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Il 4 dicembre, l’Osservatorio Sociale Europeo ha ospitato a Bruxelles un workshop per discutere con esperti e rappresentanti delle associazioni del settore le prospettive degli schemi di welfare occupazionale in Europa. L’incontro, organizzato nell’ambito del progetto Prowelfare, è stato un’occasione per presentare alcuni risultati della ricerca. Come ha spiegato David Natali, docente universitario e ricercatore dell’OSE, le informazioni raccolte fino ad ora dai diversi team nazionali che lavorano al progetto non evidenziano un chiaro trade-off tra welfare state pubblico e schemi di natura occupazionale: non sembra dunque esserci un diretto effetto di sostituzione tra quanto offerto ai cittadini dal pilastro pubblico e lo sviluppo di sistemi di natura privata generati dall’interazione tra le parti sociali. Tuttavia, negli ultimi anni sono i paesi dell’Europa meridionale a sperimentare, più di altri, la diffusione del welfare occupazionale.

Rebekah Smith di BusinessEurope ha evidenziato nel suo intervento come il welfare aziendale – seppure nato e sviluppato diversamente in ciascun paese sulla base della storia e della cultura nazionale – si sia indubbiamente diffuso proprio a partire dagli anni della crisi. Anche gli obiettivi delle aziende sembrano comuni: incorporare il welfare in una strategia aziendale finalizzata ad aumentare il senso di appartenenza dei dipendenti all’azienda, ma anche attrarre e trattenere le figure chiave e costruire rapporti più collaborativi con la parte sindacale. Rispetto allo “spazio” del welfare nelle relazioni industriali, Josef Wöss della Camera del Lavoro di Vienna, ha precisato che il forte ruolo delle parti sociali e un dialogo sociale stabile ed efficace sono precondizioni necessarie per il corretto sviluppo del welfare occupazionale. Molti paesi europei sperimentano infatti negli ultimi decenni l’importante diminuzione dei tassi di adesione sia ai sindacati sia alle associazioni datoriali, a testimonianza di una crisi della rappresentanza che non può che essere controproducente per la costruzione di sistemi di tutela strutturati e condivisi tra le parti. C’è invece disaccordo tra gli esperti circa la valutazione della tendenza presente in molti paesi al decentramento della contrattazione attraverso la sempre maggiore valorizzazione della contrattazione territoriale ed aziendale rispetto al livello nazionale categoriale. Mentre Wöss mostra preoccupazione per la possibilità per il secondo livello di agire in deroga a quanto stabilito a livello nazionale, anziché in maniera esclusivamente migliorativa, Smith esprime una visione più ottimistica ritenendo il fenomeno non necessariamente negativo ma anzi potenzialmente utile per costruire un sistema di relazioni industriali più attento ai bisogni della dimensione locale. Certo è – ha ribadito Natali – che le parti sociali hanno saputo in molti paesi “reinventare” il proprio ruolo grazie all’implementazione di nuove politiche per il miglioramento del mercato del lavoro, come ad esempio le iniziative legate alla formazione e al reinserimento lavorativo.

La questione previdenziale, centrale all’interno del dibattito, si articola intorno a due argomenti principali. Il primo, di natura più tecnica, riguarda lo sviluppo dei fondi previdenziali alla luce della normativa e delle opportunità fornite dal livello sovranazionale, mentre il secondo, più “politico”, richiama l’importanza strategica dei fondi per la doppia valenza sociale ed economica. Tutti i presenti sono concordi nel ritenere i fondi pensione importanti non solo per il loro ruolo primario di integrazione delle prestazioni previdenziali ma anche per quello di investitori. Simone Miotto di AEIP ha ricordato la peculiarità dei fondi previdenziali: si tratta di istituzioni non profit con finalità sociali ma modalità operative da investitori finanziari. Essi agiscono all’interno di un rapporto “triangolare” con la parte datoriale e sindacale. La questione che emerge naturalmente all’interno del dibattito riguarda le scelte di investimento dei fondi: è auspicabile che essi si orientino verso investimenti socialmente ed ecologicamente sostenibili, anche se con ritorni inferiori? O che abbiano come obiettivo la massimizzazione del profitto a beneficio dei propri iscritti? E’ giusto definire requisiti di natura etica per guidare gli investimenti dei fondi? Smith e Miotto concordano nel ritenere la finalità previdenziale – attraverso una politica di investimento redditizia – prioritaria per assicurare la sostenibilità nel tempo dell’attività del secondo pilastro. Tuttavia, il dibattito circa la natura degli investimenti e il grande sostegno che questi possono dare a cause “socialmente rilevanti” rimane aperto e chiama in causa i decisori politici e le parti sociali, responsabili dell’amministrazione dei risparmi dei lavoratori.

In conclusione, Natali ha richiamato anche il tema del work-life balance, peculiare all’interno delle politiche di welfare occupazionale perché collegato ai nuovi rischi sociali. La conciliazione vita-lavoro è un’area di intervento particolarmente “interessante” per i paesi del Sud Europa, la cui tradizione di familismo ha sempre favorito la soluzione dei problemi legati alla cura dei familiari all’interno della sfera domestica e senza richiedere l’intervento dello Stato. Oggi, l’insostenibilità del welfare “fai da te” costituisce potenzialmente una grande occasione per le parti sociali, chiamate a “ritrovare” la propria tradizione di risposta ai bisogni sociali – iniziata in alcuni paesi con i Ghent system, l’organizzazione da parte dei sindacati di un sistema assicurativo per il rischio di perdita del lavoro – e a chiedersi fino a quale punto sia opportuno rivedere il proprio ruolo.

E’ proprio il tema della conciliazione vita-lavoro ad avere acquisito crescente importanza negli ultimi anni. Sono ormai diverse le ricerche che mostrano la diffusione nelle aziende italiane dei benefit dedicati ai genitori, e la Commissione europea ha recentemente lanciato una consultazione pubblica aperta al contributo di tutti i cittadini europei fino al 17 febbraio 2016. L’iniziativa è stata preceduta dalla pubblicazione della Roadmap “New start to address the challenges of work-life balance faced by working families" nell’agosto 2015 e dalla consultazione dedicata alle parti sociali lanciata nella prima metà del mese di novembre. Gli obiettivi del percorso sono la tutela della maternità in maniera più ampia ed efficace attraverso la modifica delle disposizioni normative esistenti e la rimozione degli ostacoli alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Al termine della consultazione pubblica, la Commissione raccoglierà i risultati ed elaborerà una combinazione di strumenti normativi e non per il rilancio dell’occupazione femminile e della parità di genere, particolarmente attraverso il coinvolgimento delle parti sociali.

Il progetto Prowelfare, che entrerà a gennaio 2016 nel suo ultimo anno di attività, organizzerà nel corso del prossimo anno alcune occasioni di dibattito e presentazione dei risultati con l’obiettivo di favorire una seria riflessione circa l’architettura del welfare auspicabile per il futuro dell’Europa e il ruolo al suo interno della componente occupazionale.

 

Riferimenti

Il programma dell’evento

La consultazione pubblica sul work-life balance della Commissione europea