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Nella provincia di Torino, l’Associazione "La Bottega del Possibile" sta sperimentando interventi e percorsi innovativi di sostegno alla domiciliarità per la popolazione anziana, attraverso l’integrazione tra Servizi Sociali e Sanitari del territorio, tra soggetti pubblici, privati e del Terzo Settore e tra differenti professioni. Grazie all’attivazione di processi partecipativi, inoltre, l’Associazione ha sperimentato nuove modalità di coinvolgimento della comunità locale. Ve ne parliamo in questo articolo uscito all’interno del numero 3/2018 della rivista Welfare Oggi.

L’integrazione tra diversi enti e figure professionali e l’evoluzione di una struttura residenziale in una realtà aperta al territorio sono gli strumenti che il progetto “Intrecci e alleanze generative per una comunità curante e amichevole” – la cui prima fase si è sviluppata tra l’ottobre 2016 e il marzo 2018 a Piossasco in provincia di Torino – sta sperimentando per sostenere le persone anziane che vivono nella propria abitazione .

L’intervento centrale del progetto è la visita domiciliare, azione che ha lo scopo di “mettersi in ascolto”, superando la logica dell’intervento prestazionale che si attiva a fronte di uno specifico bisogno conclamato; al contrario, si è partiti dal contatto con gli anziani – la maggior parte dei quali non erano in carico ai servizi – per verificare le loro condizioni di vita e impostando quindi eventuali successivi interventi sulla base dei bisogni e dei desideri emersi in quella sede. Andando a casa delle persone, l’operatore ha avuto l’opportunità di osservare i contesti di quotidianità, il modo di vivere degli anziani nella propria casa, avendo quindi un osservatorio privilegiato della persona nella sua globalità. Inoltre, “andare verso” le persone e non solo attendere che siano loro a rivolgersi a un servizio, ha consentito di “raggiungere gli irraggiungibili”, di prevenire i rischi legati alla fragilità e offrire opportunità di azioni volte alla promozione della salute a una gamma molto più grande di popolazione.

Il sostegno alla domiciliarità

L’Associazione “La Bottega del Possibile” ha ideato e promosso nel nostro Paese il concetto culturale della domiciliarità, secondo le parole della Presidente onoraria Mariena Scassellati Sforzolini “quel contesto dotato di senso per la persona stessa, lo spazio significativo che comprende la globalità della persona, la sua casa e ciò che la circonda; tale spazio è una sorta di nicchia ecologica, dove la persona sta bene, sente di essere a suo agio, dove desidera vivere e abitare, lo spazio che non vorrebbe abbandonare” . La domiciliarità è “l’intero, l’interno e l’Intorno della persona”; l’abitare sociale è rappresentato dal rapporto con l’insieme del contesto in cui la persona è inserita, quindi l’ambiente circostante, il paesaggio, il quartiere, il vicinato, il panettiere, il centro sociale, la cultura locale, ecc.

Il sostegno alla domiciliarità non può essere confuso con l’assistenza domiciliare, che non è altro che uno dei tanti strumenti utili per sostenerla; altresì, non può essere limitato a sostenere la persona nella sua casa, pur avendo consapevolezza del profondo significato che questo luogo rappresenta. Supportare la domiciliarità è fare in modo che la persona non sia privata del suo Abitare sociale, dei propri rapporti, relazioni, legami con l’Intorno e trovi sostegno nel costruirne sempre di nuovi per rimanere “abitante”, non riducendo o atrofizzando la propria domiciliarità alla sola sfera dell’Intero, poiché questo sarebbe una amputazione tale da compromettere gravemente la possibilità di mantenere livelli di ben-essere, di “star bene”, di restare Abitante e cittadino della propria Comunità.

La comunità di Piossasco come luogo di sperimentazione

Piossasco è un Comune dell’area della città metropolitana di Torino; è una cittadina di poco più di 18.000 abitanti, situata a ridosso delle ultime propaggini delle Alpi. Si presenta come una realtà vivace grazie alla presenza di un tessuto associativo attivo in vari settori, che costituisce un capitale sociale ricco anche se poco propenso a lavorare in rete, secondo le parole dei responsabili dei servizi e degli stessi volontari. Sul territorio operano due Residenze sanitarie e assistenziali (Rsa) per anziani, per complessivi 125 posti, nonché, due Case di Cura riabilitative. La residenza da cui è partita la sperimentazione è la RSA San Giacomo, nata nel 2015, che oggi si pone come nuovo luogo di cura, di inclusione, di socializzazione, di pratica agita verso un nuovo ruolo e immagine della struttura, come centro servizi per il territorio. Insieme ad altri cinque Comuni, Piossasco fa parte del distretto sanitario di Orbassano e afferisce, per quanto riguarda i servizi socio assistenziali al Consorzio Intercomunale dei Servizi (C.I.diS.).

Da un’analisi preliminare del contesto emergeva, tra i diversi aspetti, una criticità relativa alla difficoltà a fornire risposte adeguate e tempestive in favore di persone anziane che vivono in una condizione di fragilità o di totale o parziale non-autosufficienza. L’attuale carenza di risorse, infatti, determina lunghi tempi per l’attivazione dei servizi e la conseguente necessità di prevedere liste di attesa per gli inserimenti residenziali, semiresidenziali e domiciliari.

Interrogandosi su queste criticità, si è quindi tentato di elaborare nuove modalità del prendersi cura della popolazione anziana; a fronte di un numero limitato di anziani seguiti dai Servizi Sociosanitari (dai dati riferiti dal C.I.diS. e dall’ASL TO3 rispetto al Comune di Piossasco, nel 2016, risultavano seguiti con servizi domiciliari 36 persone), grazie al progetto sono stati incontrati nell’arco di un anno, durante le prime visite domiciliari, 491 persone, elaborando per molti di loro percorsi personalizzati condivisi. Si è trattato in sostanza di trovare nuove modalità di sostegno alla domiciliarità a fronte di un numero esiguo di cittadini serviti nelle modalità tradizionali. Attraverso le attività sviluppate sul territorio e all’interno della RSA, si è cominciato ad offrire nuove possibilità alle persone anziane e ai propri caregiver: nuovi supporti, servizi e interventi, ampliando così la propria offerta e la capacità del sistema territoriale di rispondere ai bisogni presenti e a quelli non ancora rilevati da parte del sistema dei Servizi pubblici. Per oltre il 70% dei 491 anziani visitati, sulla base dei bisogni emersi a seguito del primo contatto, sono stati attivati ulteriori interventi come dettagliato nella successiva tabella (Figura 1).


Figura 1 – Il dettaglio delle azioni messe in campo dal 1° febbraio 2017 al 30 marzo 2018

La visita domiciliare

Come già ricordato, la visita domiciliare rappresenta una delle azioni centrali del progetto; non contingentata dal minutaggio, è un’azione di ascolto, osservazione, informazione e orientamento, di vicinanza, di prossimità, di supporto e di accompagnamento; un intervento il cui fine è sostenere le persone affinché possano continuare a vivere e abitare, in relazione con il loro “Intorno”, nella loro casa, potendo, anche per questo scopo, contare su una figura di riferimento, una figura professionale “amica” a cui rivolgersi in caso di bisogno.

La visita domiciliare implica un riposizionamento degli operatori e dei servizi. L’intervento prova infatti ad uscire da una logica prestazionale e frontale per assumere quella più laterale, di accompagnamento, allontanandosi da una cultura e approccio bio-medico per affermare una modalità di intervento e una visione bio-psico-sociale in cui si intersecano una molteplicità di azioni a più livelli: sanitario, psicologico, sociale e ambientale.

Le visite domiciliari sono state proposte a tutti i soggetti del campione selezionato, contattando 800 persone tra i 75 e gli 85 anni . Di questi, 345 si sono dichiarati disponibili e hanno ricevuto almeno una visita domiciliare; a tale numero si devono aggiungere altri soggetti non rientranti nel campionamento causale: sono stati coinvolti nelle visite domiciliari 83 persone appartenenti al range 75-85, 63 persone interessate fuori range, per un totale di 491 persone anziane che hanno ricevuto almeno una visita domiciliare.

Per ogni persona visitata è stata creata una cartella personalizzata, dove sono state raccolte, anche con l’ausilio di una strumentazione informatica, tutte le informazioni utili ai fini del progetto. Attraverso i contatti con le diverse istituzioni e le interviste strutturate durante le visite domiciliari, si sono raccolte informazioni di tipo anagrafico, sociale, epidemiologico e sulla condizione di salute, dando così modo agli operatori di avere a disposizione delle cartelle individuali in base alle quali progettare gli specifici interventi. Su tali dati si sono inoltre operate delle analisi al fine di restituire una fotografia sulla condizione di salute degli anziani di Piossasco.

Un’attenzione particolare è stata posta verso i soggetti più fragili: sulla base di indici di fragilità individuati attraverso scale validate, si è costruito un “registro delle fragilità” che viene aggiornato periodicamente. Dai dati analizzati emerge che 284 persone su 423 (appartenenti al range 75-85 anni) hanno un indice di fragilità di Tilburg (TFI) superiore o uguale alla soglia di “normalità”. Gli aspetti che più frequentemente portano a classificare le persone visitate come fragili sono l’assunzione di più di 5 farmaci, le difficoltà di deambulazione, le problematiche di memoria e la solitudine. Questi dati si connettono anche a quelli sulla qualità della vita, da cui emergono frequenti situazioni di ansia o depressione.

La microequipe

Come è composta. Il progetto si è avvalso di una microequipe territoriale, composta da professionisti di diverso profilo professionale: un’infermiera dell’Asl TO3 specializzata nelle cure domiciliari, che ha conseguito un Master di Infermieristica di famiglia e di comunità; operatrici della RSA San Giacomo (tre OSS, una psicologa e un’educatrice); un’assistente sociale del C.I.diS.

Come opera. L’infermiera e le OSS, attraverso le visite domiciliari programmate, hanno sviluppato un’azione di prevenzione, ascolto, accompagnamento, rilevazione dei bisogni, nonché, di contrasto alle situazioni di solitudine e isolamento. La microequipe, nel suo insieme, ha saputo svolgere un ruolo importante per l’emersione dei bisogni non ancora rilevati da parte del sistema dei servizi, attraverso la cura della relazione e dell’ascolto. L’infermiera e le OSS, dopo aver effettuato la prima visita, si ritrovano insieme all’assistente sociale, la psicologa e l’educatrice per una rielaborazione su quanto osservato e ascoltato, individuando i percorsi di assistenza personalizzati e le attività da proporre a ciascuna persona. Altresì, la microequipe si occupa di facilitare e allestire il contesto, attivare la rete e sviluppare e mobilitare le risorse della comunità, coinvolgendo in un lavoro di rete le associazioni, i medici, i farmacisti, le istituzioni del territorio. La microequipe ha operato anche per facilitare l’accesso al sistema dei servizi oltreché per favorire l’incontro tra persone portatrici di bisogni e la struttura con i suoi servizi e i suoi operatori.

Le “prescrizioni” per la promozione della salute. Come risultato dell’attivazione della rete e in particolare dagli incontri con i medici di medicina generale è nata la “prescrizione” di attività di promozione alla salute. È certamente questa una collaborazione, tra microequipe e MMG, sulla quale occorre investire ulteriormente per poterla rendere ancora più produttiva ed efficace; occorre saper individuare spazi e ambiti di una nuova collaborazione in cui tutti possano ottenere risultati utili al proprio ruolo e funzione. Le collaborazioni tra l’infermiera di comunità e i medici e farmacisti disponibili che hanno condiviso la visione del progetto, si è concretizzata inoltre in momenti formativi sugli stili di vita e in particolare sui temi dell’ipertensione e dell’alimentazione, risultati essere problematiche comuni tra gli anziani incontrati. L’infermiera di comunità, in collaborazione con le OSS, ha inoltre avviato un intervento molto importante di attivazione della comunità, contribuendo a formare 3 gruppi di camminatori, da cui poi si è costituito un nucleo di camminatori esperti che guidano altri anziani in un’attività fisica salutare, non solo per il fisico ma anche per gli aspetti psicologici e sociali che questa implica.


La struttura aperta: centro servizi per il territorio

Un altro fronte su cui il progetto è intervenuto è stata l’apertura della RSA San Giacomo al territorio, affermando un’immagine nuova di una struttura socio-sanitaria residenziale come luogo aperto, attraversata dal “Fuori”, sede di eventi e di attività culturali; una struttura impegnata a promuovere salute, legami sociali, processi partecipativi, come soggetto attivo del sistema locale di welfare. Sono stati organizzati, a tale scopo, incontri sia all’interno della struttura che all’esterno: gli incontri sono stati occasione per illustrare il progetto e per informare del cambiamento che stava per intraprendere la struttura, incontrando i familiari delle persone accolte al suo interno, le associazioni di volontariato, i consiglieri comunali.

Le RSA sono frequentemente rappresentate come “strutture senz’anima”, “luoghi tristi del fine vita”, per riprendere le parole di alcuni anziani intervistati; rappresentazione non semplice da scardinare ma che, ad un anno dall’avvio, ha cominciato a mutare, grazie a un nuovo modo di vivere la struttura. Molto efficaci, anche a tale scopo, sono stati i laboratori svolti al suo interno (tombola, gioco delle carte, mercatini, ginnastica, ecc.) e gli incontri con le scuole, volti a favorire uno scambio tra generazioni, per aprire le porte del Presidio San Giacomo ai più piccoli e alle loro famiglie. Quest’ultimi incontri sono stati organizzati come laboratorio teatrale sulla dimensione del racconto e della narrazione: concludendosi con una “performance di massa”, un vero e proprio flash mob, realizzato il 26 maggio 2017 nel piazzale adiacente il “San Giacomo” con la partecipazione di oltre 200 persone. L’evento si è dimostrato un’efficace strategia per aprire le porte della Struttura e far conoscere i suoi ambienti anche a chi non aveva mai avuto l’opportunità di farlo. Per un giorno il Presidio San Giacomo ha cessato di essere un “luogo per vecchi” e si è riempito di bambini incuriositi e delle loro famiglie.

A gennaio 2018 la struttura ha inoltre attivato “Sosteniamo chi cura”, uno sportello rivolto ai familiari e ai caregiver che si prendono cura di una persona fragile e con ridotte autonomie. Lo sportello, aperto due volte la settimana, è gestito da un operatore della struttura supportato dall’infermiera dell’ASL che coordina la microequipe. Lo sportello mira a sostenere i caregiver nel faticoso lavoro di cura e assistenza, fornisce informazioni sull’eventuale malattia, sul sistema di accesso alla rete dei servizi, offre consigli molto pratici sulle strategie di intervento.

I primi mesi di quest’attività rivelano già la sua utilità, poiché non esiste analogo servizio e supporto su tutto il territorio. Familiari e caregiver che finora ne hanno fruito dichiarano tutto il loro apprezzamento. Lo sportello inoltre è stato anche un veicolo per la partecipazione alle attività promosse dal progetto e per sviluppare l’erogazione di servizi domiciliari; questa attività di ascolto ha anche aiutato la riorganizzazione dei servizi, facendo emergere anche la necessità di organizzare anche degli interventi nelle ore serali.


Attivazione delle persone e della comunità

Un risultato importante delle azioni promosse è stato l’attivazione di un processo partecipativo, coinvolgendo un numero significativo di persone in attività di socializzazione e di volontariato, favorendo così la costruzione di reti di solidarietà e di prossimità. Le attività proposte hanno consentito di realizzare diverse occasioni di incontro e di socializzazione tra le persone anziane (cene tra i camminatori, auto-aiuto nel trasporto, creazione di gruppi spontanei per i lavori manuali a casa). Alcune persone sono di fatto divenute una sorta di “sentinelle di comunità”, connettendo le persone in difficoltà agli operatori del progetto. Possiamo quindi sostenere che si è contribuito a rafforzare la coesione sociale, il tessuto di relazioni e legami sociali tra i cittadini di Piossasco.

Sono più di 200 le persone che complessivamente partecipano alle diverse attività di comunità e laboratoriali: una fascia di popolazione anziana che ha arricchito il proprio progetto di vita e le proprie relazioni; questa attivazione ha incrementato il clima di fiducia, la ricerca di soluzioni ai problemi comuni da agire collettivamente. La sperimentazione ha saputo anche coinvolgere la comunità attraverso momenti di riflessione e di incontro, anche tra generazioni. Un’azione generativa, che ha certamente influito positivamente sullo stato di ben-essere degli anziani coinvolti e ha anche contribuito a ricostruire senso di comunità.

La governance

La Cabina di Regia che governa il progetto, la microequipe e il team operativo rendono concreta l’integrazione tra servizi sociali e sanitari, il terzo settore, gli amministratori locali e i cittadini. La rete degli enti coinvolti è sostenuta dalla Compagnia di San Paolo, finanziatrice del progetto, la quale partecipa con un suo rappresentante alla Cabina di Regia. L’Associazione “La Bottega del Possibile” è capofila del Progetto, in veste di attore “esterno” che coordina e monitora le attività, prevedendo anche una valutazione di processo e di esito. L’associazione si è occupata anche della formazione degli operatori, dei rappresentanti della Cabina di Regia e dei volontari coinvolti nel progetto.

La Cabina di Regia ha anche il ruolo di coordinare, attivare e mantenere la rete tra i partner, oltre che delegare gli operatori per le specifiche azioni previste dal progetto. Nel lavoro di rete ogni ente mantiene le proprie specificità, mettendole in connessione reciproca: l’ASL e l’Università di Torino si occupano degli aspetti più prettamente sanitari e di promozione alla salute, il Consorzio degli ambiti di criticità e problematicità sociali, la Rsa insieme a Social Coop e Cooperativa Itaca degli interventi domiciliari in ambito socio-assistenziali, dei laboratori che coinvolgono sia residenti della struttura che esterni e che contribuiscono a promuovere la residenza come centro servizi, il Comune delle azioni di coinvolgimento della comunità. In particolare, quest’ultimo, attraverso la lettera del Sindaco inviata a tutti gli anziani appartenenti al campione target, ha anticipato la visita domiciliare dell’operatore itinerante (ASL e Rsa), informando la popolazione in merito agli obiettivi del progetto e alle opportunità da esso offerte. La partecipazione attiva della comunità Piossasco è stata promossa anche grazie ai laboratori con le scuole e agli incontri pubblici, di cui il Comune si è fatto promotore insieme agli altri enti coinvolti.

Sviluppi e prospettive future

A distanza di un anno dall’avvio, il progetto si trova di fronte a una fase successiva, in cui è possibile capitalizzare gli aspetti innovativi e di valore e affrontare le criticità emerse.

Tra le criticità più rilevanti, è stata riscontrata una difficoltà a incidere nelle situazioni di maggiore fragilità. È emerso infatti che una fascia della popolazione con indici di fragilità più alti è rimasta scoperta, in particolare quella con maggiori difficoltà di deambulazione e di povertà della rete sociale. Per questi soggetti l’unico intervento possibile è stato la visita domiciliare. Per rispondere a tale criticità, un obiettivo per la sperimentazione futura è l’implementazione di nuove modalità di prevenzione, intervento, supporto e cura verso la popolazione fragile, che fatica a uscire di casa e ad essere coinvolta nelle attività proposte. Tra le ipotesi di azioni di prevenzione e supporto, si stanno elaborando progetti di interventi a domicilio, individuali e di gruppo, che possano promuovere l’empowerment e l’autoaiuto. Tali interventi si focalizzeranno sulla sperimentazione di attività di movimento, socializzazione, di incontri di promozione della salute, quali, ad esempio, iniziative su alimentazione e sulla corretta assunzione delle terapie farmacologiche.

Un altro obiettivo futuro è il rafforzamento della partnership: si cercherà di coinvolgere le associazioni di volontariato e gli enti pubblici e privati con cui si ha avuto modo di collaborare proficuamente.

Altro punto importante della riprogettazione riguarda il rafforzamento del ruolo della Rsa come Centro Servizi. Le azioni che si intende intraprendere riguardano il mantenimento e lo sviluppo dei servizi offerti dalla struttura, e il consolidamento delle attività dello sportello informativo, che ad oggi si trova ancora in fase di avvio, ma che rappresenta un “servizio unico” ed innovativo. Sarà importante per il rafforzamento della sperimentazione, dotarsi, da parte della struttura, di una microequipe per i servizi domiciliari e calendarizzare incontri periodici con i famigliari delle persone accolte al fine di migliorare la qualità dell’abitare all’interno della struttura.

Un’altra rilevante criticità emersa nella prima fase è stata la difficoltà degli enti a investire in interventi di prevenzione e sviluppo e lavoro di comunità, in quanto spesso “schiacciati” da una cultura organizzativa e sociale che ha un focus di lavoro sul caso singolo, cultura che non prevede di investire risorse umane ed economiche per una prospettiva più a lungo termine rispetto a quella dell’intervento sull’urgenza e sull’emergenza. Si ritiene quindi importante continuare a sostenere gli enti, gli operatori, e la microequipe in particolare, nell’investire sullo sviluppo di comunità, valorizzando i risultati della prima fase del progetto quali lo sviluppo del volontariato civico, dei gruppi di cammino, la valorizzazione delle “sentinelle di comunità”, la cura e lo sviluppo del lavoro di rete, il proseguimento del lavoro iniziato con le scuole di promozione di scambio intergenerazionali e senso di comunità.

La difficoltà a investire risorse riguarda anche le azioni volte a fronteggiare le condizioni di solitudine e le difficoltà psicologiche quali ansia e depressione spesso ad esse correlate, condizioni risultate essere molto rilevanti nella popolazione anziana incontrata. Si tratta infatti di problematiche croniche sulle quali ad oggi mancano piani di intervento, se non soluzioni di tipo farmacologico che vanno ad ampliare un’altra problematica riscontrata quale quella della assunzione di troppi farmaci, valutata a livello internazionale come un importante indicatore di fragilità . Le azioni rivolte alla popolazione più fragile di cui si parlava all’inizio del paragrafo, vorranno toccare anche tale area critica; si vuole comunque continuare a sostenere tutte quelle azioni di socializzazione e di attivazioni di reti di prossimità che rappresentano per molti stakeholder e beneficiari il valore specifico del progetto, “quell’intangibile delle emozioni positive” che si legano alle possibilità di incontro, accoglienza, collaborazione, solidarietà tra persone, operatori, volontari e cittadini nel fare comunità.

Conclusioni

Il modello sperimentato comporta un ribaltamento di prospettiva, ponendo al centro i concetti di prevenzione e promozione del benessere piuttosto che interventi a richiesta, legati a situazioni di problematicità sociali e patologiche, che spesso faticano a tradursi in domanda da parte degli utenti, oltre che ad avere una risposta da parte dei servizi. Comporta anche un ribaltamento dell’attuale agire dei servizi, poiché sono questi che si attivano per “andare verso” coloro che non si rivolgono ancora ai servizi. Un ribaltamento che va contro corrente, che smuove una cultura, che promuove un sistema di servizi e un agire degli operatori per essere reali strumenti di ascolto, incontro, supporto, aiuto, accompagnamento e per essere agenti di cambiamento.

Il modello di promozione della salute si è concretizzato nel focus volto alle risorse piuttosto che alle sole problematicità, attraverso interventi mirati allo sviluppo dell’empowerment individuale, realizzando per ogni persona coinvolta nel progetto, un percorso individualizzato, costruito a partire dall’ascolto dei bisogni e desideri specifici e relativamente alle risorse e capacità che ognuno può mettere in campo.

La sperimentazione ha visto inoltre come elemento innovativo la connessione tra l’empowerment individuale e l’empowerment di comunità, tramite diverse tipologie di azioni: l’attivazione dei gruppi di cammino, come contesto di socializzazione e attivazione delle reti sociali; la promozione della partecipazione attiva della comunità attraverso incontri intergenerazionali; l’arricchimento del tessuto sociale dovuto all’incremento del volontariato, della coesione sociale e della solidarietà tra cittadini. Si è dunque sperimentato un modello di cure integrate di comunità basato sui principi del welfare di prossimità e del sostegno alla domiciliarità per prendersi cura delle persone e dei loro contesti, in un tessere insieme bisogni e desideri individuali con il capitale sociale della comunità.

Bibliografia

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Rossi, G. (2016), Editoriale, in Tognetti M. (a cura di), Anziani tra invecchiamento attivo e salute, Salute e società, A. XV n.1, Franco Angeli, Milano.
Scassellati Sforzolini, M. (2013), Voce Domiciliarità, in Campanini A.M. (a cura di), Nuovo Dizionario di Servizio Sociale, ed Carocci Faber, Roma.