I Laboratori Bibliosociali sono una rete inter-professionale e una comunità di pratica. Nati nel 2013, si occupano – a livello nazionale – di ricerca, formazione e consulenza sull’evoluzione delle biblioteche pubbliche e di altri spazi socioculturali, con un orientamento specifico allo sviluppo di comunità. Massimiliano Anzivino, Francesco Caligaris e Alfonso Noviello sono referenti di questa esperienza, che ci raccontano in 5 articoli che saranno pubblicati su www.secondowelfare.it. Questo è il primo.

Il movimento delle “biblioteche sociali”

Da alcuni anni sta succedendo qualcosa in biblioteca. I suoi servizi, che tutti abbiamo più o meno in mente come la casa dei libri, sempre di più stanno diventando anche qualcos’altro, stanno provando a integrare la propria identità con l’aggettivo sociale. Sta infatti crescendo un vero e proprio movimento fatto di persone, professionisti e organizzazioni (pubbliche, private e pubbliche-private) che spesso viene definito delle “biblioteche sociali” e che in una serie di articoli proviamo a raccontare.

Lo facciamo dal punto di osservazione di una comunità di pratica, ovvero un gruppo informale e aperto di sperimentatori di questo tipo di biblioteche, una rete che mette in comune le proprie esperienze, spesso nascoste, poco conosciute, ma estremamente preziose per estrapolare apprendimenti, consapevolezza e fiducia nel cambiamento.

In questo movimento crediamo vi sia una grande potenzialità per ridare valore alle biblioteche e testare e consolidare altri modi di concepire i servizi per il welfare delle persone.

L’idea di fondo

Le biblioteche sono l’infrastruttura culturale più diffusa e più presente nel nostro Paese (come ha recentemente ricordato Rivista Solidea, ndr) Sono circa 7.500: in quasi ogni Comune esiste almeno una biblioteca e spesso questa ha un ruolo centrale, soprattutto in alcune fasi della vita, per gli abitanti di quella comunità. Si tratta di servizi con una bassa soglia di accesso, ai quali potenzialmente può accedere un target 0-100 anni, senza il bisogno di pagare nulla e senza essere portatore di una particolare condizione o problema. Sono luoghi leggeri, neutri, caratterizzati da un certa atmosfera, dove si può trovare svago e apprendimento, informazioni e socialità.

Sono spesso emanazione della macchina pubblica e, in quanto tali, beni comuni e antenne del territorio. Permettono di dare servizi ma anche di raccogliere bisogni e desideri, di stabilire connessioni, di avere un punto di innesco per tanti progetti.

In un luogo come questo viene quasi automatico, e in alcuni casi infatti è successo senza averne consapevolezza, che si attivino azioni e progettazioni che hanno molto a che fare con il mondo dei servizi che stanno a cavallo tra primo e secondo welfare. Ci si è resi conto che queste caratteristiche, in una società dove si moltiplicano le sfide e diventa più difficile dar loro risposta, le biblioteche sono estremamente preziose per rendere le comunità più solide, salutari e coese.

Questa idea di fondo si aggancia ad altre due considerazioni.

La prima riguarda la fatica che le biblioteche stanno attraversando nel puntare solo sulla propria mission tradizionale, spesso strettamente legata al prestito di libri: i dati di accesso e fruizione di questo servizio sono in calo da ormai 20 anni e rischiano di relegare le biblioteche a una importanza politica residuale. Si assiste infatti a una graduale diminuzione delle risorse economiche e professionali in questo settore.

La seconda considerazione attiene invece alla difficoltà che i servizi di welfare più tradizionalmente intesi stanno facendo nell’intercettare in primis e nel trattare poi i cittadini con i sempre più pungenti bisogni legati alla modernità, alle crisi sistemiche, a tutto ciò che sta trasformando la vita delle persone in modo imponente e spesso improvviso.

Mettere insieme queste due tendenze porta a riconsiderare le biblioteche come possibile luogo di welfare leggero, in linea anche con i trend legati alla riscoperta dei luoghi comuni, terzi e comunitari che si stanno affermando in vari ambiti: si pensi per esempio alle Case di quartiere (qui abbiamo parlato dell’esperienza di Torino, ndr), ai centri culturali ibridi, ai centri di aggregazione giovanile di nuova generazione (temi approfonditi anche qui, ndr).

Luoghi per costruire relazioni e significati

Questa nuova tendenza si muove su due direttrici principali che ne definiscono l’identità: la centralità delle relazioni interpersonali e la possibilità di offrire alle persone occasioni e strumenti per dare significato alle vicende della propria vita. Vediamole più nel dettaglio.

Connettere, facilitare, tessere incontri tra le persone: questo è ormai un obiettivo prioritario di tantissimi servizi, qualsiasi sia la propria vocazione. Ciò sta accadendo perché il sistema socio-economico nel quale viviamo tende al contrario a consumare le relazioni, a sfilacciarle nella visione individualista e nella perdita delle dimensioni comunitarie.

Uno scenario che ben conosciamo e sperimentiamo ogni giorno nella nostra vita e che ha conseguenze importanti rispetto ad alcuni problemi strettamente collegati alla scarsità di reti sociali: l’isolamento degli anziani, la fatica educativa delle famiglie, i segnali di disagio giovanile, la frammentazione dei percorsi lavorativi, la scarsa partecipazione civica sono solo alcuni degli aspetti che ci dicono di un bisogno prioritario di riconnettere le persone più che offrire solamente soluzioni specialistiche. Ovunque appare evidente come la possibilità relazionale sia molto desiderata, certamente non sempre facile da mettere in campo, ma con una evidente forza generativa.

Per questa ragione costruire contesti fisici e progettuali che abbiano questa attenzione è una dimensione strategica sia per i servizi che lo fanno sia per tutto il contesto territoriale più ampio nei quali sono collocati. Le biblioteche su questo punto hanno grandi potenzialità per quel mix di caratteristiche che abbiamo visto sopra e che facilitano non poco la socialità e la costruzione di legami. Attraverso la diffusione delle informazioni e con il moltiplicarsi delle occasioni per entrare in relazione con altri cittadini, istituzioni, esperti, esperienze, la biblioteca ha poi la possibilità di sviluppare forse il suo ruolo più importante e fecondo: permettere alla persona di dare sempre nuovi e più articolati significati alla realtà che vive.

Non è una capacità di poco conto se pensiamo al contesto sociale odierno, veloce e mutevole, pieno di sfumature, con pochi riferimenti saldi dal passato e una quota consistente di incertezza verso il futuro. Riuscire a dare un posto mentale agli avvenimenti della vita quotidiana, all’incessante intersecarsi di micro e macro è un gesto non solo di cultura ma di vera e propria salute per le persone. Un gesto che può essere fatto in solitudine e in compagnia, leggendo, giocando, conversando, progettando. Un gesto che può forse aiutare le biblioteche a ricollocarsi in un momento di spaesamento e di ricerca collettiva di senso, senza peraltro perdere la rilevanza culturale del proprio mandato. Anzi forse si tratta al contrario di un’incredibile occasione per ribadirlo.

Su questo punto può essere utile dirci che cosa intendiamo per cultura. La nostra ipotesi, rubata alla riflessione antropologica, è che la cultura abbia molto a che fare proprio con la capacità delle persone di dare un senso alle esperienze della vita, riuscire a dirsi perché accadono alcune cose, decifrare la complessità dei fenomeni, aprire possibilità di azione.

Cosa sta cambiando nelle biblioteche?

Questo nuovo approccio sta portando importanti trasformazioni in quegli spazi che di solito consideriamo austeri, poco invitanti e legati alle élite culturali.

Stiamo così assistendo a un proliferare, oltre ai libri, di altri oggetti all’interno del servizio di prestito: fumetti, giochi da tavolo, videogames ma a volte anche opere d’arte oppure una scala o un trapano. Il prestito diventa così uno strumento ampio e versatile e si amplia l’idea del bene collettivo, di un patrimonio a disposizione di tutti. Osserviamo un’attenzione sempre più marcata nel rendere gli spazi più accessibili, informali, colorati, più simili al salotto di casa, a un posto dove volentieri poter passare una giornata da soli o con la famiglia, dove si è meno controllati e giudicati, dove si sta bene e si è contornati da possibilità e bellezza.

Vi è un lavoro che rende progressivamente più facile usufruire dei servizi grazie alla modularità e flessibilità degli spazi, alla semplificazione nella comprensione degli spazi stessi e nelle modalità di utilizzo dei materiali e dei diversi setting man mano allestiti. Vediamo una cura sempre più forte dei processi partecipativi, si dedicano così energie a coltivare dal basso idee e progetti, a rendere i cittadini protagonisti e attori della propria comunità mettendo in circolo le loro competenze ed energie, ma anche le loro domande e necessità.

Per fare ciò si moltiplicano esperienze di lavoro sul territorio, dove gli operatori escono dal proprio servizio per andare incontro ai cittadini, per ridare vita e valore a luoghi pubblici o dismessi, per prendere contatto con le energie e i problemi della comunità, per proporsi come soggetto facilitatore. L’idea è di rendere più agevole il contatto con l’ente pubblico, le connessioni tra soggetti, associazioni e organizzazioni, l’empowerment individuale e collettivo.

Siamo quindi di fronte a un processo di forte trasformazione, che possiamo constatare in tante altre esperienze del nostro Paese.

Entrare nelle esperienze 

Nei prossimi articoli che pubblicheremo su www.secondowelfare.it andremo a vedere più nel dettaglio alcune di queste esperienze partendo anche da quelle di ispirazione da altri Paesi (europei e non), per evidenziarne risorse e vincoli.

Crediamo molto nel potere delle esperienze, nel far tesoro di chi sta sperimentando nuove modalità di lavoro e apprende giorno dopo giorno dal confronto con la realtà. Crediamo che questa sia la strada migliore per aprire una riflessione sul cambiamento possibile per migliorare la vita delle comunità.

Il movimento delle “biblioteche sociali” può essere una interessante e stimolante idea che ha bisogno di cura per potersi sviluppare e per poter affrontare le fisiologiche criticità di tutti i processi di trasformazione. Avremo modo di trattare anche questo punto nel corso delle prossime puntate.