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L’Assessore alle Politiche Sociali della Regione Piemonte Augusto Ferrari ha lanciato il “Patto per le Politiche Sociali”. Attraverso l’ampia partecipazione dei soggetti interessati, il patto mira a definire gli obiettivi di politica sociale del prossimo biennio e a individuare le modalità per raggiungerli. Per l’avvio del patto sono stati previsti sette incontri rivolti a quanti operano in campo sociale. Nella nostra intervista, l’Assessore ci racconta i dettagli di questa esperienza.


Che cos’è il Patto per il sociale?

Il patto è uno strumento di carattere politico e programmatico grazie al quale la Regione Piemonte, attraverso la partecipazione, intende elaborare e condividere gli obiettivi di politica sociale. Questo in estrema sintesi è il senso del patto. Chiaramente, in un momento come quello che stiamo vivendo, la definizione degli obiettivi è molto complessa. La Regione Piemonte ha bisogno di ricostruire il proprio bilancio e di stabilizzare la spesa per il prossimo biennio. In questo modo dovremmo avere anche delle certezze sulla disponibilità delle risorse pubbliche che ci consentiranno di sostenere gli obiettivi di politica sociale.

Come è nata l’idea di costruire il Patto per il Sociale?

L’idea del patto è nata con il nostro insediamento presso l’assessorato, personalmente ho percepito la necessità di investire molto sulla ricostruzione di un clima di fiducia tra i diversi attori che operano nel sociale. Proprio qui è il cuore del percorso che abbiamo avviato in queste settimane. L’intento è quello di creare e accompagnare un clima di reciproca fiducia e di reciproca responsabilità per costruire un sistema che sappia essere all’altezza delle sfide che le comunità pongono alle istituzioni. Questa necessità di cooperazione fra gli enti e gli operatori l’ho avvertita come prioritaria facendo l’assessore alle politiche sociali nel comune di Novara. Ho quindi cercato di costruire il percorso del patto avendo come base l’esperienza del mio comune.

In passato sono state realizzate esperienze simili nel territorio della regione?

A livello piemontese c’è stata una stagione in cui sono stati realizzati dei percorsi partecipati. Tuttavia, quello che stiamo realizzando ora è peculiare se consideriamo il contesto in cui si colloca. Si tratta chiaramente di un contesto in cui la domanda sociale è aumentata e si è fatta più complessa e articolata. Contemporaneamente, le istituzioni e le risorse con cui si fa fronte a questi problemi si sono fortemente indebolite. Il percorso che stiamo realizzando attraverso il patto è quindi particolarmente significativo alla luce di questo contesto.

Quali sono gli obiettivi del Patto per il Sociale e in che modo saranno perseguiti?

Gli obiettivi del patto per il sociale sono legati, in primo luogo, alla definizione delle priorità. Tali priorità devono essere costantemente valutate e monitorate per un utilizzo più funzionale delle risorse. In particolare, dobbiamo evitare la dispersione e concentrarci su obiettivi condivisi e ritenuti prioritari. In secondo luogo, il patto si propone di promuovere un confronto sulle caratteristiche organizzative del sistema delle politiche sociali. In altre parole ci poniamo anche l’obiettivo di provare a fare il punto sull’adeguatezza, in particolare organizzativa, dei nostri servizi. Con il patto quindi ci aspettiamo di realizzare una rivisitazione complessiva del sistema di welfare piemontese. In terzo luogo, ci poniamo un obiettivo più normativo. La regione svolge un ruolo di programmazione (e non di gestione) e deve quindi costruire un quadro normativo sulle materie che intende programmare. Anche su questo punto riteniamo che il percorso messo in piedi con il patto per il sociale sia indispensabile per valutare l’adeguatezza dell’attuale quadro normativo.

Quale ruolo svolge la Regione Piemonte nel processo di elaborazione del Patto per il Sociale?

Il ruolo della regione Piemonte riguarda la regia del processo. La regione deve accompagnare e condurre questo processo e si propone anche di costruire luoghi permanenti in cui gli obiettivi di politica sociale siano costantemente discussi, valutati e confrontati. Questo vale anche per l’allocazione delle risorse.
Nell’ambito di queste attività, particolare attenzione sarà dedicata al tema dell’innovazione sociale. Miriamo anche a utilizzare fondi europei, ma questo dovrà comunque accompagnarsi a un lavoro di stabilizzazione della spesa sociale regionale finalizzato a garantire qualche certezza in più agli enti locali.

Quali sono gli ambiti territoriali cui il patto sta facendo (o intende) fare riferimento?

Noi vorremmo costruire un sistema in cui i territori siano organizzati per ambiti territoriali omogenei e integrati. In particolare, vorremmo porre all’attenzione degli operatori l’obiettivo di identificare la zona sociale con l’area del distretto sanitario. In questo modo avremmo un unico ambito in cui la gestione dei servizi sociali (da parte dei comuni) e sanitari (da parte delle Asl) potrebbe più facilmente essere integrata.

Può spiegarci come sono stati organizzati i primi incontri?

Gli incontri che stiamo realizzando sono costruiti secondo uno schema secondo il quale gli esperti trattano alcuni argomenti che sono poi discussi con i partecipanti. L’elemento centrale degli incontri è rappresentato proprio dall’articolazione in gruppi di lavoro all’interno dei quali sono coinvolti gli attori che a vario titolo insistono nei diversi settori (amministratori, operatori del sociale, esponenti del settore del privato sociale ecc.). I gruppi di lavoro sono definiti sulla base di alcuni macro obiettivi attorno ai quali, a nostro avviso, sistema di welfare piemontese ha bisogno di essere aggiornato.

In primo ambito riguarda l’integrazione socio-sanitaria che ha rappresentato, e tuttora rappresenta, uno dei pilastri del sistema. Tuttavia, ci sono alcune criticità e abbiamo bisogno di fare il punto con tutti gli operatori per individuare quegli elementi che possono essere migliorati.

Il secondo ambito concerne la lotta alla povertà e alla vulnerabilità sociale. Si tratta di un ambito che negli anni è rimasto residuale ma che, nell’attuale contesto, è sempre più preponderante per gli amministratori e per gli operatori pubblici. In questo caso, abbiamo bisogno di mettere in piedi un sistema che sappia coordinare il settore.

Il terzo ambito è quello delle politiche a sostegno della famiglia. Anche in questo caso, se non teniamo conto del peso che gli asili nido hanno sui bilanci dei comuni, siamo di fronte a interventi che, nonostante la domanda crescente, rimangono residuali.

Il quarto ambito riguarda l’accesso ai servizi. In questo caso si tratta di fare in modo che gli sportelli per l’accesso offrano informazioni chiare e trasparenti ai cittadini. Infatti, spesso ci troviamo di fronte a situazioni in cui i cittadini non riescono a orientarsi adeguatamente all’interno del sistema dei servizi.

Come hanno funzionato, a suo parere, i primi incontri realizzati a Bra, Biella e Alessandria?

I primi incontri hanno funzionato bene dal punto di vista della partecipazione, siamo riusciti a coinvolgere soggetti diversi come assessori, sindaci, operatori sociali, direttori di consorzi, esponenti del volontariato o delle cooperative e operatori delle case di risposo. Insomma abbiamo raggiunto l’obiettivo di coinvolgere una varietà di persone e si è trattato di un momento molto importante. Tra l’altro tenga conto che abbiamo fatto tutto a costo zero utilizzando le strutture e le disponibilità dei territori.
Ora, l’aspetto più delicato riguarda la realizzazione di una sintesi adeguata, utile e positiva di tutto il lavoro che stiamo facendo.

A suo giudizio, i vari soggetti come hanno accolto l’idea di avviare un processo partecipato di costruzione del patto?

Per la conduzione dei gruppi sono stati coinvolti i funzionari della regione i quali hanno dimostrato una disponibilità importante. Questo è un altro elemento positivo che dobbiamo registrare all’interno del percorso. Personalmente ho percepito una forte disponibilità da parte dei vari soggetti coinvolti. C’è un desiderio diffuso di avere degli spazi in cui poter discutere di queste cose. Gli incontri sono stati percepiti come un fatto estremamente positivo. Sono convinto che questo percorso incroci anche i desideri e le esigenze degli operatori che tutti i giorni lavorano sul campo.

Quali sono le opportunità, ed eventualmente i rischi, connessi all’implementazione di questo processo partecipativo?

I rischi di un progetto di questo tipo sono insiti nella sua stessa natura. Io sono convinto che la partecipazione deve essere realizzata fino in fondo, se si vuole attivare un processo che abbia come obiettivo quello di costruire un sistema ampiamente condiviso bisogna mettere in conto il rischio di raggiungere degli obiettivi che possono essere diversi da quelli preventivati. Si rischia anche di andare incontro a dissensi o prese di posizione critiche, ma tutto ciò è connesso alla natura stessa della partecipazione che coinvolge persone diverse per formazione, responsabilità e punti di vista. Questi rischi comunque rappresentano anche un’opportunità; un percorso di questo tipo consente infatti all’istituzione pubblica di definire e chiarire meglio gli obiettivi che si vogliono raggiungere e di essere quindi in sintonia con la realtà plurale e variegata delle nostre comunità.

Come proseguiranno le attività una volta terminato il ciclo di incontri in programma?

Questa fase durerà fino alla fine del mese di febbraio quando concluderemo i primi incontri. Abbiamo cominciato a Bra e proseguito a Biella e Alessandria. Ora dedicheremo due incontri a Torino (uno per il comune e l’altro per l’area metropolitana), uno ad Asti e uno a Novara. A marzo, alla luce di indicazioni più precise circa le risorse che saranno messe a bilancio, avvieremo il lavoro di sintesi e di definizione degli elementi costitutivi del patto.


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