa come “assai probabile”.

Oltre la povertà materiale

Sebbene il lato “materiale” della povertà, intesa nella sua dimensione di deprivazione economica, rappresenti il focus prevalente dell’analisi sui nuovi bisogni generati (o amplificati) dall’emergenza sanitaria, il Rapporto di ricerca restituisce tuttavia importanti evidenze anche in relazione al diversificato universo delle “nuove povertà” immateriali, connesse a tutte quelle problematiche (relazionali, psicologiche, culturali) che coesistono con l’impoverimento economico o ne rappresentano la diretta conseguenza.

A mettere in luce tale spaccato sono innanzitutto le testimonianze emerse dalle interviste in profondità a oltre trenta osservatori privilegiati – realizzate in chiave funzionale alla predisposizione delle due indagini campionarie – che hanno coinvolto esponenti e realtà a vario titolo impegnati nell’erogazione di servizi socio-assistenziali sul territorio capitolino (dalle Istituzioni civili a quelle religiose, passando attraverso il variegato universo delle associazioni del Terzo Settore e di autorevoli esponenti del mondo dell’informazione e della ricerca).

Dal racconto degli intervistati emerge proprio come l’emergenza sanitaria abbia modificato in maniera radicale le abitudini quotidiane degli individui, costringendoli a un isolamento che era presente già nel periodo pre-Covid, ma che si è tuttavia acuito di fronte all’impossibilità di coltivare i rapporti sociali, mettendo peraltro in luce un crescente bisogno di ascolto.

Ed è proprio nella dimensione socio-culturale che i cittadini romani identificano l’ambito di povertà rispetto al quale nutrono maggiori timori. Al netto, infatti, della dimensione sanitaria, che rappresenta il contesto di maggiore vulnerabilità percepita da parte degli intervistati (24,2%), appare particolarmente significativo il sostanziale equilibrio che caratterizza le segnalazioni relative alla povertà culturale (20,5%) e alle forme di povertà relazionale e familiare (20,2%), queste ultime avvertite come le più esposte anche in relazione a quel supporto economico che sono in grado di offrire nei momenti di necessità.

Dalle “nuove povertà” alle “(r)innovate povertà”: scenari futuri

A fronte dell’intensificarsi del fenomeno della povertà, tanto nella sua dimensione materiale che immateriale, il Rapporto di ricerca ci consente di delineare uno spaccato del territorio capitolino contraddistinto dalla presenza di un fenomeno che tende tuttavia a travalicare l’ormai consolidata definizione di “nuove povertà”, e che suggerisce invece una prospettiva di “(r)innovate povertà”.  Da una parte, infatti, l’emergenza sanitaria ha contribuito a infettare del virus della povertà contesti, quartieri e fasce sociali un tempo a essa immuni, che dunque si sono affacciati per la prima volta alla povertà, “innovandola” di nuove dimensioni; dall’altra parte, ha rimodellato lo scenario esistente della povertà, all’interno del quale anche coloro i quali erano già poveri prima della pandemia non si sono tuttavia sottratti al “rinnovamento” del proprio status, imponendo alle Istituzioni di ripensare runtime i propri servizi socio-assistenziali.

Un processo in evoluzione

Pur dinanzi alla sostanziale “staticità” con la quale gli intervistati identificano la propria condizione di indigenza nel prossimo futuro, i risultati della ricerca suggeriscono tuttavia la necessità di guardare al fenomeno delle (r)innovate povertà come processo, privilegiando una prospettiva di analisi incentrata sull’idea di un fenomeno in evoluzione.

Tale processo muove proprio a partire dall’immagine estremamente evocativa di una “spirale”, ovvero un percorso (più o meno) obbligato — dall’ingresso, alla permanenza, all’uscita — il cui esito è tutt’altro che scontato, ma piuttosto frutto di un complesso intreccio di cause, effetti e responsabilità che chiamano in causa tanto una dimensione individuale (ovvero una predisposizione più o meno “soggettiva” a reagire alla crisi), quanto una dimensione relazionale, che passa invece attraverso la costruzione e il consolidamento di un legame fiduciario tra i cittadini e le Istituzioni.

Un rinnovato rapporto tra Istituzioni e cittadini

Con specifico riferimento all’Amministrazione capitolina, il Rapporto di ricerca mette in luce un livello di fiducia già particolarmente elevato. Ciononostante, affinché la relazione fiduciaria possa consolidarsi, appare quanto mai necessaria l’attivazione di un flusso fiduciario bi–direzionale, dall’Amministrazione al cittadino, che passi attraverso tre fondamentali linee di azione: la sensibilità nell’intercettare i (nuovi) bisogni; la flessibilità nell’adattare le risposte istituzionali alle nuove esigenze ed emergenze sociali; la capacità di comunicare in modo efficace gli strumenti messi a disposizione, per consentire ai cittadini di vivere serenamente, e con rinnovata fiducia, l’uscita dalla spirale della povertà.

Ed è in tale direzione che andranno dunque progettate e programmate le nuove politiche sociali post-Covid, la cui efficacia dipenderà in larga parte dalla capacità di superare un modello di welfare standardizzato – che impone al cittadino di adattarsi ai servizi –, a tutto vantaggio di un welfare “sartoriale e promozionale”, concepito come uno strumento di comunità, in grado di fornire risposte flessibili, coordinate e capillari a livello territoriale.

Un cammino verso il futuro che, come messo in luce dagli stessi intervistati, necessita di rivedere il significato stesso di “assistenza”, mettendone in risalto l’aspetto proattivo e prevedendo un adattamento delle misure socio-assistenziali alle (r)innovate esigenze prodotte dall’effetto Covid, con un occhio di riguardo alle categorie sociali a più elevato rischio di emarginazione.

 


Per approfondire

Ferrigni N. (2021), Le nuove povertà nel territorio di Roma Capitale, Roma, Aracne (Scaricabile gratuitamente in formato pdf)

Foto di copertina: Murales "Coffé Break" realizzato da Etam Cru al confine fra i quartieri romani di Tor Pignattara e Pigneto (Credit: Ecomuseo Casilinio)