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Con l’espressione “Durante e dopo di noi” ci si riferisce all’evoluzione del ciclo di vita delle persone con disabilità e, in particolare, al momento in cui queste non avranno più una famiglia che le possa sostenere nelle proprie esigenze. Il presupposto essenziale di questo approccio è il riconoscimento delle persone con disabilità come adulti, che hanno tuttavia bisogno di adeguati sostegni giuridici, patrimoniali, educativi, assistenziali e relazionali per poter vivere la propria esistenza.

In questo contesto si colloca la cosiddetta “Legge sul Dopo di Noi” (legge 112/2016) che, pur non modificando l’impianto delle politiche per la disabilità del nostro Paese, ha introdotto alcuni strumenti ritenuti efficaci per favorire la domiciliarità e la deistituzionalizzazione delle persone con disabilità, operando nel contempo un riconoscimento formale di risorse private patrimoniali, gestionali ed esperienziali – come le polizze assicurative e i trust – che possono agevolare queste azioni. La legge sul “Dopo di Noi” è stata infatti pensata per perseguire “il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia della persona con disabilità” (art. 1, comma 1), prevedendo importanti interventi pubblici e privati, accompagnati da significativi sgravi fiscali (art. 6, comma 1), corroborati dall’istituzione di un apposito Fondo pubblico di assistenza (art. 3).

Partendo dalla persona e dai suoi bisogni, desideri, aspettative e preferenze, l’obiettivo è dunque favorire l’autonomia e l’uscita dal nucleo familiare di origine anche mediante soggiorni temporanei al di fuori del contesto familiare, per favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia della persona con disabilità. Una previsione conforme a quanto disposto dagli articoli 3 e 19 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata dall’Italia con la Legge 3 marzo 2009, n. 18.

In questo quadro la legge segue due direttrici principali: da un lato l’istituzione di un Fondo statale ad hoc, ripartito tra le varie Regioni, per l’organizzazione di soluzioni alternative agli istituti come, ad esempio, il cohousing; dall’altro la previsione di sgravi fiscali per forme di trust e donazioni da parte delle famiglie ai propri congiunti disabili.


A che punto siamo? Nuove risorse ma le Regioni sono in ritardo

La seconda relazione al Parlamento sullo Stato di applicazione della Legge avrebbe dovuto essere presentata entro giugno 2018, ma così non è stato. Tuttavia è possibile operare una prima valutazione dell’impatto del provvedimento.

In primo luogo, la legge mette a disposizione una quota importante di risorse, peraltro aumentate dall’ultima Manovra finanziaria: la Legge di Bilancio 2018 (Legge 205/2017) aveva infatti ridotto lo stanziamento per il 2018 e per il 2019 da 56,1 milioni a 51,6 milioni di euro, ma la Legge di Bilancio approvata lo scorso 30 dicembre (art. 1, comma 455) ha riportato il Fondo per il 2019 alla cifra originale: 56,1 milioni di euro.

Lattuazione della legge su base regionale sembra però procedere a velocità diversa da Regione a Regione. Soltanto in Lombardia, Marche, Molise e Toscana si è partiti con la stesura dei progetti individuali previsti dalla normativa; in Lazio, Campania, Basilicata, Calabria si è dato avvio all’attivazione delle richieste di redazione e approvazione dei progetti individuali; in Friuli Venezia Giulia e Veneto si è deciso di co-progettare con gli “Enti gestori” e di attuare per loro tramite gli interventi previsti dalla Legge 112/2016; Emilia Romagna e Liguria sono invece partite dall’individuazione e dall’intervento sugli immobili. In altre regione, invece, il processo è ancora agli inizi: ad esempio in Abruzzo, Puglia e Piemonte c’è solo una programmazione di carattere generale.

Poiché i progetti individuali sono individuati come una tappa necessaria per la corretta applicazione della Legge 112/2016 occorrerà vigilare con attenzione su questo aspetto. Il punto principale del provvedimento è infatti l’autonomia della la persona con disabilità


Qualche riflessione giuridica sugli strumenti di gestione patrimoniale previsti dalla Legge

Ma quali sono gli strumenti giuridici attraverso cui la normativa intende favorire questi percorsi di autonomia? Proviamoa  capirlo meglio. L’articolo 1 della 112/2016 richiama espressamente, ai fini di una gestione patrimoniale nell’interesse delle persone con disabilità grave, i seguenti istituti: trust, vincoli di destinazione di cui all’art. 2645-ter del codice civile e fondi speciali, composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione e disciplinati con contratto di affidamento fiduciario.

Il trust

Il trust è un tipico istituto dei Paesi di Common Law operante anche nel nostro Paese a partire dal 1992, anno in cui l’Italia ha ratificato la Convenzione dell’Aja del 1985 sul riconoscimento di questo istituto e sulla legge ad esso applicabile. In base alla Convenzione il trust ricorre quando un soggetto (detto settlor) sottopone dei beni, con atto mortis causa o inter vivos, al controllo di un altro soggetto (detto trustee) nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico. Il trust, secondo il modello descritto dalla Convenzione dell’Aja, si caratterizza per i seguenti elementi:

  • presenza di un costituente (o settlor), di un trustee, e (eventualmente) di un beneficiario;
  • beni posti sotto il controllo del trustee, che costituiscono una massa distinta, non fanno parte del patrimonio del trustee e vengono amministrati da questo secondo quanto previsto dall’atto costitutivo o dalla legge;
  • realizzazione di un interesse del beneficiario o di un fine specifico.

Così, ad esempio, con l’istituzione di un trust familiare i genitori possono conferire beni mobili e immobili ad un trustee, soggetto di loro fiducia (che, potrebbe essere anche un ente non profit o cooperativa sociale) il quale ne acquista la proprietà e ne dispone esclusivamente nell’interesse del soggetto debole.

La durata del trust è determinata dal settlor ma in linea di massima non può essere perpetua (fatta eccezione per i trust di scopo, negli ordinamenti che li ammettono). Il trust è regolato, anzitutto, dalla legge scelta dal costituente o, in mancanza di essa, dalla legge con cui il negozio istitutivo del trust ha più stretti legami (luogo di amministrazione, situazione dei beni, residenza o domicilio del trustee). È pacifico che, in base alla Convenzione, possa essere riconosciuto in Italia un trust costituito all’estero, o possa costituirsi in Italia un trust per beni situati all’estero, o che cittadini stranieri possano costituire in Italia un trust su beni situati in Italia.

Maggiormente controversa è la possibilità di costituire trust in Italia, da parte di cittadini italiani, per beni situati in Italia (c.d. trust interno). In altre parole non è pacifico se, avvalendosi della Convenzione, sia possibile istituire un trust secondo il diritto di un Paese straniero (in cui il trust sia ammesso) in assenza di qualsiasi elemento di collegamento con un ordinamento diverso da quello italiano. L’opinione che pare maggioritaria (anche in giurisprudenza) è orientata in senso favorevole; tuttavia esistono precedenti anche recenti che affermano l’invalidità di trust puramente interni.

Proprio l’espressa menzione del trust tra gli strumenti di gestione patrimoniale dalla Legge 112/2016 potrebbe costituire argomento a favore del riconoscimento del trust interno, viste le funzioni prevalenti della normativa; tuttavia al momento non esiste un’interpretazione univoca in tal senso.


Vincoli di destinazione

L’art. 2645-ter del Codice Civile consente la trascrizione di atti (pubblici) con cui beni immobili o beni mobili registrati sono "destinati" alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche. La norma ammette la possibilità di compiere «atti in forma pubblica con cui beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela (…)», disponendo che, in tal caso, la massa dei beni «destinati», e i relativi frutti, oltre a poter essere impiegati esclusivamente per la finalità a cui sono destinati, non sono aggredibili dai creditori se non per il soddisfacimento dei debiti contratti per quella medesima finalità.

L’art. 2645-ter non contiene alcuna disposizione relativa alla struttura dell’atto istitutivo del vincolo di destinazione. Ai fini della produzione di tale effetto sembra sufficiente un atto unilaterale. Attraverso l’introduzione dell’art. 2645-ter il Legislatore ha consentito di attribuire al vincolo di destinazione effetti reali, come tali opponibili ai terzi creditori o acquirenti, attraverso la trascrizione dell’atto con cui tale vincolo è imposto.

L’art. 2645-ter pone un requisito di durata massima del vincolo di destinazione dei beni immobili o mobili registrati: tale durata non può superare i novanta anni, ovvero — in alternativa — la durata della vita della persona fisica beneficiaria del vincolo. Ulteriore requisito del vincolo di destinazione, richiesto dall’art. 2645-ter, è la finalizzazione alla realizzazione di interessi (meritevoli di tutela) «riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche». La norma esige quindi la presenza di uno o più «beneficiari», a favore dei quali costituire il vincolo. Possono coesistere, rispetto ad un medesimo vincolo di destinazione, «beneficiari immediati» e «beneficiari finali»: si pensi all’ipotesi in cui si preveda un vincolo di destinazione di un dato bene a favore del figlio disabile del disponente, con la concomitante previsione che, dopo la morte di tale beneficiario, il bene debba essere destinato ad una ulteriore finalità (ad esempio, debba essere trasferito ad una terza persona).

L’art. 2645-ter ricollega espressamente alla trascrizione l’effetto di «rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione», con un’espressione che sembra richiamare il concetto della pubblicità dichiarativa: sembrerebbe, in altre parole, che il vincolo nasca comunque, con effetti obbligatori, in capo al titolare del bene vincolato, salva l’inopponibilità ai terzi in difetto di trascrizione.

Ai sensi dell’art. 2645-ter, i beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati «solo per la realizzazione del fine di destinazione». Il vincolo di destinazione è, quindi, esclusivo. È comunque fondamentale rilevare che lo strumento descritto, richiamato ma non innovato dalla Legge 112/2016, può riguardare solo beni immobili o mobili registrati; non quindi altri beni come denaro, titoli, gioielli.

Fondi speciali

La Legge 112/2016 menziona, a fianco del trust e dei vincoli di destinazione, la possibilità di costituire fondi speciali, composti da beni sottoposti a vincolo di destinazione e disciplinati con contratto di affidamento fiduciario.La figura di tale contratto si deve ad un contributo dottrinale che ha inteso generalizzare diverse figure di destinazione patrimoniale riconducendole ad un atto più generale, i cui effetti, analogamente alle ipotesi disciplinate dalla legge, si sostanziano tra l’altro nella separazione del patrimonio proprio del fiduciario da quello affidatogli in gestione dal fiduciante.

Occorre osservare che, anche prima dell’introduzione dell’art. 2645-ter, nel nostro ordinamento era riconosciuto il negozio fiduciario, con il quale, a fianco del trasferimento al fiduciario di determinati beni (di cui il fiduciario stesso diviene a tutti gli effetti proprietario), si impongono al fiduciario stesso obblighi di gestione ed eventualmente di ri-trasferimento dei beni a favore di altri soggetti beneficiari; tali vincoli erano tuttavia destinati ad essere inopponibili ai terzi, operando soltanto su un piano obbligatorio, con conseguente responsabilità del fiduciario infedele, ma senza pregiudicare la posizione dei terzi acquirenti o creditori. In particolare, il negozio fiduciario rende il fiduciario pieno proprietario dei beni, con la conseguenza che essi possono venire aggrediti dai suoi creditori, con danno per il titolare “sostanziale” del patrimonio.

Il richiamo della legge alla istituzione di fondi disciplinati con “contratto di affidamento fiduciario” crea il dubbio se il Legislatore abbia voluto riferirsi al negozio fiduciario tradizionale, oppure riconoscere implicitamente l’affidamento fiduciario come caratterizzato dall’opinione dottrinale ricordata sopra.

Occorre peraltro osservare che innessuna parte la Legge 112/2016 disciplina quest’ultima figura, con la conseguenza che è incerto se la menzione nella legge sia sufficiente a superare i forti dubbi creati da una proposta che potrebbe esporsi all’obiezione di non considerare il carattere tassativo dei diritti reali previsti dal nostro sistema e di introdurre forme di separazione patrimoniale non previste dalla legge. Ciò significa che, se certamente un negozio che preveda un affidamento fiduciario può essere lecitamente utilizzato, non è sicuro se esso possa essere opponibile ai terzi e ai creditori del fiduciario, con conseguente rischio di esporre l’interessato disabile alle conseguenze della condotta del fiduciario.


Concludendo

Qualunque sia la strada prescelta (trust, vincoli di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile, ovvero contratto di affidamento fiduciario non trascritto), ai fini delle esenzioni e agevolazioni previste dalla legge è comunque necessario che l’atto istitutivo individui in maniera chiara e univoca sia il soggetto gestore, precisandone gli obblighi, sia un soggetto preposto al controllo delle obbligazioni imposte a carico del gestore, individuabile per tutta la durata del trust o del vincolo di destinazione o dei fondi speciali. A questo fine può apparire utile l’istituzione di una persona giuridica idonea ad assolvere a dette funzioni.


Photo Credit © 
Gabriele Caproni – Progetto Fiaf CSVnet "Tanti per tutti. Viaggio nel volontariato italiano"