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Per aiutarci a capire meglio quale ruolo svolgono e potrebbero svolgere le fondazioni di comunità nel nostro Paese abbiamo chiesto a Bernardino Casadei, Segretario Generale di Assifero, di concederci un’intervista inerente questo tema. Assifero, Associazione Italiana Fondazioni e Enti di Erogazione, raccoglie diverse realtà (elenco dei soci) che svolgono attività erogativa a vario titolo. Tra di esse possiamo rintracciare enti di erogazione indipendenti, fondazioni di famiglia, fondazioni d’impresa, fondazioni private e le citate fondazioni di comunità.

Bernardino Casadei prima di assumere la carica di Segretario Generale di Assifero ha collaborato con Fondazione Cariplo come Project Manager del Progetto Fondazioni di Comunità, attraverso il quale è stata possibile l’introduzione di questa tipologia organizzativa di fondazione filantropica anche nel nostro Paese.

Dottor Casadei, ci potrebbe brevemente descrivere come si sono diffuse le fondazioni di comunità in Italia?

L’introduzione delle Fondazioni di Comunità (FC) in Italia è avvenuta grazie all’impegno della Fondazione Cariplo. Quando nel 1996 ho iniziato a presentare l’ipotesi delle FC a Giuseppe Guzzetti, allora consigliere di Fondazione Cariplo, in Italia pochissimi avrebbero saputo spiegare cosa fossero questi soggetti. Perché Cariplo decise di investire su questa strada? La ragione principale era legata ad una problematica interna a Cariplo: con la separazione ufficiale dalla banca la Fondazione aveva perso il contatto con le filiali del gruppo bancario, ovvero con quelle realtà che per anni erano state le referenti locali per la gestione della beneficienza. Fondazione Cariplo aveva la necessità di trovare un nuovo modo per gestire i propri contatti sul territorio della Lombardia (e nelle province di Novara e Verbania), soprattutto in relazione alla gestione delle erogazioni medio-piccole. Gestirle centralmente rischiava infatti di risultare eccessivamente oneroso, comportando conseguentemente la diminuzione dei contributi realmente erogati.

Davanti a questo problema è stata presentata l’ipotesi, fondata sull’esperienze americane della Kellogg Foundation in Michigan e del Gift Giving Program in Indiana, di dar vita a degli enti autonomi che potessero essere anche partner naturali della fondazione Cariplo nella gestione delle erogazioni sul territorio. Questa, se vogliamo, era la motivazione interna, più tecnica, del progetto. L’altra importante ragione era invece la volontà di creare un’infrastruttura in grado di mobilitare le donazioni, democratizzare la filantropia istituzionale e favorire l’emergere di elargizioni da e per il territorio. Pochissimi credevano che il progetto scaturito da queste ipotesi iniziali, soprattutto relativamente alla seconda, potesse funzionare in qualche modo.

Eppure sono state create 15 Fondazioni di comunità legate al progetto Cariplo. Dieci hanno completato il “progetto sfida” nei termini stabiliti, due sono un po’ in ritardo ma sono anch’esse in dirittura d’arrivo, mentre tre lo stanno ancora realizzando. “Completare la sfida” significa che la Fondazione di Comunità nel corso di un periodo di 10 anni, è riuscita a raccogliere autonomamente 5 milioni di euro in donazioni patrimoniali, e che pertanto ha diritto all’ottenimento di altri 10 milioni provenienti da Fondazione Cariplo.

Può spiegarci meglio questo sistema?

Se le FC riescono a raccogliere 5 milioni destinati alla costituzione del loro patrimonio la Fondazione Cariplo si impegna a fornire alle stesse altri 10 milioni. In estrema sintesi il progetto funziona così: al momento della costituzione dell’ente la Fondazione Cariplo crea al proprio interno un fondo patrimoniale di 5 milioni di euro specificamente destinato alla neonata FC, da cui inizialmente si prelevano i soldi necessari per ottenere il riconoscimento della FC.

Ogni anno la fondazione Cariplo fornisce alla FC la rendita derivante dal fondo, calcolata sul tasso ufficiale di sconto maggiorato dello 0.5%, a condizione che la FC nel corso dell’anno sia stata in grado di raccogliere almeno 516.000 € destinati al patrimonio. Se la fondazione non riesce a raccogliere tali risorse gli interessi del fondo vengono congelati fino al raggiungimento della quota prevista. Pertanto in 10 anni la FC dovrebbe raccogliere, per godere degli interessi maturati dal fondo istituito da Cariplo, un totale di oltre 5 milioni di euro destinati all’aumento del proprio patrimonio. Se la FC riesce in questa “sfida” Fondazione Cariplo si impegna a raddoppiare quanto raccolto, erogando altri 10 milioni di euro “premio” e portando il patrimonio della FC a ben 15 milioni.

Questo sistema ha funzionato?

Ha funzionato quasi dappertutto, solo le FC di Cremona e Pavia hanno avuto alcuni problemi che tuttavia sono stati quasi completamente risolti. Le fondazioni, una volta completata la “sfida” hanno teoricamente a disposizione un fondo di almeno 15 milioni di euro che in alcuni casi, come per esempio a Novara, è cresciuto ulteriormente fino al raggiungimento di oltre 20 milioni di patrimonio.

Quali sono i vantaggi che le FC offrono alle organizzazioni del Terzo settore e ai donatori?

I donatori attraverso una FC possono godere dei vantaggi di una propria fondazione senza doversi assumere gli oneri ad essa collegati. Tutti gli aspetti gestionali e burocratici sono infatti svolti dalla fondazione di comunità, mentre i donatori possono invece godere di tutti i benefici fiscali del caso. Parimenti gli enti non profit attraverso la collaborazione con la FC offrono ulteriori garanzie ai donatori circa le proprie attività, e attraverso la fondazione sono in grado di gestire alcuni tipi di donazioni, come i lasciti testamentari, la cui gestione risulta essere tutt’altro che semplice.

Questi vantaggi sono notevoli per le piccole organizzazioni del Terzo settore, ma anche le grandi possono ottenere benefici avvalendosi della collaborazione con una FC. Faccio un esempio: se come donatore volessi fare una donazione personale alla sezione del Wwf del mio territorio questa, per regolamento interno, dovrebbe essere destinata alla sede centrale del Wwf di Roma. Quindi, se volessi avere la certezza che quel denaro andrà a sostenere progetti svolti dalla sezione del Wwf del mio territorio, non potrei avere alcun tipo di garanzia.

Creando un fondo presso la FC questa problematica viene superata: la fondazione è in grado di fornire ogni anno al progetto del Wwf del territorio da me indicato la mia donazione, garantendomi pertanto la certezza sulla destinazione delle risorse fornite. Ovviamente le cose sono spesso più articolate di così, ma questo piccolo esempio rende l’idea di come la fondazione possa essere una risorsa sia per i donatori che per le organizzazioni del Terzo settore, sia grandi che piccole, presenti sul territorio.

Potrebbe spiegarci meglio quali benefici fiscali può avere un’azienda donando attraverso una FC?

L’azienda ha tre vantaggi dal punto di vista fiscale. In primo luogo ha un vantaggio dal punto di vista burocratico/amministrativo. Un’azienda potrebbe anche decidere di donare a una Onlus senza passare per la FC, tuttavia attraverso la mediazione della fondazione l’azienda può decidere di donare, e godere dei relativi benefici fiscali, anche senza aver deciso la destinazione ultima della donazione.

L’azienda può infatti donare alla fondazione prima della scadenza dell’anno fiscale e decidere in un secondo momento come investire quel denaro. Dal punto di vista amministrativo c’è quindi un vantaggio temporale, perché è possibile donare pur non sapendo a quali progetti destinare quella donazione. Questa è una possibilità molto importante non solo in termini fiscali: attraverso un’unica donazione si può decidere di finanziare più progetti pur non avendo ancora deciso nello specifico come, quando e quali iniziative sostenere. Senza passare dalla FC ogni progetto dovrebbe invece essere previsto e documentato nella redazione del bilancio, un fattore che indubbiamente può disincentivare la donazione.

Secondo: finanziando la fondazione, che è una onlus garantita, non è più necessario andare a verificare se le organizzazioni a cui si vuole donare sono affidabili e/o permettono di ottenere benefici fiscali. E’ la fondazione che effettua questi controlli e garantisce la possibilità di detrazione donando a quel progetto. Terzo: attraverso la fondazione è possibile finanziare progetti di carattere sociale anche di enti che non hanno fine di lucro ma sono privi della qualifica di Onlus, cosa che non sarebbe fattibile attraverso un’azione diretta.

Secondo lei non c’è il rischio che le FC contribuiscano a promuovere a un tipo di filantropia ormai considerata sorpassata?

In primo luogo ritengo che questo tipo di filantropia non sia affatto sorpassata, e che anzi ci sia un grande ritorno a questo tipo di approccio fondato sul dono. L’Italia ha sempre avuto una grande tradizione filantropica, che tuttavia dall’unità in avanti è stata volutamente distrutta e sradicata. Inoltre bisogna considerare come i donanti, attraverso il sistema delle FC, non siano riconducibili ad un’unica categoria, ma possano provenire dai contesti sociali più disparati. Il donante si trova di fronte a uno strumento per la gestione dell’aspetto finanziario, dopo di che se vuole partecipare direttamente allo sviluppo del progetto può farlo tranquillamente, così come può decidere di limitarsi alla donazione e basta.

Attraverso le modalità operative delle FC diventa inoltre più facile stabilire relazioni con altri donatori. Per esempio un’esperienza molto diffusa all’estero è quella dei giving circle: donatori che si mettono insieme per attivare progetti che altrimenti non si azzarderebbero a intraprendere da soli. La FC in questo caso può svolgere il ruolo di agente fiscale, di supporto burocratico/amministrativo, offrendo servizi che un gruppo eterogeneo di donatori difficilmente sarebbe in grado di svolgere autonomamente.

Ribadisco: la FC è uno strumento che può essere utilizzato in diversi modi, a seconda della sensibilità di chi decide di usufruirne. Ci può essere il soggetto che decide di donare e basta, così come può esserci quello che decide anche di farsi coinvolgere direttamente nelle attività che finanzia. In tutti i casi, comunque, i problemi che potrebbero emergere per il donatore dal punto di vista burocratico sono già superati, in quanto affidati a un soggetto, la FC, in grado di risolverli al posto di chi dona. Altra cosa da non sottovalutare: le persone possono considerare bello e interessante donare, ma viviamo una società estremamente frenetica e quindi se non ci si pone nelle condizioni di farlo si finisce col rimandarlo continuamente.

Attraverso la FC invece anche questo rischio è limitato. Io per primo, ad esempio, ho un mio fondo presso la Fondazione di Como, luogo dove abito, che finanzio una volta l’anno. Può capitare che passino dei mesi, anche degli anni, senza che quel denaro venga utilizzato, ma so che ci sono e che prima o poi potranno essere sfruttati adeguatamente. Come poi approcciarsi all’utilizzo dipende dalla volontà del donante. In sintesi: la FC mette a disposizione del donante una serie di servizi e competenze che favoriscono la cultura del dono, come la conoscenza profonda degli enti non profit presenti sul territorio, la possibilità di creare rapporti con altri potenziali donatori o la facilitazione dei rapporti con burocrazia e pubblica amministrazione.

Può parlarci delle capacità di investimento delle fondazioni?

Tutte le fondazioni dovrebbero avere una propria strategia di investimento. La fondazione, semplificando un po’ il discorso, può ricevere donazioni destinate all’immediato utilizzo per finanziare uno specifico progetto o associazione, oppure donazioni che non devono essere spese immediatamente e che quindi vanno a comporre il patrimonio della fondazione. Il donatore, immettendo denaro nei fondi che costituiscono il patrimonio della FC, può usufruire di benefici di scala e vedere aumentare le risorse destinabili all’erogazione, oltre ovviamente a una serie di vantaggi legati alla gestione intermediata. Il donatore può quindi decidere di allineare le proprie donazioni con le strategie di investimento scelte della fondazione, ma può anche richiedere un tipo di gestione autonoma.

Ma la fondazione così non si assume dei rischi?

Certamente, ma la fondazione ha l’obbligo di investimento. Se non si investe i soldi si deprezzano, si perdono o non rendono e, di conseguenza, la fondazione vede diminuire le proprie capacità erogative di lungo periodo. Questo sicuramente è uno dei punti più fragili sul quale c’è ancora del lavoro da fare: l’idea che il denaro che la fondazione ha nel suo patrimonio debba essere investito con una strategia di lungo periodo non è ancora entrata nelle corde di molti consigli di amministrazione.

Pensi che in Canada un tribunale ha condannato il Consiglio di Amministrazione di una fondazione perché la strategia di investimento utilizzata non permetteva un consistente aumento del patrimonio. Secondo il giudice questa scelta ha indebolito la disponibilità economica della comunità, e ha pertanto determinato una condanna per il CdA. Ora, prima che in Italia si verifichi un caso simile a quello canadese ci vorrà molto tempo, ma il concetto che sta alla base è semplice: le FC devono investire in modo da avere ritorni che permettano di perseguire lo sviluppo della comunità.

Oggi indubbiamente viviamo un momento complicato dal punto di vista economico, ma necessariamente le FC devono investire in attività redditizie che permettano, almeno, di coprire inflazione, costi e tasse, e di generare una disponibilità di erogazione di almeno il 3% del patrimonio investito, il che vuol dire una redditività annuale di almeno il 7%. Per avere tale redditività bisogna pensare ad una strategia di investimento di un certo tipo, sennò a tale obiettivo non ci si arriva. In Italia questi passaggi sono complicati, e se uno guarda alla redditività degli investimenti delle fondazioni italiane noterà che questa è molto più bassa di quelle di altri Paesi europei. Questo è dovuto sicuramente a fattori culturali propri del nostro Paese, ad un approccio molto formalista e poco incisivo che punta a non rischiare mai e arrivare alla fine dell’anno col bilancio che non sia mai in perdita, mentre un investimento di lungo presuppone una volatilità e quindi la possibilità di avere delle perdite nel breve periodo. E’ uno dei settori in cui serve ancora molto lavoro.

Dal punto di vista della distribuzione sul territorio si nota una forte presenza delle fondazioni nel Nord del Paese, mentre al Sud ce ne sono molto poche. Come mai?

Nel Sud del Paese la Fondazione con il Sud ha stanziato molte risorse per favorire la diffusione delle FC anche nel Meridione, dove attualmente sono presenti solo due fondazioni. Questa è una cosa buona, ma non basta fornire risorse finanziare per sviluppare strutture come le FC. Creare una FC è molto complicato e non basta avere le risorse economiche per farne nascere una: servono soggetti disposti a investire tempo ed energie.

In Lombardia dal 1999 al 2003 si sono costituite 12 fondazioni perché non c’erano a disposizione solo soldi, ma anche strutture e persone che lavoravano a tempo pieno su questi progetti. Sicuramente senza queste risorse non-economiche le FC in Lombardia non sarebbero cresciute così velocemente. Non è fattibile, soprattutto in una realtà molto complessa come il mezzogiorno, pensare di potersi limitare alla fornitura di denaro per ottenere dei risultati. Esiste quindi una mancanza di competenze prettamente tecniche.

La macchina, essendo molto complessa, non può avviarsi solo attraverso erogazioni finanziarie, ma necessita di specifiche conoscenze in materia. Prendiamo in considerazione la contabilità di una FC: è un aspetto talmente complesso che non basta neppure la partita doppia, ma serve una “doppia partita doppia”. Senza qualcuno in grado di supportare lo sviluppo di questi aspetti è difficile giungere a dei risultati apprezzabili: senza un personale qualificato la fondazione non può andare molto lontana. Pensare di sviluppare il settore solo attraverso risorse monetarie è pertanto insufficiente, serve una continua assistenza e questo non sempre è stato percepito come un punto centrale.

E per quanto riguarda il Nord?

Al Nord sono presenti un maggior numero di FC, in primo luogo le 15 sviluppatesi grazie alla Fondazione Cariplo. Il progetto promosso dalla Cariplo ha mostrato alcuni limiti, come ad esempio il fatto che in alcuni casi le FC si sono ridotte ad essere referenti territoriali della Fondazione Cariplo, ma è comunque un’iniziativa ben avviata e presente in tutta la Lombardia. Abbiamo poi le FC collegate alla Fondazione di Venezia, che tuttavia danno l’impressione di concepirsi come uffici territoriali della stessa. poichè non è stato fatto un lavoro volto a svincolarle maggiormente dalla casa madre. C’è poi la Fondazione della Valle D’Aosta, che a causa dell’esigiutà del territorio e della forte presenza della pubblica amministrazione si sta sviluppando con una certa lentezza, e le due fondazioni liguri, nate a Imperia e Savona.

Interessante è il caso della Fondazione della Comunità Veronese, nata circa un anno fa, che risulta essere l’unica non legata a una grande fondazione di origine bancaria. E’ molto giovane e la sua forza economica, per ora, è ridotta, ma pare sia riuscita ad avviarsi positivamente e sta iniziando a fare delle buone cose sul territorio. C’è poi la Fondazione Mirafiori, la cui attività tuttavia si è incentrata sulla gestione del Parco Colonnetti e che per questa ragione si è poco sviluppata in altri ambiti. Questo perché la gestione diretta di un progetto impedisce ad una FC di concentrarsi principalmente sui donatori e sulle erogazioni e, avendo i progetti scadenza precise, tende a fagocitare le risorse e le energie della fondazione stessa.

La fondazione in questo caso rischia di limitare fortemente il suo ruolo di intermediario filantropico, diventando sempre più gestore di un’iniziativa specifica e di confondersi con le altre nonprofit. Ci sono poi un po’ di fondazioni fatte da enti pubblici, soprattutto nel Nord-Est, di cui tuttavia non saprei dire il livello di sviluppo attuale. Solo negli ultimi anni, comunque, si è registrato un aumento d’interesse per le FC che ha favorito l’emergere di gruppi promotori in varie zone del Paese. Lo sviluppo che si poteva sperare non c’è stato anche perché le fondazioni d’origine bancaria che potevano svolgere un ruolo strategico nel promuovere l’idea hanno a lungo percipito le FC solo come referenti territoriali della Fondazione Cariplo e quindi poco interessanti per enti che operano su un territorio molto più ristretto.

Quindi da un lato Cariplo è stata la promotrice dei progetti…

Se non ci fosse stata Cariplo sicuramente non ci sarebbero le fondazioni di comunità in Italia.

… però dall’altro tutti coloro i quali sono esterni a Cariplo hanno una sorta di timore nell’affrontare il tema delle fondazioni di comunità. E’ corretto?

Si tende a pensare che la fondazione di comunità sia un soggetto delegato dalla Fondazione Cariplo alla gestione del territorio, o al più si ritiene che le fondazioni di comunità possano sorgere solo con la presenza di una grande fondazione di origine bancaria alle spalle.

Ma, oltre al caso di Verona di cui abbiamo parlato precedentemente, esistono altre realtà prive del sostegno di una fondazione bancaria?

Effettivamente l’unica che è partita senza nessun sostegno è la fondazione veronese. Anche la fondazione di Savona era partita in maniera simile, ma ora ha rapporti con la Compagnia di San Paolo. Si, solo la fondazione veronese attualmente non ha il sostegno diretto di una grande fondazione bancaria.

Una fondazione di comunità che non si affida a una fondazione bancaria ha secondo lei la possibilità di strutturarsi sul territorio?

Per ora la fondazione di Verona dimostra che è possibile. E’ chiaro che, data la complessità che sta dietro la creazione di una fondazione di comunità, sono ancora più necessarie persone decise e convinte del progetto.

Le altre fondazioni bancarie come si comportano di fronte al tema delle fondazioni di comunità?

La maggior parte, soprattutto quelle di piccole di dimensioni, non prendono seriamente in considerazione l’ipotesi perché, come detto, le vedono come distaccamenti territoriali di Cariplo e quindi pensano che la promozione di una simile infrastruttura abbia senso solo se si deve gestire un territorio molto esteso. In pratica si concentrano solo sul primo aspetto che ha spinto la Cariplo a dar vita al progetto e non considerano il secondo, ossia la capacità di catalizzare donazioni nel territorio. Questa percezione tuttavia sta progressivamente cambiando.

Secondo lei la fondazione di comunità è uno strumento che potrebbe essere ampliamente implementato in Italia?

Ne sono assolutamente certo. E sono sicuro che se una fondazione bancaria medio-piccola superasse le proprie remore nel costituire una FC, decidesse di investire in questo ambito avrebbe tali e importanti successi che sarebbe presto seguita dalle altre. Sono diversi i presidenti di fondazioni bancarie che, dopo aver spiegato loro cosa effettivamente le FC fanno, mi hanno confessato che hanno dovuto cambiare radicalmente l’idea che si erano precedentemente fatti circa il loro ruolo e funzione. Dall’altro lato iniziano a esserci sempre più richieste provenienti proprio dalle comunità, sia sotto forma di richieste istituzionali che dalle associazioni. Indubbiamente c’è quindi un interesse che bisognerebbe in qualche modo assecondare.

A questo proposito è stato recentemente creato, con l’idea che possa fungere da “incubatore” delle future FC, il Comitato per il Dono, di cui è presidente Zamagni. Potremmo considerare questo soggetto come una sorta di fondazione di comunità a livello nazionale. Il Comitato dovrebbe favorire la nascita di FC laddove ancora non esistono, creando fondi appositi che permettano l’avvio del progetto e l’indispensabile supporto tecnico che come detto è necessario affinchè una FC si sviluppi correttamente.

Inoltre, mentre le FC si formano e agiscono su un territorio specifico, il Comitato opera invece su tutto il territorio nazionale con l’idea primaria di poter assistere quei donatori che hanno esigenze non geograficamente limitate, o che hanno necessità di operare a cavallo di due territori coperti da due fondazioni distinte. Se per esempio un soggetto volesse attivare un progetto riguardante i territori che si affacciano sul lago di Como oggi dovrebbe rivolgersi sia alla Fondazione della provincia di Lecco sia alla Fondazione Provinciale della Comunità Comasca, raddoppiando ovviamente gli sforzi per mantenere contatti con entrambe. Il Comitato potrebbe permettere di superare queste limitazioni e attivare misure in grado di coinvolgere due o più fondazioni nello sviluppo del medesimo progetto.

Secondo lei le fondazioni in generale (fondazioni di impresa, fondazioni bancarie, fondazioni universitarie, etc.) possono svolgere un ruolo importante per il nostro Paese?

Credo che il punto sia questo: le risorse che questi enti possono mobilitare in realtà sono, rispetto sia alle risorse pubbliche che a quelle private, molto marginali Se noi guardiamo agli Stati Uniti, che hanno un settore filantropico notevolmente più sviluppato del nostro, le donazioni provenienti dalle fondazioni sono meno del 15% del totale. E’ pertanto sbagliato, soprattutto in relazione alla situazione italiana, pensare che le fondazioni potrebbero in qualche modo sostituirsi al settore pubblico o al contributo diretto dei privati. I soldi erogati dalle fondazioni sono però soldi interessanti, perché possono essere utilizzati per investimenti strategici.

Quali sono questi investimenti? Assifero ha individuato sei modalità strategiche con cui investire tali risorse, e che potrebbero contribuire positivamente allo sviluppo di una società più solidale. Tali modalità sono: intervento in caso di emergenza, sperimentazione di soluzioni innovative, mobilitazione risorse aggiuntive, sensibilizzazione ed advocacy, sviluppo degli enti non profit e promozione del’impatto collettivo. Le fondazioni, ribadisco, devono comunque mantenere un ruolo ancillare, e non possono essere considerate leader di questo cambiamento sociale. Questo per due ragioni: non hanno la legittimazione per farlo, se lo facessero sarebbe una forma di plutocrazia, e non hanno le conoscenze per imporre un reale cambiamento.

Mi spiego meglio: le fondazioni non sono “in prima linea”, non hanno la piena coscienza della realtà sociale e rischiano, pertanto, di farsi delle visioni astratte delle soluzioni senza poi riuscire a cambiare in meglio le cose. Il ruolo delle fondazioni è quello di facilitatore, non di risolutore. Il cambiamento dovrebbe essere guidato dalla politica, che però in questo momento non si sta rivelando all’altezza del compito, e dalla società civile e in particolare dagli enti non profit, i quali tuttavia sono concentrati principalmente sulla loro attività e sono carenti sotto questo punto di vista.

Quello che secondo me bisogna fare è aiutare gli enti non profit a stabilire delle visioni condivise su cui poi lavorare. In questo caso le fondazioni possono essere quei soggetti in grado di mettere i diversi attori del non profit intorno ad un tavolo, che possono fornire risorse che nessun altro sarebbe in grado di mettere, che possono costringere gli enti ad avere un approccio critico nei confronti dei loro limiti stimolandoli a migliorare. E’ infatti sempre possibile che le organizzazioni non profit perdano di vista il loro reale obiettivo e diventino succubi delle logiche produttivistiche siano esse pubbliche o di mercato. Le fondazioni potrebbero contribuire a mantenere alta l’attenzione delle organizzazioni, aiutandole a porre al centro della propria attività il tipo di cultura di cui sono portatrici piuttosto che la gamma di servizi offerti.

Le organizzazioni non proft offrono una visione che permette alle persone di manifestare una dimensione, quella della generosità, della relazione sociale, della solidarietà, che il pubblico e il mondo profit non sono in grado di stimolare e che, invece, il privato sociale può continuare a generare a condizione di non abbassarsi alla logica della produttività. Il nostro compito come enti di erogazione è quello di favorire e mantenere viva questa consapevolezza, spingendo il privato sociale a comprendere sempre meglio quale sia la sua missione e, in seconda istanza, aiutarli a realizzarla con gli strumenti che possiamo offrire.