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La Alleanza contro la povertà ha pubblicato sul proprio sito un’intervista a Franca Maino, professoressa presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Milano e direttrice di Percorsi di secondo welfare. Maino ha offerto alcune riflessioni sulle criticità affrontate dal Reddito di Cittadinanza in questi anni e sui possibili miglioramenti da apportare alla misura. Di seguito vi proponiamo la versione integrale dell’intervista.

Professore Maino, cosa ha rappresentato l’introduzione del Reddito di Cittadinanza per l’Italia?

Il Reddito di Cittadinanza è stato un vero traguardo per il nostro Paese. L’Italia non aveva una misura nazionale e universale per contrastare la povertà. Scontavamo un ritardo e delle carenze inaccettabili rispetto ai bisogni del Paese. Il percorso in realtà è iniziato prima del RdC, già il Rei (Reddito di Inclusione) infatti andava in questa direzione. Con il RdC si sono però incrementate significativamente le risorse.

L’introduzione di queste misure è quindi una conquista che ci avvicina agli altri Paesi europei che già avevano – a differenza di noi – un reddito minimo di inserimento. Questo ovviamente non significa che il Reddito di Cittadinanza non ci sia esente da criticità.

Su quali criticità è urgente intervenire?

Il vero problema della misura riguarda la difficoltà nel raggiungere la platea dei beneficiari. Questo avviene perché sia l’accesso alla misura sia la presa in carico sono complesse, come testimonia anche lo scarso numero di soggetti ad oggi seguiti dai Centri per l’impiego. Inoltre, al di là dell’erogazione della parte monetaria della misura, è necessario che le famiglie siano accompagnate nell’affrontare le conseguenze sociali e lavorative della povertà.

Le otto proposte avanzate dall’Alleanza contro la povertà evidenziano bene le criticità della misura e allo stesso tempo propongono soluzioni concrete. Ma rivedere a monte come funziona l’accesso al RdC è fondamentale: ci si muove tra autocandidature, prese in carico da parte dei Servizi sociali e dei Centri per l’Impiego che identificano appunto i profili più fragili. Ma una fascia di persone comunque rimane fuori: e questo rischia di peggiorare a causa delle conseguenze della crisi pandemica.

Cosa bisognerebbe fare per migliorare la misura?

Dovremmo agire sulla semplificazione delle procedure. E poi individuare cosa nei vari territori non ha funzionato e quali sono le ragioni che rendono complicata la collaborazione tra i Servizi sociali e i Centri per l’Impiego. Altrettanto importante è comprendere cosa ostacola la realizzazione dei PUC (Progetti Utili alla Collettività, di cui abbiamo parlato qui riportando il caso di Roma).

La misura distingue tra percorsi differenti mentre chi si trova in una condizione di fragilità ha bisogno di una presa in carico organica. Il grosso nodo da affrontare è appunto quello che riguarda i servizi territoriali dove ognuno si organizza e si muove in base alle proprie possibilità e capacità organizzative. E questo genera differenziazioni nell’accesso e nel trattamento. Le differenze territoriali, come anche le differenti capacità istituzionali, sono generatrici di disuguaglianze, e questo è un motivo in più per agire nella direzione di una presa in carico omogenea.

Che ruolo ha giocato in questi anni l’Alleanza contro la povertà e quali sono le prospettive per il futuro?

Senza l’impegno dell’Alleanza non avremmo ottenuto misure come il Rei e il RdC. In questi anni l’Alleanza ha realizzato un’intensa attività di advocacy che ha contribuito a portare l’attenzione sul tema e ha aperto la strada a tutto quello che poi è stato messo in campo. Si tratta di un aspetto centrale se consideriamo che i poveri non hanno, di fatto, altri canali di rappresentanza.

Il suo ruolo continua ad essere fondamentale anche adesso perché l’Alleanza partecipa attivamente al dibattito proponendo correttivi e modifiche volti a migliorare la misura. Ma il suo compito è anche quello di continuare a raccogliere le istanze dal basso, dando voce alle organizzazioni che lavorano con i poveri e che quindi conoscono da vicino i problemi e si confrontano con gli aspetti disfunzionali del RdC. Istanze che sono poi riportate sia a livello nazionale sia regionale. L’Alleanza, infatti, gioca un ruolo di advocacy ma anche di raccordo tra Stato e territori, dove i bisogni si manifestano.

A inizio luglio sarà pubblicata la prima parte della ricerca a cui sta lavorando il Comitato scientifico dell’Alleanza. Può dirci di cosa si tratta?

La ricerca è basata sulla raccolta di materiale empirico, attraverso interviste e analisi dati. Stiamo anche utilizzando un approccio comparativo. L’obiettivo è quello di indagare i punti di forza e le criticità della misura sotto vari aspetti, tra cui l’implementazione. La ricerca è nata perché siamo consapevoli che bisogna avere sempre basi solide e aggiornate per proporre correttivi e raccomandazioni rispetto alle modifiche da apportare al Reddito di Cittadinanza.