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Banca Prossima è una controllata del Gruppo Intesa Sanpaolo che offre servizi dedicati esclusivamente al terzo settore e che negli anni è stata in grado di sviluppare strumenti finanziari fortemente innovativi, capaci di rispondere alle complesse esigenze del mondo dell’associazionismo, del volontariato e della cooperazione sociale. Abbiamo chiesto a Marco Morganti, amministratore delegato dell’istituto, di raccontarci genesi e sviluppo di questa particolare realtà e delle modalità attraverso cui essa opera in favore del settore non profit italiano.

Dottor Morganti, perché Banca Intesa Sanpaolo ha scelto di dar vita a un istituto di credito che si dedicasse esclusivamente alle organizzazioni appartenenti al terzo settore? Da dove è nata l’idea?

L’idea di dar vita a Banca Prossima è nata nel momento in cui Intesa Sanpaolo ha lavorato insieme alle tre più grandi reti che gestiscono asili nido – CGM, Cdo e Legacoop – per la costituzione del Consorzio Pan. In quell’occasione abbiamo conosciuto più da vicino le imprese sociali, abbiamo imparato a conoscerle – in un certo senso “affezionandoci” ad esse – e sono emerse alcune evidenze molto interessanti sul ruolo che le realtà non profit svolgono in favore delle comunità in cui operano. Così abbiamo iniziato ad intuire quale funzione le imprese sociali avrebbero potuto assumere per il sistema italiano, in particolare per quel che riguarda quell’enorme mercato a metà strada tra i servizi garantiti – o forse non più garantiti – dal settore pubblico e quelli offerti dal mercato privato profit. Ci siamo accorti che il terzo settore, per il suo orientamento alla creazione del bene comune e per la sua logica di ampliamento della base di fruitori, ha una carta in più rispetto a tanti altri attori, sia pubblici che privati. La “macchina” del terzo settore, infatti, tende a fermarsi dopo quella del mercato profit, raggiungendo obiettivi che altri settori non sono in grado (o non hanno la volontà) di raggiungere.

Eppure nessun istituto di credito fino a quel momento aveva scelto di dedicare servizi appositi al settore non profit. Ma come mai? Il terzo settore non ha fama di essere cattivo pagatore o di essere caratterizzato da comportamenti opportunistici da parte dei suoi membri – non si sentono mai casi di imprenditori del terzo settore che chiedono i soldi in banca e poi scappano col capitale – eppure mancava un’offerta bancaria specificamente dedicata ad esso. Verso l’economia non profit era presente un sentore diffuso che la voleva incapace di accettare alcune sfide e impegni al pari del settore privato. Per questa ragione molte imprese non profit venivano escluse un po’ aprioristicamente dalle banche, che le ritenevano incapaci di poter restituire i prestiti che richiedevano. Pensiamo per esempio al caso della Chiesa: è rarissimo che una parrocchia “fallisca” e non restituisca prestiti ricevuti, però le banche consideravano questa economia, pur non avendone le evidenze, come fragile e inaffidabile.

Noi, come detto, avevamo però due sensazioni molto forti che ci hanno spinto ad interessarci concretamente a questo ambito: l’esistenza di un grandissimo spazio di mercato in cui avrebbe potuto operare il terzo settore e il fatto che le organizzazioni ad esso riconducibili quando usano il denaro lo usano bene. Così è nata un’idea per poter meglio supportare le organizzazioni del terzo settore: cambiare gli strumenti attraverso cui normalmente si valuta la bancabilità con l’obiettivo ultimo di creare un accesso al credito più facile per il terzo settore, prestando per un tempo più lungo e a un tasso più basso. Si noti: non volevamo cambiare l’atteggiamento verso le organizzazioni – non volevamo essere “più aperti”, “più buoni” “di manica larga” con il terzo settore – ma cambiare gli strumenti di valutazione. Così abbiamo fatto un’analisi regressiva su una serie di soggetti del terzo settore già clienti di Intesa Sanpaolo e su un certo numero di cooperative sociali di cui potevamo conoscere i dati di bilancio, facendo riferimento alle grandi centrali della cooperazione (Confcooperative, Legacoop, Compagnia delle Opere). Quando ci siamo resi conto che le evidenze empiriche iniziali sulla solidità di questi soggetti diventavano evidenza teorica abbiamo deciso di dare il via a un nuovo modello di rating che fosse finalizzato a cogliere più i punti di forza che non i punti di debolezza del terzo settore. Banca Intesa Sanpaolo nel 2007 ha quindi avuto il grande merito di mettere in discussione l’efficacia del proprio metodo di valutazione relativo al terzo settore che, in quel momento, era praticamente identico al metodo di valutazione “standard” utilizzato per tutte le altre operazioni, costituendo Banca Prossima.

Questa scelta di campo si è rivelata corretta?

A distanza di molto tempo ci siamo resi conto di come le intuizioni avute all’inizio fossero sostanzialmente giuste: i soggetti non profit hanno una sostenibilità che sta nelle cose, nella realtà, e non solo nelle intenzioni a livello morale – perché il livello morale ti impedisce di rubare, ma sicuramente non ti impedisce di fallire o di far male – che è ben visibile anche in questo momento di crisi. Il terzo settore perché non fallisce con gli stessi tassi delle organizzazioni profit? Secondo me per tre ragioni:

Primo: le organizzazioni del terzo settore puntano la loro attività sempre verso bisogni primari e vitali. Faccio un esempio: se si guarda ai bisogni medi degli italiani il bisogno culturale, declinabile per esempio nella volontà di avere più musei nella propria città, è probabilmente al centesimo posto della lista delle necessità contingenti. La prospettiva tuttavia cambia notevolmente se invece del campione “gli italiani” si prendono in considerazione gli appartenenti all’associazione “amici dei musei”. Se il concetto di primarietà del bisogno passa da un ranking nazionale – che necessariamente non riconosce differenze da luogo a luogo e da contesto a contesto – ad un cintesto in cui al centro c’è la comunità di riferimento, un contesto particolare, uno specifico gruppo di persone, anche il bisogno di musei può risultare un bisogno primario. Mentre un ranking indifferenziato non tiene conto di questa possibilità, un ranking che si basa sulle comunità coglie queste unicità, ed è di conseguenza capace di valorizzare lo sforzo delle organizzazioni del terzo settore per tutelare bisogni che, per i propri membri, risultano primari.

Secondo: le organizzazioni del terzo settore sono solide perché si occupano di attività che non sono oggetto di concorrenza da parte di soggetti operanti in altri Paesi. Chi produce viti o lampadine in Italia deve scontrarsi quotidianamente con chi li produce a un minor prezzo in altre parti del mondo, ma chi produce sistemi di welfare per la famiglia si regola nel suo confronto solo sul mercato interno, dove esiste una competizione sicuramente minore.

Terzo: il settore non profit deve parte della sua forza al fatto di poter impiegare nella produzione un fattore che è totalmente peculiare: la gratuità. Il dono è un concetto che in economia non esiste. Per l’economista il dono non ha nessun significato riconoscibile: non è finalizzato necessariamente a uno scambio e la sua motivazione è profondamente non razionale. Eppure il dono, sia in termini di denaro che di tempo offerto sotto forma di volontariato, è un fattore importantissimo che nessun altro settore possiede. Ma per una banca normale la donazione, anche se ricorrente, anche se annuale, non è mai percepita come una fonte finanziaria ma come una serie di eventi occasionali e fortuiti. E’ un fattore curioso perché il dono è una ricchezza per il territorio che lo possiede. Che differenza c’è tra una donazione e un giacimento petrolifero? L’uno e l’altro possono esaurirsi da un momento all’altro, ma se entrambi ci sono rappresentano comunque una risorsa e una ricchezza per il territorio.

Intesa Sanpaolo ha iniziato a prestare attenzione a questi fattori guardati con disinteresse dalle altre banche e ha infine dato vita a Banca Prossima, che possiede alcune caratteristiche del tutto peculiari. In primo luogo è l’unica banca che si occupa solo di economia sociale. Non ha clienti privati non ha clienti pubblici, non ha clienti for profit. Ci occupiamo solo di associazioni, fondazioni, cooperative sociali e di tutte le articolazioni che indichiamo come “Chiesa”. E questi quattro campi sono i nostri unici ambiti di attività. 
In secondo luogo, è parte di un grande gruppo del credito, fatto che ci ha dato un’enorme vantaggio nelle fase di avvio: abbiamo potuto usufruire della rete di 5.000 sportelli di Banca Intesa, non abbiamo dovuto creare una nostra infrastrutturazione sui territori. Questo fatto ci ha permesso di evitare tutta una serie di costi che sicuramente avrebbero potuto minare la nostra operatività iniziale. 
In terzo luogo, ha un modello di rating modificato ma qualificato, con client e regole apposite che permettono di avere una maggiore inclusività che, rispetto a Intesa Sanpaolo, è pari circa al 30%. Per capirci meglio: in media Intesa Sanpaolo su 100 operazioni possibili non ne svolge 40 che, invece, Banca Prossima svolge grazie all’applicazione dei criteri di bancabilità prima citati. Viceversa Banca Prossima ogni 100 operazioni non ne può svolgere 10 che, invece, potrebbero essere svolte dalle altre controllate di Intesa Sanpaolo. 
In quarto luogo possiede una caratteristica non propriamente bancaria: fa del credito a soggetti “fragili”, o ritenuti tali, cercando di diminuirne il loro livello di fragilità. Lo fa mettendo insieme tante piccole garanzie provenienti da soggetti diversi (fondazioni, istituzioni pubbliche…) che, volendo far accadere una “cosa sociale” ma ad alto rischio finanziario, dispongono garanzie parziali sul rischio assunto dalla banca. Tuttavia, volendo fare questo mestiere industrialmente, volendo aumentare l’accesso al credito a un livello più alto, cambiare i livelli di valutazione e chiedere il supporto di altri soggetti che fornissero una qualche forma di garanzia è stata solo una parte del lavoro. Banca Prossima, rinunciando a una parte degli utili – per statuto ad almeno il 50% degli stessi – ha quindi sviluppato un fondo di garanzia che le consente di concedere credito a condizioni che nessun altro si assumerebbe. Lo abbiamo fatto creando ovviamente degli svantaggi per gli azionisti, che sono tuttavia consapevoli di questa particolare scelta che li porta necessariamente a guadagnare meno rispetto ad altre parti. Il nostro fondo di garanzia attualmente è pari a 24 milioni di euro che, con un moltiplicatore medio pari a 5, ci consente di fare all’incirca 100 milioni di credito.
Infine, per le ragioni del punto precedente, la Banca si inibisce per statuto la possibilità di fare donazioni, prendendo atto che il denaro donato sarebbe sottratto al fondo di garanzia. Senza fondo la banca non può favorire lo sviluppo sociale previsto dal suo statuto (art. 4) e quindi non dona ma accumula risorse destinate al fondo di garanzia. Oggi siamo un unicum nel panorama bancario non solo italiano ma anche internazionale: non ci sono altre banche che, come noi, offrono una così vasta gamma di servizi specificamente dedicati al terzo settore.

Mi può spiegare meglio la peculiarità del vostro modello di rating?

Questo è un tema che porta a riflettere circa l’attività sociale delle banche e la loro possibilità di essere più sociali di quanto non siano attualmente. Il normale rating bancario garantisce al soggetto il denaro necessario ad aumentare il reddito futuro basandosi però sulla sua capacità di restituirlo al momento in cui viene effettuata la richiesta. Nel nostro modello di rating invece, in cui ci sono diversi elementi riconducibili al concetto di project financing, quando un’organizzazione del terzo settore viene a chiedere denaro per poter realizzare un’iniziativa dalla cui efficacia deriveranno le risorse sufficienti a ripagare quel debito noi scegliamo di finanziarla. Banca prossima dice all’organizzazione non profit che, se attraverso il finanziamento sarà in grado di aumentare il proprio ritorno economico e quindi potrà ripagare il debito in futuro, allora le sarà concesso il prestito. Per un soggetto poco patrimonializzato, come sono appunto le organizzazioni del terzo settore, qui sta la differenza tra fare e non fare. Se usassimo un modello di rating standard finiremmo per prestare soldi solo a soggetti con patrimonio, ovvero a quelli che vengono per ultimi nell’elenco delle “urgenze” e delle “priorità”.

Alcune ricerche recenti – penso in particolare ai rapporti curati da UBI Banca e alla ricerca di Unicredit Foundation sul valore economico del terzo settore – dimostrano come il settore non profit, nonostante tutto, sia in forte espansione. Questo fatto ha spinto anche altre banche a sviluppare servizi dedicati ma, se si leggono bene i dati, si scopre che il terzo settore ha delle remore a rivolgersi agli istituti di credito, e che i rapporti tra banche e terzo settore sono molto più complicati di quello che uno può pensare. Il terzo settore a suo modo di vedere ha paura di impegnarsi? Ha paura di “diventare grande”?

Che il terzo settore sia cresciuto e possa ulteriormente espandersi è indubbio. Che voglia farlo usufruendo degli strumenti bancari è molto meno ovvio. Tante organizzazioni a mio modo di vedere si sono “arrese”, sanno che alla fine dovranno rivolgersi alle banche per poter continuare a operare, ma lo fanno con poca convinzione. Andare a debito è una cosa che alcuni segmenti del terzo settore hanno nel DNA. Penso in primo luogo alle cooperative sociali, ma anche fra gli enti religiosi sono tanti i soggetti che tendono a rivolgersi alle banche e sono abituati a ricorrere al credito per rispondere alla proprie necessità. Esiste tuttavia una parte del terzo settore maggiormente restia a ricorrere ai servizi offerti dalle banche: il volontariato indubbiamente fatica a prendere credito. L’obiettivo ora deve essere quello di affiancare questi soggetti nelle loro scelte economiche, in particolare facendo pedagogia sull’uso del denaro bancario. E’ importante supportare adeguatamente queste organizzazioni che pur non richiedendo grosse risorse sono in grado di creare lavoro e generare benefici per le comunità in cui operano. Fa pensare che negli ultimi tre anni le cooperative sociali hanno garantito 18.000 nuovi posti di lavoro, crescendo di circa il 7% in un momento in cui si assiste a una flessione in tutti gli altri campo.

Inoltre penso che occorra a livello generale andare oltre una visione un po’ moralistica del terzo settore. Le persone che lavorano in questi ambiti sono indubbiamente brave persone, che meritano rispetto per l’impegno e la dedizione con cui svolgono le proprie attività, ma bisogna anche tener conto di altri fattori, come l’efficienza. Al di là delle attività meritorie svolte, le organizzazioni del terzo settore, infatti, possono essere caratterizzate da un alto come da uno scarso livello di efficienza, ed è ovvio che nel momento in cui si richiede un prestito bisogna poter dimostrare che si è capaci di fare bene, e che non si è solo buoni. Pensi anche all’impatto che una buona gestione, efficiente e efficace, può avere agli occhi dei cittadini, che ora possono sostenere le organizzazioni attraverso la nostra piattaforma online: Terzo Valore. Perché un privato dovrebbe voler sostenere una realtà che, pur impegnata in ambiti sociali sicuramente importanti, si comporta con scarsa efficienza, non rispetta gli impegni presi e non raggiunge i propri obiettivi?

Terzo Valore è uno strumento molto interessante che, partito un po’ in sordina, ora si sta dimostrano capace di raggiungere risultati importanti dal punto di vista economico. Da dove è nata l’idea di sviluppare questa piattaforma?

E’ venuta da un incontro con alcune organizzazioni che facevano crowdfunding e crowdlanding con cui abbiamo iniziato a discutere di un particolare tipo di prestito denominato “social lending”. Il modello ci è parso da subito interessante, perché applicabile non solamente alla nostra clientela tradizionale ma espandibile anche ad altre categorie. L’obiettivo dello strumento è semplice: prestare denaro a un tasso più basso di quello offerto dal mercato. Siccome in Italia il rendimento del denaro depositato in banca è minimo, gli investimenti assennati rendono poco e, contemporaneamente, il costo del denaro prestato è molto alto, ci pareva una soluzione interessante da introdurre anche nel nostro Paese. A differenza del modello originale, siamo partiti con l’idea di garantire un’attenuazione del rischio a quei cittadini che avessero deciso di finanziare i progetti selezionati. La Banca d’Italia tuttavia ritenne questa modifica del modello ancora troppo poco garantista e, quindi, ci ha spinto a sviluppare uno schema che fondamentalmente permette al cittadino di non prendersi nessun rischio. Così è partito Terzo Valore che, nella sua enorme semplicità, non è altro che un crowdlanding destinato al sociale con garanzia bancaria.

Quali risposte avete avuto dalle organizzazioni? Quali dai cittadini?

Tutte le organizzazioni che partecipano a Terzo Valore rispondo ai criteri di bancabilità di Banca Prossima quindi, prima di partire, viene sempre svolta una analisi che permetta di definire l’affidabilità dell’organizzazione in questione. La Banca come detto garantisce totalmente il credito fornito dai privati quindi, in caso di mancata restituzione, gli oneri ricadono totalmente sull’istituto. In realtà che un’organizzazione pensi di riuscire a farsi prestare denaro dai cittadini attraverso la piattaforma è già un indizio molto positivo, poiché indica che quella organizzazione ha presumibilmente una relazione solida con la sua base. Per ora, vista la giovinezza dello strumento, non abbiamo grandi dati a disposizione, ma non mi stupirei se tra qualche anno ci rendessimo conto che terzo valore ha performance migliori dei normali prestiti di Banca Prossima.

Come pensate di diffondere ulteriormente Terzo Valore?

Noi non abbiamo mai seguito la via della pubblicità per promuovere questo strumento. Anche per questo, forse, per ora le organizzazioni che hanno scelto di usufruire di Terzo Valore non sono molte, ma per il futuro contiamo molto nella diffusione customer-to-customer. E abbiamo indizi che ci dimostrano come questo approccio funzioni abbastanza bene. Terzo valore è molto bello perché pur essendo una “chicca”, uno strumento per pochi – che sono pochi perché in pochi partecipano, se volessero partecipare tutte le organizzazioni italiane sarebbero le benvenute! – mettono in circolo tantissime risorse aggiuntive, non solo economiche, rispetto a quelle prestate dalla banca e dai cittadini. Mi spiego meglio: Terzo Valore non è finalizzato a garantire donazioni, ma si è rivelato capace di scatenarle. Oltre alle risorse derivanti dai prestiti sono infatti numerosissime le donazioni, che raggiungono anche il 30% del totale richiesto dalle organizzazioni. Chi dona attraverso Terzo Valore, infatti, dona senza il dubbio che quel progetto possa o meno avere un esito positivo perché c’è una garanzia, in primo luogo economica, che quel progetto comunque si realizzerà. Quando si dona attraverso i canali tradizionali non si ha nessuna garanzia che l’attività finanziata andrà a buon fine. In questo caso sì.

Qualche organizzazione all’inizio ha storto il naso davanti a Terzo Valore, perché pensava che a fronte di un aumento dei prestiti si sarebbe assistito a una diminuzione delle proprie donazioni. Questo in realtà, come detto, è stato smentito dai dati, perché sono aumentati i prestiti ma sono aumentate anche le donazioni proprio perché c’è quella sicurezza sulla fattibilità dei progetti sostenuti che prima non c’era. Personalmente, inoltre, ritengo che sia molto meglio perdere un dono e guadagnare un prestito che il contrario. Questo perché il dono te lo devi giocare anno dopo anno, il prestito attraverso Terzo Valore invece garantisce un vantaggio che dura per tutta la durata del prestito. Invece di avere l’effetto una volta sola (che chiede una rinegoziazione anno dopo anno con tutti i costi ad essa collegati) si ha un’entrata sicura, continuativa, derivante dall’impegno assunto col privato cittadino.

Un’altra via interessante per diffondere lo strumento potrebbe essere quella di formare degli “attivatori sociali” che, attraverso un minimo stanziamento da parte delle organizzazioni – che potrebbero, ad esempio, stanziare un 5% della differenza tra interessi realmente pagati e quelli che sarebbero stati pagati in assenza di Terzo Valore – potrebbero diffondere sia il progetto dell’organizzazione sia la nostra piattaforma. Gli strumenti finanziari offerti da una banca ritengo vadano spiegati, e penso che spiegando bene Terzo Valore questo strumento potrà avere un successo molto superiore a quello attuale.

Quali sono secondo lei gli aspetti più positivi di Terzo Valore?

Terzo valore, rispetto ad altri strumenti presenti sul mercato, non chiede al cittadino di rinunciare a qualcosa, non funziona come un obolo, non sceglie arbitrariamente a chi dare e a chi non dare. Permette ai cittadini di scegliere la modalità che preferiscono per donare e, dall’altro lato, consente a qualsiasi organizzazione ritenuta affidabile di usufruire della piattaforma per promuovere il proprio progetto. Inoltre, abbiamo sviluppato uno strumento potenzialmente “esportabile”, utilizzabile anche da soggetti non strettamente collegati all’idea di terzo settore. Mi spiego meglio: se si volesse favorire un’iniziativa ritenuta ad alto impatto sociale, per esempio incentivare le giovani coppie nell’acquisto della casa, in questo momento bisognerebbe presumibilmente fare ricorso al prestito bancario. Perché non pensare che cittadini con disponibilità economiche partecipino a quel prestito abbassandone il costo in termini di interessi? Pensi a quante cose si potrebbero fare utilizzando questa modalità in cui non si parla neanche più di profit o non profit, ma di una modalità diversa di fare la banca, orientata anzitutto allo sviluppo del bene comune.

 

Riferimenti

Banca Prossima

Terzo Valore

Secondo rapporto UBI Banca su Finanza e Terzo Settore

La ricerca di Unicredit Foundation sul valore economico del terzo settore

 

I nostri approfondimenti sulle banche e la finanza sociale

Le banche e l’investimento nel sociale

Risultati e prospettive dei Social Bond di UBI Banca

Banca Prossima e Cariplo insieme per il social housing

Banca Prossima e Legacoop Umbria insieme per l’innovazione del welfare

 

 

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