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Man mano che l’emergenza legata al Covid-19 prosegue, sempre più professionisti si pongono il problema di come continuare il proprio lavoro attraverso strumenti di interazione digitale. Proprio per questa ragione temi come il digital divide, le competenze digitali e la conoscenza delle ICT appaiono sempre più importanti da comprendere. In questo articolo, Dario Grison e Graziano Maino ci offrono alcuni spunti su come collaborare e lavorare in team in questo particolare periodo.


Inclusione digitale: questione emergente e urgente

Uno dei temi che l’epidemia Covid-19 sta facendo emergere è quello dell’individuazione di strumenti e competenze di comunicazione e di interazione digitale alla portata di una sempre più vasta platea di persone. La questione presenta diverse sfaccettature, che vanno dalle possibilità di accesso alle reti telematiche, alla strumentazione hardware posseduta (smartphone, portatili, pc, tablet), alle capacità necessarie per l’utilizzo di software per la comunicazione audio, video e attraverso la messaggistica, alle competenze collaborative necessarie per utilizzare le tecnologie in modo appropriato e rispondente ai propri bisogni. Un’altra esigenza riguarda l’individuazione di applicazioni alla portata degli interlocutori, adatte agli scopi che ci si prefigge di raggiungere nell’interazione, scopi che possono essere di carattere lavorativo, didattico, ludico o semplicemente legati alla necessità di mantenere la propria rete di relazioni sociali, familiari, amicali e affettive. Inoltre chi si avvicina a questo mondo di nuove opportunità può esserne impaurito, oppure può venir preso da un irrefrenabile desiderio di impadronirsene il prima possibile, può rischiare e correre troppo in avanti e in maniera confusa.

Possiamo fare alcuni esempi. Il primo riguarda l’utilizzo dei tablet nelle case di riposo per consentire agli anziani ospiti, oggi confinati a causa dell’emergenza sanitaria in corso, di comunicare con i propri familiari impossibilitati a far loro visita. Le tecnologie potrebbero in parte attutire le distanze e l’isolamento ma non sono immediatamente disponibili per tutti, nè facilmente accessibili, o già familiari, e neppure facilmente divulgabili. Un secondo esempio riguarda bambini e bambine che vivono in contesti difficili o deprivati, in famiglie che non sono in condizione di rendere disponibili supporti pratici, strumentazione, sostegno educativo. Questi giorni di emergenza non sono per tutti egualmente affrontabili, e non per tutti, pur nelle difficoltà, si rivelano fonte di nuovi apprendimenti; per molti le condizioni di esclusione verranno (forse in modo meno palese) rese più opache. Un terzo esempio riguarda le persone con disabilità e fragilità che si trovano isolate, all’interno di famiglie (non di rado con genitori anziani) impegnate ad affrontare il distanziamento sociale con un corredo di capacità e competenze insufficienti ad affrontare il salto richiesto. Insegnanti e operatori riportano un’ampia gamma di difficoltà nel mantenere i contatti, nell’offrire supporti per via tecnologica, ad assicurare relazioni con modalità virtuali che finiscono per alimentare la sensazione di distanza e isolamento (Rapporto ISS – Covid-19 8/2020).

Man mano che l’emergenza legata al Covid-19 prosegue, e che sempre più ampie platee di professionisti si pongono il problema di come continuare il proprio lavoro attraverso strumenti di interazione digitale, emergono nuove domande legate, oltre che alle competenze informatiche possedute dai professionisti stessi, alle competenze necessarie all’utenza. Ci si trova così in situazioni nelle quali per poter svolgere il proprio lavoro è necessario assumere anche il ruolo di tutor digitale dell’interlocutore, che non sempre è pronto ad utilizzare in maniera appropriata lo strumento informatico. Oppure non è raro il caso in cui il professionista fa affidamento sulle maggiori capacità informatiche dell’utente per poter intervenire in modo adeguato. Infine, ci si può ritrovare in dialoghi a distanza nei quali le competenze vengono esplorate, scoperte e costruite gradualmente in un clima di maggiore reciprocità. In questo caso lo scambio peer to peer costituisce un ambiente e un clima molto favorevole all’apprendimento (Corneli, 2016).

Virtù digitali: natura non facit saltus, nemmeno nell’ICT

Un apprendimento va piano piano facendosi strada: le competenze tecniche sono necessarie ma non sono sufficienti. Stiamo comprendendo che conoscere gli strumenti, le loro caratteristiche essenziali, saperli utilizzare per svolgere delle attività personali o professionali è un primo livello di alfabetizzazione digitale, ma è solo un livello di ingresso. In questi giorni ci siamo chiesti quali virtù possiamo raccomandare (a noi stessi) e ripensando a queste settimane convulse, abbiamo abbozzato un elenco-sfida. Ecco le virtù: pazienza operosa, gradualità intermittente, esplorazione orientata, coraggio collettivo.

Pazienza operosa di sbrogliare man mano, pazientemente appunto. Può capitare infatti di aggrovigliarsi nelle difficoltà legate all’operare in un contesto nuovo, dove gli elementi da far interagire contemporaneamente possono essere parecchi (l’email, la videoconferenza, il foglio di lavoro condiviso, la chat) e dove gli interlocutori sono presenti con modalità nuove, diverse da quelle abituali. Si pensi ad esempio alle difficoltà di condurre un confronto a più voci e a moderare la sequenza e i tempi degli interventi dei partecipanti, quando la presenza degli altri si manifesta solo attraverso il riquadro di una webcam.

Gradualità intermittente che significa saper miscelare la spiegazione di base e progressiva, dovuta al neofita, con la proposta di compiti inediti e sfidanti, sia per mantenere desta l’attenzione dei partecipanti con competenze più consolidate sia per mostrare le potenzialità che si aprono osando fare un passo più in là delle proprie capacità. Si tratta di suscitare la curiosità per ciò che può succedere ai livelli successivi.

Esplorazione consapevole: è richiesto di auto orientarsi in relazione alle esigenze concrete che si identificano, di praticare una sorta di consumo consapevole dell’energia e delle risorse digitali, del tempo disponibile, non onnivoro ma orientato agli scopi di uso e operativi che ci si prefigge di raggiungere. Un’esplorazione che consolida la capacità di apprendere. Si apprende di più se non si esagera ma se si colgono e si acquisiscono le logiche e le modalità di funzionamento del programma utilizzato, che sono acquisizioni agevoli da replicare per analogia in altri contesti applicativi. Si pensi ad esempio a come tutti i programmi di videoscrittura si assomiglino e a come, con qualche aggiustamento e accortezza, sia possibile passare dall’uno all’altro senza eccessive difficoltà.

Coraggio collettivo. Non necessariamente l’apprendimento di uno strumento digitale deve seguire un percorso logico progressivo predefinito, da percorrere rigidamente nel suo sviluppo graduale. Creando un adeguato contesto, un setting che contenga la paura di sbagliare dei partecipanti, si può favorire un’interazione quasi ludica, in cui le potenzialità e le caratteristiche dello strumento possono essere provate ed esplorate, magari in rapporto a compiti assegnati. È importante in questo caso astenersi dal valutare il risultato e favorire piuttosto la riflessione sul come ci si è arrivati, le difficoltà incontrate, le scoperte e le sorprese. Si tratta di rendere disponibile uno spazio non giudicante e sdrammatizzante in cui si possano mettere in ballo anche le proprie lacune, perché sono proprie le lacune il motore del gioco e dell’apprendimento.

Costruire collaborazione digitale

Una ipotesi tacita e diffusa assume che la somma delle competenze digitali individuali implicitamente incorpori la capacità di collaborare da remoto. Osservando le nostre esperienze ci accorgiamo invece che la collaborazione online non nasce solo dalla possibilità offerta dalla tecnologia, ma almeno in questa fase, è tanto più fruttuosa quanto maggiormente è favorita da schemi di gioco, presupposti culturali e organizzativi pregressi. L’appartenenza ad un’organizzazione o ad un ambiente di lavoro nei quali le modalità collaborative siano già invalse, la conoscenza reciproca fra i partecipanti, la condivisione di percorsi comuni sono alcuni degli elementi facilitanti che possono predisporre a proseguire la collaborazione anche da remoto. Ovviamente nulla vieta che forme e storie di collaborazione nascano direttamente online, in assenza dei presupposti indicati, e che gli strumenti digitali, per la loro stessa articolazione reticolare, favoriscano modalità di lavoro meno rigide e gerarchiche ma più innovative e creative. La rete mal si adatta alle logiche verticali e spinge per interazioni partecipate.

Tuttavia ci sembra che il campo sociale del lavoro collaborativo non si costituisca spontaneamente in presenza della sola tecnologia digitale, ma vada sempre presidiato, costruito e custodito da un lavoro preparatorio e di cura delle relazioni che lo attraversano. Insomma, nel mentre la collaborazione da remoto può ridefinire alcuni assetti sociali del lavoro tradizionale, abolendo ad esempio la necessità di una contiguità spaziale tra i lavoratori, essa deve essere attraversata da una intenzionalità sociale e comunicativa istituente per non risolversi in una mera sommatoria di prestazioni compilative.

Collaborare nell’organizzazione e tra organizzazioni

La transizione al digitale interroga quindi anche gli assetti organizzativi e le consuetudini. A volte un mancato salto digitale può essere indice non solo di una scarsa formazione agli strumenti ma anche di una resistenza a rivedere gli assetti organizzativi, la circolarità della comunicazione, la redistribuzione dei compiti e delle responsabilità, che l’assunzione di una modalità di lavoro in rete comporta. La collaborazione digitale può scardinare strutture pre-esistenti, sollecitare resistenze, evidenziare fragili equilibri raggiunti che non sempre è facile, e talvolta nemmeno bene, mettere in discussione. Viceversa lo smart working, imposto dalle necessità di questi giorni, può aver prodotto una sorta di diaspora digitale in gruppi di lavoro che già possedevano un buon affiatamento cooperativo in presenza e che ora devono ritrovarlo su un terreno nuovo e forse poco frequentato in passato.

Queste ipotesi sono un primo territorio da esplorare, un insieme di percorsi da costruire. Se il ricorso a strumenti di comunicazione digitale può modificare le modalità di collaborazione nella propria organizzazione di appartenenza, altrettanto può accadere per la collaborazione fra persone che fanno parte di organizzazioni diverse. Forse si aprono occasioni di collaborazioni inter-organizzative e interistituzionali, saltano alcune formalità eccessive, alcune vengono assolte con l’ausilio della tecnologia. La possibilità di incontrarsi a distanza rende più frequenti le occasioni di confronto e di verifica sui percorsi di collaborazione intrapresi, si possono monitorare meglio gli avanzamenti dei progetti comuni, analizzare eventuali difficoltà, avanzare proposte di soluzioni, velocizzare i processi decisionali. Un’apertura che in occasioni diverse è stata sottolineata in questi giorni di emergenza: insieme a disorientamenti nell’ambito di gruppi di lavoro particolarmente sollecitati, alcuni hanno rilevato aperture e disponibilità a trovare vie, modi, tempi, terreni per attivarsi e cercare di organizzare risposte praticabili nel pieno del distanziamento sociale.

Nuove possibili coproduzioni?

Apprendimenti e collaborazioni digitali possono avvenire in moltissimi ambiti produttivi. Quelli che ci sono più vicini e familiari sono il mondo dei servizi formativi, consulenziali, educativi e socio-educativi, sociali e assistenziali. Alcuni di questi ambiti hanno già sviluppato una loro storia nel mondo digitale, si pensi alla formazione e all’apprendimento a distanza, che però l’attuale crisi Covid-19 sta interrogando con domande foriere di ulteriore innovazione. Per altri siamo in grado di intravedere la base di partenza che ci investe con un carico di non conoscibilità per quanto riguarda i suoi possibili sviluppi. Non sappiamo quanto e come cambieranno (o stanno cambiando) i modi di produrre servizi rivolti a persone con fragilità, di mettere a disposizione cura personale, di offrire supporto educativo, insegnamento, formazione, affiancamento e orientamento. Possiamo però avviare una prima riflessione su ciò che stiamo osservando via via avvenire, su quello che per tentativi stiamo esplorando.

Alcune cose verranno prodotte con strumenti e processi diversi. Altre verranno trasformate modificate, e forse sorgeranno nuovi prodotti esito di una interazione fra ambiente digitale e ambiente prossimale. Anche le figure professionali saranno stimolate a ridefinirsi e a giocare la relazione spostandosi tra il setting digitale e quello dello spazio fisico tangibile. Già oggi è possibile svolgere sedute di psicoterapia e visite mediche in videochiamata, gli insegnanti sono costretti a reinventarsi un modo di fare scuola che si avvalga del web, nel frattempo sta sorgendo la figura dell’educatore digitale, che accompagna l’utente anche nello sviluppare abilità relazionali on line (nuove skills?). Come potrà un assistente sociale gestire una relazione di aiuto a distanza attraverso gli strumenti telematici?

Un’altra questione riguarda il problema dell’accessibilità degli strumenti in presenza di disabilità motorie, disabilità sensoriali (ambiti che hanno già ricevuto significative attenzioni perché gli strumenti informatici si prestano ad essere utilizzati come ausili) e disabilità intellettive, rispetto alle quali invece rimane ancora da fare, non tanto sui programmi di training cognitivo, quanto sullo sviluppo di strumenti che consentano un uso quotidiano quanto più possibile autonomo delle tecnologie informatiche.

Infine c’è il mondo dell’infanzia e di come educare alle digital skills, in rapporto alle caratteristiche e capacità dei percorsi evolutivi di ogni età, con un uso responsabile e fruttuoso delle tecnologie, anche in relazione alle diverse situazioni di apprendimento in cui bambini e ragazzi sono coinvolti a livello scolastico.

Apprendere esplorando: il caso della lavagna collaborativa Jamboard

Attraverso un webinar abbiamo sperimentato una lavagna interattiva. La decisione è sorta a seguito della segnalazione da parte di un gruppo di insegnanti dell’esigenza di poter disporre di strumenti molto semplici per coinvolgere bambini e bambine delle scuole primarie di un istituto comprensivo che opera in un quartiere che presenta sacche di fragilità sociale.

Le domande che seguono – radicali e dirette – hanno attivato una micro sperimentazione:

  • Come possiamo mettere a disposizione dei nostri alunni le competenze digitali che già possedevamo, che stiamo affinando e ampliando sotto la spinta dell’emergenza Covid-19?
  • Siamo un gruppo di insegnanti impegnate nel condividere approcci educativi e il percorso adesso si è interrotto, come possiamo riprenderlo?
  • Come possiamo raggiungere e coinvolgere bambini e famiglie che dispongono prevalentemente di smartphone, usano prevalentemente whatsapp e hanno scarsa dimestichezza con le tecnologie didattiche?
  • Come possiamo assicurare continuità di insegnamento quando le connessioni sono contingentate e la disponibilità di giga relativamente limitate?

Si pongono dunque problemi tecnologici, problemi collaborativi, di conoscenze pratiche condivise e sperimentate sul campo, problemi diversi, tutti in una volta: un ingorgo, una confusione nella quale cercare possibili e progressive, pazienti e graduali azioni evolutive. La scelta del webinar, sviluppato in forma di laboratorio, è stata quella di rompere gli indugi e di buttarsi a capofitto direttamente nel vortice, per cercare ad ogni modo di uscirne con qualche guadagno. Ovviamente chi ne sapeva di più dava alcune indicazioni su come muoversi; a ciascun partecipante è stata lasciata la libertà di esplorare modalità e soluzioni, per poi condividere con gli altri le proprie scoperte, all’interno di alcuni sottogruppi. In piccolo, il web-laboratorio è stato un po’ un riassunto di queste giornate convulse, nelle quali ciascuno ha dovuto provare a buttarsi nel mare delle tecnologie, fidandosi delle proprie capacità di nuotare per cercare di riemergere con qualche nuova conoscenza, idea, curiosità, domanda o dubbio.

Lo strumento che abbiamo scelto di esplorare è stato Jamboard Google, lavagna interattiva che funziona su PC, smartphone e LIM. Essenziale, facilissima, ottima per fare mappe minimali e scrivere a più mani. Jamboard consente ad esempio di fare i compiti di matematica in collaborazione: sulle stesse tavole si può scrivere con una penna digitale o pennino capacitivo (che peraltro si può costruire in casa); o di fare un incontro di gruppo lavorando su una lavagna a fogli mobili, usando i post-it per alimentare il confronto. La scelta è stata motivata dal fatto che lo strumento è disponibile tra le risorse del pacchetto di Google per la scuola e poi perché Jamboard si presenta come uno strumento basilare e interattivo, con funzionalità potenziate per smartphone e tablet (non richiede quindi la disponibilità di pc performanti).

Il webinar ha proposto alle persone che vi hanno preso parte di sperimentare Jamboard, in modo diretto e immediato con l’intenzione di:

  • apprendere da una base disomogenea e disallineata (eravamo persone diverse che non si conoscevano);
  • apprendere collettivamente (si trattava di condividere impressioni, soluzioni, risultati nell’immediato);
  • apprendere uno strumento semplice (cercando di costruire soluzioni creative ed efficaci disponendo di poche funzionalità);
  • apprendere rapidamente, nell’urgenza di un tempo limitato (un’ora di lavoro insieme senza altre possibilità);
  • riflettere sulle modalità di apprendere come esito condiviso dell’esperienza.

Anche l’accesso ad uno strumento semplice come Jamboard richiede l’accompagnamento e lo sviluppo di ulteriori competenze, che già di per sé costituiscono un apprendimento utile e propedeutico all’utilizzo di ulteriori servizi web più complessi e sofisticati. Servono dei prerequisiti tecnologici e delle metacompetenze che possiamo riassumere in questi passaggi:

  • supporti tecnologici: almeno uno smartphone o un tablet, pennino capacitivo per scrivere (non necessario, ma molto utile);
  • disponibilità di connessione (dati o wireless);
  • disponibilità un account google (trattandosi di minori deve essere quello dell’adulto di riferimento);
  • accesso a Google Drive;
  • individuazione dell’app (che non è tra le più visibili della suite);
  • accesso alle funzionalità (queste sì sono abbastanza semplici) e al loro utilizzo.

Per creare un contesto esperienziale immersivo il primo passo, è stata una rapida illustrazione delle funzionalità di base, che riassumiamo nella lavagna sottostante:

Successivamente, a dei piccoli sottogruppi sono stati affidati dei compiti da svolgere per sperimentarsi con lo strumento, quali ad esempio: utilizzare Jamboard per assegnare un compito a casa, illustrare cos’è un focus group, spiegare come scrivere una email agli insegnanti, fissare indicazioni chiave per la sicurezza al lavoro. Infine a tutti è stata chiesta una valutazione sull’esperienza condotta, espressa attraverso lo strumento appreso.

Da parte nostra l’esperienza del webinar ci ha portato a interrogarci ulteriormente sull’utilizzo delle mappe quale strumento di apprendimento e collaborazione.

Mappe per osservare, imparare, riflettere, collaborare, orientarsi

Le mappe stesse possono avere natura di strumenti collaborativi, essere l’esito dello sforzo collettivo di disegnare relazioni e progetti possibili. Questi spunti ci hanno guidato (e ci guidano) nello sperimentare l’uso di applicazioni (ve ne sono moltissime, diverse per funzionalità e complessità Miro, Padlet, Jamboard, Stormboard, Kume, Coggle, Whimsical) che consentano di costruire mappe attraverso la collaborazione. Non è un caso crediamo che si diffondano e siano richiesti software per disegnare in modo partecipato quello che si produce in termini di ideazione e di prefigurazione. Le applicazioni per tracciare mappe sono strumenti all’interno dei processi di apprendimento e sono strumenti per facilitare lo scambio di conoscenze.

E sentiamo l’esigenza non solo di disporre, ma di poter tracciare mappe, che orientino le organizzazioni nelle confuse situazioni che stiamo vivendo, mappe che aiutino a dare forma a punti di vista soggettivi, a rendere discutibili e valutabili i contributi, a rappresentare la complessità, a schematizzare per tenere assieme informazioni provenienti da fonti e sistemi diversi.

Mappe che ci aiutino a pensare possibili azioni, a disegnare forme di intervento, a ragionare sulle partnership attivabili. Mappe come strumenti di espansione delle possibilità e di dominio delle paure, valide per ciò che ci permettono (o non permettono) di pensare, di immaginare, di sperimentare e di tradurre in piani di lavoro.

Nella complessità che stiamo affrontando, disporre di mappe è di aiuto per cercare strade da percorrere. Servirebbero mappe dinamiche delle fragilità per come si riconfigurano per effetto di questa emergenza, mappe dei percorsi da sviluppare per estendere le competenze digitali, mappe delle rappresentazioni che guidano le scelte per fare operativamente e per offrire assieme ad altri servizi in grado di dare risposte adeguate.

Roadmap dunque, mappe di itinerari possibili, mappe da aggiustare e da aggiornare in progress di progetti e competenze per favorire inclusioni digitali, nei giorni presenti e in prospettiva.

Chi costruisce mappe costruisce rappresentazioni metaforiche del mondo, mette ordine, fa ordine, propone ordine, im/pone ordine, offre letture non solo esplicative ma costitutive (effettivamente orientanti, performative). Le mappe, tenendo unite conoscenza, azione e interazione, possono aiutarci nel costruire un approccio ecologico ai nostri ambienti di lavoro e di impegno, nel quale gli elementi diversi o opposti di un sistema non vivano separatamente, ignorandosi a vicenda, ma entrino in relazione cercando costantemente nuove forme di convivenza, coabitazione, convergenza.


Riferimenti