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In un continente dove la produzione agricola non è mai stata così abbondante e gli scaffali dei supermercati traboccano di prodotti, il dato può sorprendere: secondo Eurostat, nel 2024 quasi 40 milioni di persone nell’Unione Europea – pari all’8,5% della popolazione – vivevano in condizioni di povertà alimentare materiale. In Italia la situazione è ancora più critica: la quota sale al 9,9%, superando la media europea. A ciò si aggiungono i nuovi dati Istat sui consumi delle famiglie, che mostrano come quasi un terzo dei nuclei familiari abbia dichiarato di aver ridotto, rispetto all’anno precedente, la spesa per il cibo in termini di quantità e/o qualità. Persone che quindi non sono in povertà, ma che sono costrette a rivedere al ribasso le proprie scelte alimentari a causa della propria situazione economica. Mentre il dato sulla povertà assoluta indica che il fenomeno riguarda 5,7 milioni di individui, il 9,8% dei residenti.

A essere particolarmente colpiti da queste situazioni, con importanti conseguenze, sono soprattutto le/i minori, inclusa la fascia delle/degli adolescenti. Di loro si occupa il progetto DisPARI diretto dall’Università degli Studi di Milano e ActionAid, con il supporto di Percorsi di Secondo Welfare e grazie al sostegno di Fondazione Cariplo.

Professoressa Ilaria Madama dell'Università degli Studi di Milano, Principal Investigator del progetto DisPARI

Il progetto, ci ha spiegato Ilaria Madama, professoressa dell’Università degli Studi di Milano e Principal Investigator di DisPARI, parte dall’idea che “non basta fornire cibo”. Per tutelare davvero questa parte di popolazione “occorre promuovere consapevolezza alimentare, favorire la partecipazione attiva, contrastare lo stigma e costruire reti di supporto tra scuole, famiglie, istituzioni pubbliche e Terzo Settore, coinvolgendo dove possibile l’intera comunità educante” ha continuato la professoressa.

L’abbiamo intervistata in occasione della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Povertà (17 ottobre)  e della pubblicazione del Rapporto “Il malessere invisibile di non poter scegliere” di ActionAid Italia, in cui è stato coinvolto anche il team di DisPARI.

Con Madama abbiamo approfondito come la povertà alimentare colpisca ragazze e ragazzi e quali risposte concrete possano arrivare dalla ricerca e dalle politiche. Ecco cosa ci ha detto.

Professoressa Madama, quali fattori rendono oggi particolarmente urgente parlare di povertà alimentare tra ragazzi e ragazze in Italia e in Europa?

Prima di tutto, è utile fare qualche premessa. L’accesso inadeguato o insufficiente al cibo rappresenta senza dubbio una delle forme più stressanti di deprivazione. Sebbene l’insicurezza alimentare sia un fenomeno globale — con livelli di gravità e diffusione molto più elevati nel Sud del mondo, in particolare in Asia e nell’Africa sub-sahariana — negli ultimi anni è diventata una sfida crescente anche nei paesi del Nord globale, inclusi i Paesi europei, dove il problema non riguarda tanto la disponibilità di cibo quanto piuttosto la sua accessibilità.

Fattori come il peggioramento delle condizioni nel mercato del lavoro, l’aumento del costo della vita dovuto alle crisi economiche e all’instabilità degli ultimi quindici anni, insieme a politiche pubbliche spesso inadeguate, hanno reso più difficile per molte persone anche in Italia accedere a un’alimentazione adeguata e di qualità. Secondo i dati Istat la povertà assoluta riguarda oltre 2,2 milioni di famiglie, quasi 5,7 milioni di individui (9,8% sul totale degli individui residenti, dato 2024, ndr) mentre l’indagine Eurostat sulla deprivazione materiale e sociale segnala che nel nostro Paese quasi una persona su dieci non riesce ad accedere a un pasto proteico ogni due giorni (9,9%, 8,5% per l’Ue27, nel 2024, ndr). Va però notato che i più giovani sono maggiormente colpiti. Fra i minori, l’incidenza della povertà assoluta raggiunge infatti il 13,8% (quasi 1,3 milioni di bambine/i e ragazze/i) – il valore più elevato della serie storica dal 2014 – e fra i giovani di 18-34 anni all’11,7% (pari a circa 1 milione 153mila individui);

Perché gli e le adolescenti sono particolarmente a rischio rispetto ad altre fasce d’età?

In questo scenario, gli adolescenti rappresentano un gruppo particolarmente vulnerabile, ma spesso poco visibile e poco studiato. Sappiamo che l’adolescenza rappresenta una fase cruciale della vita, in cui le esigenze nutrizionali sono elevate e lo sviluppo fisico, psicologico ed emotivo richiede sostegno e strumenti per una crescita sana e armoniosa. Sebbene i dati sulla povertà alimentare tra gli e le adolescenti siano ancora scarsi e frammentari, le evidenze disponibili segnalano un peggioramento delle loro condizioni, con ripercussioni sulla salute fisica e mentale, incluso l’aumento dei tassi di sovrappeso e obesità.

Nei Paesi ad alto reddito, la dieta degli adolescenti tende a privilegiare alimenti ultraprocessati, ad alto contenuto energetico ma poveri di nutrienti, mentre il consumo di frutta, verdura, latticini e proteine di qualità rimane spesso insufficiente. Questi modelli alimentari sono influenzati non solo da fattori economici e dalla disponibilità di cibi sani, ma anche dall’ambiente alimentare, ad esempio dalla pubblicità e dall’offerta di prodotti a basso costo e di scarsa qualità nutrizionale.

In che modo la povertà alimentare incide sul benessere sociale ed emotivo delle persone adolescenti?

La povertà alimentare si riflette anche sul piano sociale e psico-emotivo: non poter partecipare a momenti di convivialità, vivere situazioni di stigma o imbarazzo, sentirsi esclusi rispetto ai propri pari sono esperienze che incidono profondamente sul benessere e sul senso di appartenenza.

Per tutte queste ragioni, la povertà alimentare in adolescenza è una sfida importante e complessa, che merita maggiore attenzione non solo per i suoi effetti sulla salute fisica, ma anche per le conseguenze sullo sviluppo cognitivo, emotivo e relazionale dei giovani, con impatti significativi sia nel breve che nel lungo periodo. Da qui è nato il progetto DisPARI.

Con DisPARI state sviluppando un nuovo strumento per misurare la povertà alimentare tra le persone adolescenti: cosa porterà di innovativo?

Si tratta di FOPED-A (Food Poverty-related Emotional Distress for Adolescents), uno strumento di indagine concepito per rilevare non solo difficoltà di accesso al cibo, ma anche le conseguenze dal punto di vista emozionale delle limitazioni nella possibilità di scegliere cosa, quando e con chi mangiare. Il suo uso permetterà di considerare non solo la disponibilità di un’alimentazione sufficiente, ma anche la libertà di scelta alimentare in relazione a preferenze personali, abitudini familiari e contesti culturali e sociali, ogni volta che si vorrà misurare l’entità del problema.

Per comprendere e misurare anche la dimensione emotiva e sociale del disagio che gli adolescenti possono sperimentare in situazioni di insicurezza alimentare, il FOPED-A verrà sviluppato a partire dalle informazioni raccolte con un questionario le cui domande sono state elaborate coinvolgendo direttamente ragazze e ragazzi. Li abbiamo ascoltati sia individualmente che in piccoli gruppi, attraverso un percorso durato diversi mesi. Il questionario, che ha incluso domande volte a esplorare le implicazioni emotive e le strategie di compensazione e protezione che ragazze e ragazzi mettono in atto o immaginerebbero di adottare per affrontare una situazione di insicurezza alimentare, è stato somministrato a circa 1.000 studenti e studentesse della scuola secondaria di secondo grado dell’area lombarda e calabrese, coprendo una pluralità di indirizzi scolastici — dai licei agli istituti tecnici e professionali.

I dati raccolti – in forma completamente anonima – se da un lato permetteranno di definire gli items da includere nel FOPED-A, allo stesso tempo forniranno anche alcune prime evidenze circa l’estensione di questo disagio nel gruppo di studenti e studentesse coinvolti, le sue implicazioni emotive e le strategie di compensazione e protezione adottate per affrontarlo.

Il nostro obiettivo è quello di proporre uno strumento valido per chi, in futuro, volesse condurre indagini sulla povertà alimentare in adolescenza in un paese come l’Italia. Uno strumento che possa contribuire a comprendere più a fondo le esperienze vissute dagli adolescenti, fornendo informazioni e dati utili non solo per quantificare e qualificare il fenomeno ma anche per orientare politiche, iniziative di supporto e interventi mirati.

DisPARI prevede anche una mappatura delle strategie locali contro la povertà alimentare, perché?

Sì, u na parte della ricerca è dedicata all’analisi delle iniziative di contrasto della povertà alimentare. Dopo una prima fase di ricognizione, che ci ha permesso di individuare pratiche innovative e promettenti in diversi contesti territoriali europei, ci stiamo ora concentrando sul caso lombardo. In particolare, stiamo conducendo uno studio sulle strategie di intervento in quattro contesti territoriali differenti. La ricerca parte dalle persone e dai luoghi, con l’obiettivo di ricostruire i “pacchetti” di prestazioni e aiuti a disposizione di chi si trova in condizioni di povertà severa.

Questo approccio ci consente di analizzare due dimensioni complementari: una dimensione orizzontale, che osserva come diversi attori – pubblici e privati – operano sul territorio e quanto risultino coordinati (o meno) tra loro; una dimensione verticale, che indaga il grado di integrazione tra i diversi livelli di intervento – locale, regionale, nazionale ed europeo – nell’attuazione concreta delle politiche. È uno degli aspetti più originali della ricerca: permette di valutare quanto le strategie di risposta siano coerenti ed efficaci sul territorio.

Quali elementi interessanti sono emersi finora dalla mappatura e dal lavoro svolto?

I risultati saranno disponibili entro fine anno, ma posso già anticipare alcuni spunti interessanti. I modelli di intervento attuali, nella gran parte dei casi, non colgono la complessità della povertà alimentare e la sua multidimensionalità, limitandosi spesso a risposte emergenziali e caritatevoli. Tuttavia, in diversi contesti sono emerse anche esperienze significative. Gli Empori Solidali integrati, ad esempio, combinano la distribuzione di beni materiali con iniziative di attivazione e socialità. Questi interventi tipicamente si basano su reti di attori diversi, capaci di mettere in comune competenze e risorse per costruire sistemi di supporto più completi, in grado di rispondere a una pluralità di bisogni.

Quali sono, in particolare, le criticità che emergono dai diversi contesti analizzati?

Un limite importante è che tali esperienze dipendono fortemente dal capitale sociale del territorio e da risorse che non sono strutturali: ciò significa che risultano più accessibili in alcune aree rispetto ad altre, con il rischio di amplificare le disuguaglianze.

Un altro problema è che gli/le adolescenti raramente vengono considerati come un gruppo con bisogni distinti e specifici nelle strategie di intervento. Frequentemente sono assimilati ai bambini nei programmi rivolti ai minori, oppure trattati come parte del nucleo familiare, senza una reale attenzione alle loro esigenze individuali. Questo va nella direzione opposta rispetto alle indicazioni provenienti dalla letteratura, che riconosce sempre di più l’urgenza di includere attività pensate specificamente per questa fascia d’età, che siano pertinenti, adeguate e stimolanti, capaci di rispecchiare i loro interessi e di coinvolgerli attivamente. Contrastare la povertà alimentare tra gli/le adolescenti significa dunque adottare un approccio multidimensionale, che combini interventi di sostegno diretto (come l’accesso a pasti equilibrati tramite mense scolastiche o comunitarie) con strategie inclusive e capacitanti.

Non basta fornire cibo. Occorre promuovere consapevolezza alimentare, favorire la partecipazione attiva, contrastare lo stigma e costruire reti di supporto tra scuole, famiglie, istituzioni pubbliche e Terzo Settore, coinvolgendo dove possibile l’intera comunità educante.

Che impatto concreto sperate che il progetto possa avere su politiche pubbliche e servizi?

Ci aspettiamo, innanzitutto, che il progetto contribuisca ad accrescere la conoscenza e la consapevolezza sul fenomeno della povertà alimentare, sia all’interno delle istituzioni sia tra le organizzazioni che operano in questo ambito. È importante riconoscerne la natura multidimensionale: si tratta infatti di una condizione dalle cause molteplici – strutturali, ambientali e individuali – e con effetti che vanno oltre la nutrizione, con implicazioni sociali ed emotive. Riconoscere questa complessità significa superare l’idea che la povertà alimentare sia un problema individuale e familiare da affrontare con interventi emergenziali e spesso paternalistici, per considerarla come un fenomeno strutturale. Serve così un approccio coordinato e di lungo periodo, volto a rafforzare le risorse e le opportunità disponibili.

Un secondo aspetto fondamentale riguarda gli/le adolescenti. Con il progetto abbiamo voluto portare l’attenzione su una fase della vita ancora poco considerata nelle politiche e negli interventi. L’obiettivo è mettere in luce la necessità di sviluppare programmi dedicati a ragazze e ragazzi, capaci di rispondere ai loro bisogni specifici. In linea con il paradigma dell’investimento sociale, supportare le/i giovani in questa fascia d’età significa promuovere benessere, salute e inclusione sociale, investendo anche sul futuro.

In questi giorni esce anche il rapporto di ActionAid, a cui ha contribuito il progetto DisPARI: in che modo la povertà alimentare rafforza le disuguaglianze sociali?

Il Secondo Rapporto su adolescenti e povertà alimentare in Italia, intitolato Il malessere invisibile di non poter scegliere”, curato da Roberto Sensi, riprende diversi risultati del progetto DisPARI. Il team di ricerca del Dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università degli studi di Milano e ActionAid hanno contribuito alla sua realizzazione valorizzando diversi aspetti della ricerca condotta nell’ultimo anno.

Il rapporto evidenzia la necessità di guardare alla povertà alimentare in modo multidimensionale, considerando non solo gli aspetti materiali – accesso al cibo, quantità e qualità – ma anche quelli sociali, culturali e psicologici.

Emergono inoltre relazioni complesse tra povertà alimentare e disuguaglianze: se da un lato ne è espressione e conseguenza, allo stesso tempo la povertà può alimentare e/o creare ulteriore disuguaglianza. Questo fenomeno colpisce soprattutto i più giovani con ripercussioni che si manifestano nel tempo. La povertà senza un adeguato supporto può provocare esclusione sociale, sofferenza psicologica e problemi fisici, con conseguenze sul lungo periodo sia per il benessere che per le opportunità future di ragazze e ragazzi.

Foto di copertina: Max Fischer, Pexels.com