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Si può uscire dalla Grande Recessione? Come far ripartire insieme crescita e occupazione, soprattutto per i giovani? Enrico Letta sa bene che le risposte devono passare per Bruxelles. Per questo ha invitato a Roma i Ministri del Lavoro e dell’Economia di Spagna, Francia e Germania: una combinazione inedita, volta a creare un raccordo più diretto fra politiche economiche e politiche fiscali.

L’agenda è ambiziosa: incrementare le risorse UE e immetterle subito nell’economia, soprattutto in quelle regioni che registrano tassi di disoccupazione giovanile sopra il 25%. Quattro le proposte più rilevanti: immediata disponibilità dei 6 miliardi di euro del Fondo “Iniziativa Giovani”, per facilitare la transizione scuola-lavoro; possibilità di usare il Fondo Sociale Europeo (15 miliardi l’anno) per incentivare l’assunzione di giovani; creazione di una nuova linea di credito agevolato presso la Banca Europea degli Investimenti (fra i 5 e i 10 miliardi)a favore di quelle piccole e medie imprese che, investendo, creano nuovi posti di lavoro per i giovani. Verrà inoltre ribadita la richiesta di ri-orientare i Fondi Strutturali e di Coesione UE verso investimenti in crescita e occupazione (circa 50 miliardi l’anno).

Una simile iniezione di denaro sarà sufficiente? Ammettendo di ottenere il sostegno degli altri Pesi membri, il vero ostacolo è quello delle regole. Bruxelles si muove lentamente, fra l’impegno contabile e l’effettiva disponibilità delle risorse possono passare molti mesi, persino anni. E in più gli Stati membri devono investire anche risorse proprie, altrimenti i fondi UE non arrivano.

Con un mandato chiaro da parte dei capi si Stato e di Governo, che si riuniranno a fine giugno, la Commissione potrebbe snellire le procedure. Per quanto riguarda il co-finanziamento nazionale, una soluzione ci sarebbe: scorporare le spese per investimenti su crescita e lavoro dal computo di quel “pareggio strutturale di bilancio” a cui ci obbliga il Patto di Stabilità. Anche se tutti ormai ne parlano (la Commissione sta già elaborando possibili soluzioni tecniche) il tema resta però un vero e proprio tabù per la Germania, almeno fino alle elezioni del prossimo settembre. A porte rigorosamente chiuse, è probabile però che l’incontro di oggi parlerà anche dell’opportunità di inserire nel Patto di Stabilità una “clausola investimenti”, riservata ai paesi senza deficit eccessivi.

Il fatto che l’Italia sia finalmente entrata nel club dei virtuosi, grazie alle riforme dell’ultimo anno e mezzo, ci consentirebbe di recuperare tramite questa clausola preziosi margini di manovra. Con il veto della Germania, è tuttavia impensabile che si arrivi a questo in tempi rapidi. Nel frattempo, ci dovremo accontentare della moral suasion nei confronti della Commissione, alla quale il Consiglio europeo dello scorso marzo aveva già raccomandato (anche su iniziativa di Mario Monti) l’adozione di “flessibilità controllata” nel calcolo dei deficit strutturali.

Il grande assente in questo gioco europeo è il Regno Unito. E’ un peccato. In seno al G8 Cameron sta promuovendo una strada meritevole di grande attenzione: la mobilitazione di capitali privati (non solo di banche e assicurazioni, ma anche di istituzioni filantropiche) per l’occupazione giovanile. La crisi non ha colpito tutte le imprese in maniera omogenea. Chi è stato risparmiato (magari anche grazie a salvataggi pubblici) deve ora mettere a disposizione il suo contributo.

Il fronte europeo è cruciale, ma la battaglia per crescita e lavoro va combattuta in casa. Oltre alle modifiche (a costo zero) alla riforma Fornero, il governo Letta deve fare una scelta netta a favore di crescita e occupazione nelle proprie decisioni di bilancio, anche sacrificando, pro tempore, le promesse fatte sull’IMU o sull’IVA. E’ vent’anni che non cresciamo e che sacrifichiamo i giovani. Se non voltiamo subito pagina, come paese non abbiamo davvero alcun futuro.

Questo articolo è stato pubblicato anche sul Corriere della Sera del 14 giugno 2013

 

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