Di solito quando si discute di non autosufficienza si pensa subito alle persone anziane, mentre più di rado ci si riferisce alla condizione dei minori con disabilità e delle loro necessità. Proprio allo scopo di riportare l’attenzione su tale questione – e tenendo presente anche la nostra recente adesione all’Alleanza per l’infanzia – oggi vogliamo segnalare una proposta volta a ripensare gli strumenti per l’inclusione dei minori con disabilità. L’articolo è firmato da Gianluca Budano (Consigliere di presidenza Acli con delega alle politiche della famiglia e portavoce di Investing in Children) e Roberto Speziale (Presidente nazionale ANFFAS, Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale).

Di solito quando si discute di non autosufficienza ci si riferisce alle persone anziane, mentre poco o nulla si dice sulla condizione dei minori con disabilità e della necessità di offrire loro, nel modo più precoce e tempestivo possibile, le straordinarie opportunità che oggi offre una consolidata esperienza ed una avanzata conoscenza scientifica nei vari ambiti di vita. L’attuale ordinamento, pur prevedendo molti strumenti per rispondere in modo adeguato ai bisogni di sostegno anche dei minori con disabilità, spesso risulta piuttosto frammentato e scoordinato. Per esempio, è di indubbia importanza che gli interventi effettuati nel contesto scolastico e quelli realizzati all’esterno debbano essere tra loro coordinati e non confliggenti, valorizzandosi gli uni con gli altri, ponendo sempre al centro del sistema il percorso di ciascun minore con disabilità. Ma non sempre è così.

Ed è proprio in quest’ottica che il PEI (Piano Educativo Individualizzato), grazie alla nuova riforma del sistema di inclusione scolastica e, precisamente, ai sensi dell’articolo 6 del Dlgs n. 66/2017, diviene parte integrante del progetto individuale di vita di ogni bambino/a, alunno/a, studente/studentessa con disabilità. Infatti, con il decreto legislativo n. 66/2017 si è inteso creare un percorso di inclusione scolastica che non si focalizzi solo sui temi della frequenza e degli apprendimenti scolastici, ma che prosegua in tutti i contesti di vita quotidiana. Quindi, il PEI, pensato come l’insieme coordinato degli interventi e dei supporti per favorire l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, deve intersecarsi, all’interno del più ampio progetto individuale di cui all’ex art. 14 della Legge n. 328/00, con tutti gli altri contesti di vita e con tutte le altre occasioni di crescita, che possono crearsi attorno al bambino/ragazzo. Ciò al fine di favorirne lo sviluppo in chiave “olistica” della qualità di vita nelle successive fasi di sviluppo e di crescita.

Ovviamente questo non può prescindere dalla realizzazione di un progetto più ampio, che preveda quindi anche interventi a sostegno e supporto – anche di natura economica – della famiglia, considerato il suo insostituibile ruolo di soggetto che, nel superiore interesse del ragazzo, deve costituite una vera e propria “comunità educante” (a questo riguardo, per un maggiore approfondimento, vi rimandiamo al nostro Focus dedicato al tema ZeroSei).


La correlazione tra disabilità e povertà

Questa visione integrata degli strumenti a sostegno dei minori con disabilità assume una valenza straordinariamente rilevante quando alla disabilità si aggiungono altre condizioni di svantaggio sociale che, a vario titolo, vive il nucleo familiare di provenienza.

Benché non esistano dati recenti sulla correlazione tra disabilità e povertà in Italia, è ormai opinione diffusa che nel momento in cui un nucleo familiare si trova a dover sostenere carichi di cura legati ad una persona con disabilità, soprattutto se giovane, le difficoltà economiche aumentano. A tali complessità si sommano poi quelle legate alla povertà educativa: possono infatti venir meno per i genitori/familiari le condizioni per garantire loro ulteriori occasioni di crescita e di esperienza, visto che le risorse e il tempo sono già assorbiti dal sostegno alla vita quotidiana.

Offrire un’attività di cura personale genera depauperamento delle risorse familiari sia perché si acquistano servizi sia perché ci si dedica come caregiver familiare, sottraendo però tempo ed energie all’attività lavorativa; è indubbio, inoltre, che tali condizioni siano direttamente connesse al progressivo aggravamento delle stesse condizioni di disabilità, che rischiano di far entrare il minore ed i suoi familiari in una vera e propria spirale che ne connoterà, in negativo, l’intero arco della vita.

Verso l’integrazione tra PEI progetti individuali per un welfare "circolare"

È in questo preciso contesto sociale allora che il “progetto individuale di vita” – definito all’interno dell’ex art. 14 Legge n. 328/00 – potrebbe divenire un metodo di lavoro utile per poter superare una condizione di doppio svantaggio (disabilità e povertà/affanno familiare). Attraverso i progetti individuali possono infatti essere promossi alcuni interventi a supporto dell’equilibrio familiare.

In tal senso anche fornire servizi di assistenza, sostegno ed accompagnamento presso vari contesti educativi (famiglia, scuola, oratorio, manifestazioni sportive, culturali, ecc.), aumenterebbe le opportunità del minore, non più legato solo alla disponibilità (temporale, economica, ecc..) dei genitori, i quali a loro volta potrebbero dedicare tempo ed energie per attività da cui trarre ulteriore reddito a sostegno di altre esperienze formative, ad alto livello di inclusività (fare, gite, colonie e campi estivi, soggiorni climatici, etc.).

L’intreccio tra un Piano Educativo Individualizzato ed un intervento che si avvale di risorse sanitarie, assistenziali e sociali può essere interessante anche per rendere efficaci le azioni sul minore sviluppate tra scuola e ambienti extra scolastici, come nel caso in cui si coordinino gli stimoli dell’educatore professionale che fornisce assistenza specialistica per l’autonomia e la comunicazione a scuola e quelli dell’educatore che, a sua volta, si occupa maggiormente dell’ambito domiciliare. Così si potrebbe garantire quella continuità tra attività scolastica ed attività extra scolastica, coinvolgendo anche gli studenti con disabilità in percorsi di alternanza scuola/lavoro.

Occorre, quindi, pensare ad un welfare “circolare” che utilizzi il PEI come parte integrante del progetto individuale e sia in grado di offrire alle istituzioni scolastiche strumenti aggiuntivi per agire anche in contesti extrascolastici e, a loro volta, agli altri contesti di interagire, proattivamente con il contesto scolastico. Allo stesso tempo, occorre immaginare un progetto di vita che sappia sostenere le famiglie anche nel ruolo educativo del minore.

Per far ciò occorre operare affinché le risorse previste dal Fondo Nazionale per la non autosufficienza, dal Fondo Nazionale per il contrasto alla povertà educativa minorile, dal Fondo Nazionale per il contrasto alla povertà, dal Fondo Sociale Nazionale e analoghi fondi messi a disposizione dalle Regioni e dagli Enti Locali possano integrarsi e ricomporsi, attraverso un piano individuale nel “Budget di progetto”.

I risultati di una vera integrazione dei fondi e degli interventi sarebbero notevoli per la vita dei minori, per le loro famiglie e per tutta la comunità. Nell’automatismo di una presa in carico integrata e appropriata (perché completa) si favorirebbe la ricostruzione di quella sicurezza sociale sempre più messa in discussione. Ripartiamo dai bambini per costruire una piccola rivoluzione di presa in carico delle non autosufficienze nel nostro Paese, rendendo efficiente il sistema. Solo così si darebbe pieno senso ed attuazione ai paradigmi culturali e normativi sanciti dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.